Oggi alle 17, a Roma, all'Università di via Ostiense (Roma 3) dovrei presentare insieme ad altri (Marramao, Nicoletti, Covacich ecc.) il libro di Maurizio Ferraris sull'arte, dal titolo La fidanzata automatica (Bompiani). Non so bene cosa pensarne, soprattutto in termini da riferire qui. E' un saggio di "ontologia", molto pragmatico, approccio di cui francamente non sentivo la mancanza. Però è un libro onesto. Dice che le opere d'arte sono cose (o anche oggetti sociali, cioè iscrizioni) che fingono di essere umane, cioè di ricambiare i nostri sentimenti, ma non lo fanno. Simmetricamente, potrei scrivere un saggio analogo sull'arte e le opere dal punto di vista dell'animismo, cioè all'opposto. E comunque, le cose non fingono. Siamo noi che ci giochiamo. Giochi a volte assai seri. E forse le cose hanno dei poteri che voi umani... Insomma, ne riparleremo. Per ora sono più alle prese con le persone che fingono di essere persone e invece sono cose...
Su l'Unità di oggi c'è un mio pezzo su esibizionismo e scrittura, che si potrebbe titolare "scrivo dunque esisto" (o appaio). Tocca alcune questioni di attualità (per esempio gli indagati dell'omicidio di Perugia), ma anche la scrittura nel suo insieme, e le sue trasformazioni sociali. Ve lo propongo, perché mi piacerebbe sapere le vostre reazioni.
12/19/2007
12/06/2007
Scusate il ritardo
Scusate il ritardo. E la prolungata assenza. In realtà ci sono, sono qui dietro, come voi. Sto solo facendo altre cose. Ma so che non si dovrebbe trascurare un blog - se no poi si rimane soli. Ma poi, chi l'ha detto? I commenti vanno avanti comunque, si interagisce (anche per e-mail). Il fatto è che sono sommerso dalle parole, da altre parole di altri contenutori - un libro da chiudere e consegnare. Quello delle panchine. Ed è già un bel paradosso, scrivere sulla libertà del tempo delle panchine (provo una nostalgia fisica per quel tempo buttato felicemente qui e là, in un bar o in una panchina, anni fa: ma dove è andato a finire oggi il tempo?) e non averne da sprecare. Perché solo il tempo che si spreca è tempo vero, e ovviamente sprecare non è mai la parola giusta (questo lo si capisce sempre "dopo"). Comunque, una segnalazione, che contraddice la lentezza in nome di una velocità: il libro di "storie minime", anzi Racconti per ascensore, di Marco Petrella, disegnatore dell'Unità (autore di recensioni a fumetti), edito da Mattioli 1885, ottimo per i regali di stagione (mentre il sito di Petrella lo trovate da sempre linkato nella pagina apposita del mio sito). Tra gli autori delle storie (senz'altro il peggiore), anche il sottoscritto.
11/19/2007
Storia con fantasmi (sugli anni Settanta e su Francesca Woodman)
Ne ha anticipato alcuni brani l'Unità di oggi, e sta per uscire (credo da domani in libreria) sul n. 40 di Nuovi Argomenti. Parlo di un testo che mi sta a cuore, dedicato agli anni Settanta (con riferimento soprattutto a Roma, il che può apparire strano visto che abitavo a Parma e a Bologna). Dedicato soprattutto allo sparire, e a Francesca Woodman. Si chiama Storia con fantasmi (è in PDF, potete leggerlo cliccando il titolo, sì). L'ho scritto qualche mese fa di getto, doveva apparire in un libro da cui l'ho poi ritirato e sostituito (Renault 4, edito da Avagliano). Chi mi conosce, sa che sul tema del fantasma sto lavorando (e lavorerò ancora) da tempo. A presto.
[Per il resto: il nostro manifesto-appello Il triangolo nero / Nessun popolo è illegale, leggibile qui giù nel blog, si è diffuso come una pandemia (direbbe l'amico Giuseppe Genna), sia sui giornali cartacei che on line, rimbalzando in circa 500 siti e blog. E questo è un bene.]
[Per il resto: il nostro manifesto-appello Il triangolo nero / Nessun popolo è illegale, leggibile qui giù nel blog, si è diffuso come una pandemia (direbbe l'amico Giuseppe Genna), sia sui giornali cartacei che on line, rimbalzando in circa 500 siti e blog. E questo è un bene.]
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11/14/2007
Il triangolo nero
Violenza, propaganda e deportazione. Un manifesto di scrittori, artisti e intellettuali contro la violenza su rom, rumeni e donne
La storia recente di questo paese è un susseguirsi di campagne d'allarme, sempre più ravvicinate e avvolte di frastuono. Le campane suonano a martello, le parole dei demagoghi appiccano incendi, una nazione coi nervi a fior di pelle risponde a ogni stimolo creando "emergenze" e additando capri espiatori.
Una donna è stata violentata e uccisa a Roma. L'omicida è sicuramente un uomo, forse un rumeno. Rumena è la donna che, sdraiandosi in strada per fermare un autobus che non rallentava, ha cercato di salvare quella vita. L'odioso crimine scuote l'Italia, il gesto di altruismo viene rimosso.
Il giorno precedente, sempre a Roma, una donna rumena è stata violentata e ridotta in fin di vita da un uomo. Due vittime con pari dignità? No: della seconda non si sa nulla, nulla viene pubblicato sui giornali; della prima si deve sapere che è italiana, e che l'assassino non è un uomo, ma un rumeno o un rom.
Tre giorni dopo, sempre a Roma, squadristi incappucciati attaccano con spranghe e coltelli alcuni rumeni all'uscita di un supermercato, ferendone quattro. Nessun cronista accanto al letto di quei feriti, che rimangono senza nome, senza storia, senza umanità. Delle loro condizioni, nulla è più dato sapere.
Su queste vicende si scatena un'allucinata criminalizzazione di massa. Colpevole uno, colpevoli tutti. Le forze dell'ordine sgomberano la baraccopoli in cui viveva il presunto assassino. Duecento persone, tra cui donne e bambini, sono gettate in mezzo a una strada.
E poi? Odio e sospetto alimentano generalizzazioni: tutti i rumeni sono rom, tutti i rom sono ladri e assassini, tutti i ladri e gli assassini devono essere espulsi dall'Italia. Politici vecchi e nuovi, di destra e di sinistra gareggiano a chi urla più forte, denunciando l'emergenza. Emergenza che, scorrendo i dati contenuti nel Rapporto sulla Criminalità (1993-2006), non esiste: omicidi e reati sono, oggi, ai livelli più bassi dell'ultimo ventennio, mentre sono in forte crescita i reati commessi tra le pareti domestiche o per ragioni passionali. Il rapporto Eures-Ansa 2005, L'omicidio volontario in Italia e l'indagine Istat 2007 dicono che un omicidio su quattro avviene in casa; sette volte su dieci la vittima è una donna; più di un terzo delle donne fra i 16 e i 70 anni ha subito violenza fisica o sessuale nel corso della propria vita, e il responsabile di aggressione fisica o stupro è sette volte su dieci il marito o il compagno: la famiglia uccide più della mafia, le strade sono spesso molto meno a rischio-stupro delle camere da letto.
Nell'estate 2006 quando Hina, ventenne pakistana, venne sgozzata dal padre e dai parenti, politici e media si impegnarono in un parallelo fra culture. Affermavano che quella occidentale, e italiana in particolare, era felicemente evoluta per quanto riguarda i diritti delle donne. Falso: la violenza contro le donne non è un retaggio bestiale di culture altre, ma cresce e fiorisce nella nostra, ogni giorno, nella costruzione e nella moltiplicazione di un modello femminile che privilegia l'aspetto fisico e la disponibilità sessuale spacciandoli come conquista. Di contro, come testimonia il recentissimo rapporto del World Economic Forum sul Gender Gap, per quanto riguarda la parità femminile nel lavoro, nella salute, nelle aspettative di vita, nell'influenza politica, l'Italia è 84esima. Ultima dell'Unione Europea. La Romania è al 47esimo posto.
Se questi sono i fatti, cosa sta succedendo?
Succede che è più facile agitare uno spauracchio collettivo (oggi i rumeni, ieri i musulmani, prima ancora gli albanesi) piuttosto che impegnarsi nelle vere cause del panico e dell'insicurezza sociali causati dai processi di globalizzazione.
Succede che è più facile, e paga prima e meglio sul piano del consenso viscerale, gridare al lupo e chiedere espulsioni, piuttosto che attuare le direttive europee (come la 43/2000) sul diritto all'assistenza sanitaria, al lavoro e all'alloggio dei migranti; che è più facile mandare le ruspe a privare esseri umani delle proprie misere case, piuttosto che andare nei luoghi di lavoro a combattere il lavoro nero.
Succede che sotto il tappeto dell'equazione rumeni-delinquenza si nasconde la polvere dello sfruttamento feroce del popolo rumeno.
Sfruttamento nei cantieri, dove ogni giorno un operaio rumeno è vittima di un omicidio bianco.
Sfruttamento sulle strade, dove trentamila donne rumene costrette a prostituirsi, metà delle quali minorenni, sono cedute dalla malavita organizzata a italianissimi clienti (ogni anno nove milioni di uomini italiani comprano un coito da schiave straniere, forma di violenza sessuale che è sotto gli occhi di tutti ma pochi vogliono vedere).
Sfruttamento in Romania, dove imprenditori italiani - dopo aver "delocalizzato" e creato disoccupazione in Italia - pagano salari da fame ai lavoratori.
Succede che troppi ministri, sindaci e giullari divenuti capipopolo giocano agli apprendisti stregoni per avere quarti d'ora di popolarità. Non si chiedono cosa avverrà domani, quando gli odii rimasti sul terreno continueranno a fermentare, avvelenando le radici della nostra convivenza e solleticando quel microfascismo che è dentro di noi e ci fa desiderare il potere e ammirare i potenti. Un microfascismo che si esprime con parole e gesti rancorosi, mentre già echeggiano, nemmeno tanto distanti, il calpestio di scarponi militari e la voce delle armi da fuoco.
Succede che si sta sperimentando la costruzione del nemico assoluto, come con ebrei e rom sotto il nazi-fascismo, come con gli armeni in Turchia nel 1915, come con serbi, croati e bosniaci, reciprocamente, nell'ex-Jugoslavia negli anni Novanta, in nome di una politica che promette sicurezza in cambio della rinuncia ai principi di libertà, dignità e civiltà; che rende indistinguibili responsabilità individuali e collettive, effetti e cause, mali e rimedi; che invoca al governo uomini forti e chiede ai cittadini di farsi sudditi obbedienti.
Manca solo che qualcuno rispolveri dalle soffitte dell'intolleranza il triangolo nero degli asociali, il marchio d'infamia che i nazisti applicavano agli abiti dei rom.
E non sembra che l'ultima tappa, per ora, di una prolungata guerra contro i poveri.
Di fronte a tutto questo non possiamo rimanere indifferenti. Non ci appartengono il silenzio, la rinuncia al diritto di critica, la dismissione dell'intelligenza e della ragione.
Delitti individuali non giustificano castighi collettivi.
Essere rumeni o rom non è una forma di "concorso morale".
Non esistono razze, men che meno razze colpevoli o innocenti.
Nessun popolo è illegale.
Scritto e promosso da: Alessandro Bertante, Gianni Biondillo, Girolamo De Michele, Valerio Evangelisti, Giuseppe Genna, Helena Janeczek, Loredana Lipperini, Monica Mazzitelli, Marco Philopat, Alberto Prunetti, Marco Rovelli, Stefania Scateni, Antonio Scurati, Beppe Sebaste, Lello Voce, Wu Ming.
Tra i primi firmatari: Fulvio Abbate - Maria Pia Ammirati - Manuela Arata - Bruno Arpaia - Articolo 21 Liberi di - Rossano Astremo - Andrea Bajani - Nanni Balestrini - Guido Barbujani - Ivano Bariani - Giuliana Benvenuti - Silvio Bernelli - Stefania Bertola - Bernardo Bertolucci - Sergio Bianchi - Ginevra Bompiani - Carlo Bordini - Laura Bosio - Botto&Bruno - Silvia Bre - Enrico Brizzi - Luca Briasco - Elisabetta Bucciarelli - Franco Buffoni - Errico Buonanno - Lanfranco Caminiti - Rossana Campo - Maria Teresa Carbone - Massimo Carlotto- Lia Celi - Maria Corbi - Stefano Corradino - Mauro Covacich - Sandrone Dazieri - Erri De Luca - Derive Approdi - Donatella Diamanti - Jacopo De Michelis - Filippo Del Corno - Mario Desiati - Igino Domanin - Tecla Dozio - Nino D'Attis - Emergency - Francesco Forlani - Enzo Fileno Carabba - Ferdinando Faraò - Marcello Flores - Marcello Fois- Gabriella Fuschini - Barbara Garlaschelli - Enrico Ghezzi - Tommaso Giartosio - Lisa Ginzburg - Roberto Grassilli - Andrea Inglese - Chiara Ingrao - Franz Krauspenhaar - Kai Zen - Nicola Lagioia - Gad Lerner - Giancarlo Liviano - Claudio Lolli - Carlo Lucarelli - Marco Mancassola - Gianfranco Manfredi - Luca Masali - Sandro Mezzadra - Giulio Milani - Raul Montanari - Giuseppe Montesano - Elena Mora - Gianluca Morozzi - Giulio Mozzi - Moni Ovadia - Enrico Palandri - Chiara Palazzolo - Melissa Panarello - Valeria Parrella - Anna Pavignano - Lorenzo Pavolini - Giuseppe Pederiali - Sergio Pent - Santo Piazzese - Tommaso Pincio - Gabriella Piroli - Guglielmo Pispisa - Leonardo Pelo - Gabriele Polo - Andrea Porporati - Alberto Prunetti - Laura Pugno - Serge Quadruppani - Christian Raimo - Veronica Raimo - Franca Rame - Lidia Ravera - Jan Reister - Enrico Remmert - Marco Revelli - Ugo Riccarelli - Anna Ruchat - Teresa Sarti - Roberto Saviano - Sbancor - Clara Sereni - Gian Paolo Serino - Nicoletta Sipos - Piero Sorrentino - Antonio Spaziani - Gino Strada - Subsonica - Carola Susani - Stefano Tassinari - Annamaria Testa - Laura Toscano - Emanuele Trevi - Filippo Tuena - Raf Valvola Scelsi - Francesco Trento - Nicoletta Vallorani - Paolo Vari - Giorgio Vasta - Maria Luisa Venuta - Grazia Verasani - Sandro Veronesi - Marco Vichi - Roberto Vignoli - Simona Vinci - Yo Yo Mundi
Altre firme: Silvia Acquistapace - Armando Adolgiso - Enzo Aggazio - Valerio Aiolli - Fiora Aiazzi - Loredana Aiello - Cristina Ali Farah - Max Amato - Cris Amico - Cinzia Ardigò -Roberto Armani -Paolo Arosio - Monia Azzalini - Eva Banchelli - Barbara Barni - Adriano Barone -Daniela Basilico- Simona Baldanzi - Barbara Balzarotti - Remo Bassini - Elisabeth Baumgartner - Sandro Bellassai - Gigi Bellavita - Francesca Bonelli - Violetta Bellocchio - Paola Bensi - Alessandro Beretta - Alberto Bertini - Donatella Bertoncini - Marco Bettini - Paolo Bianchi - Nicoletta Billi - Valter Binaghi - Enrico Blasi -Augusto Bonato - Emanuele Bonati - Valentina Bosetti - Nadia Bovino - Giovanni Bozzo - Anna Bressanin - Annarita Briganti - Luciano Brogi - Gianluca Bucci - Manuela Buccino - Giusi Buondonno - Leonardo Butelli - Domenico Cacapardo - Daniele Caluri - Nives Camisa - Maurizia Cappello - Paolo Capuzzo - Luigi Capecchi -Alessandro Capra - Carlo Carabba - Enrico Caria - Valentina Carnelutti - Eleonora Carpanelli - Guido Castaman - Silvia Castoldi - Ettore Calvello- Francesco Campanoni - Ernesto Castiglioni - Fabrizio Centofanti - Paola Chiavon - Marcello Cimino - Paolo Cingolani - Anselmo Cioffi - Beatrice Cioni - Francesca Corona - Stefano Corradino - Marina Crescenti - Vittorio Cartoni - Marcello D'Alessandra - Cristina D'Annunzio - Gabriele Dadati - Manuela Dall'Acqua - Paola D'Apollonio - Antonella De Luca - Patrizia Debicke van der Noot - Lello Dell'Ariccia - Paolo Delpino - Valentina Demelas- Chiara Desiderio - Prisca Destro- Francesco Di Bartolo - Chiara Dionisi - Martina Donati - Bruna Durante - Arturo Fabra- Marina Fabbri - Franco Fallabrino - Graziella Farina - Giulia Fazzi - Giorgia Fazzini - Raffaele Ferrara - David Fiesoli - Claudia Finetti - Maurizio Forte -Lissa Franco - Daniela Gamba - Pupa Garriba - Walter Giordani - Viorica Guerri - Maria Nene Garotta - Luisa Gasbarri - Massimiliano Gaspari - Catia Gasparri - Valentina Gebbia - Lucyna Gebert- Silvana Giannotta -Angelica Grizi -Emiliano Gucci -Lello Gurrado - Francesca Koch - Rossella Kohler - Fabio Introzzi - Maria Rosaria La Morgia - Daniela Lampasona - Federica Landi - Loredana Lauri -Albertina La Rocca - Filippo Lazzarin - Sabina Leoni - Elda Levi - Mattea Lissia - Mariagrazia Lonza - Francesco Lo Piccolo - Giorgio Lulli - Monica Lumachi - Gordiano Lupi - Iseult Mac Call - Luca Maciocca- Giovanna Maiola - Alessandro Maiucchi- Ilaria Malagutti - Manuela Malchiodi - Felicetta Maltese - Emanuele Manco - Federica Manzon - Roger Marchi - Mauro Marcialis - Adele Marini - Gianluca Mascetti - Laura Mascia -Giusy Marzano- Anna Mascia - Mara Mattoscio - Stefano Mauri - Lorenzo Mazzoni - Ugo Mazzotta - Michele Mellara - Michele Meomartino- Camilla Miglio - Paola Miglio - Laura Mincer - Olek Mincer - Mauro Minervino - Roberto Mistretta- Giorgio Morale - Isabella Moroni - Elio Muscarella - Ettore Muscogiuri - Nino Muzzi - Rosario Nasti - No Reply - Giovanni Nuscis - Fabio Pagani - Dida Paggi - Valentina Paggi - Iulia Claudia Panescu - Rafael Pareja - Enrico Pau- Simonetta Pavan - Monica Pavani - Alessandra Pelegatta - Graziella Perin - Bruna Perraro - Seba Pezzani - Alessandro Piva- Serena Polizzi - Massimo Polizzi - Francesca Pollastro - Alessia Polli - Sabrina Poluzzi - Nicola Ponzio - Anna Porcu - Kiki Primatesta - Salvatore Proietti - Maddalena Pugno - Andrea Rapini - Vincent Raynaud - Paolo Reda - Luigi Reitani - Sergio Rilletti - Mirella Renoldi - Patrizia Riva - Monica Romanò - Alessandro Rossi - Grazia Rossi - Luisa Rossi - Marta Salaroli - Carlo Salvioni - Ida Salvo - Bianca Sangiorgio - Veronica Alessandra Scudella - Maria Serena Sapegno - Simone Sarasso - Dimitri Sardini - Monica Scagnelli - Angela Scarparo - Gabriella Schina - Elvezio Sciallis - Marinella Sciumè - Matteo Severgnini - Michèle Sgro - Carlo Arturo Sigon - Genziana Soffientini - Crio Spagnolo - Mario Spezi - Mila Spicola - Susi Sacchi - Mariagrazia Servidati - Mattia Signorini - Luigia Sorrentino - Stalker/Osservatorio nomade - Claudia Stra' - Luigi Taccone - Giorgio Tinelli - Veronica Todaro - Eugenio Tornaghi - Umberto Torricelli - Sara Tremolada - Renato Trinca - Nadia Trinei - Roberto Tumminelli -Tonino Urgesi - Sasa Vulicevic - Angela Valente - Roberto Valentini - Selene Verri - Diego Zandel - Salvo Zappulla
Non commentate, ma se siete d'accordo potete aderire cliccando qui: http://www.petitiononline.com/trianero/petition.html
La storia recente di questo paese è un susseguirsi di campagne d'allarme, sempre più ravvicinate e avvolte di frastuono. Le campane suonano a martello, le parole dei demagoghi appiccano incendi, una nazione coi nervi a fior di pelle risponde a ogni stimolo creando "emergenze" e additando capri espiatori.
Una donna è stata violentata e uccisa a Roma. L'omicida è sicuramente un uomo, forse un rumeno. Rumena è la donna che, sdraiandosi in strada per fermare un autobus che non rallentava, ha cercato di salvare quella vita. L'odioso crimine scuote l'Italia, il gesto di altruismo viene rimosso.
Il giorno precedente, sempre a Roma, una donna rumena è stata violentata e ridotta in fin di vita da un uomo. Due vittime con pari dignità? No: della seconda non si sa nulla, nulla viene pubblicato sui giornali; della prima si deve sapere che è italiana, e che l'assassino non è un uomo, ma un rumeno o un rom.
Tre giorni dopo, sempre a Roma, squadristi incappucciati attaccano con spranghe e coltelli alcuni rumeni all'uscita di un supermercato, ferendone quattro. Nessun cronista accanto al letto di quei feriti, che rimangono senza nome, senza storia, senza umanità. Delle loro condizioni, nulla è più dato sapere.
Su queste vicende si scatena un'allucinata criminalizzazione di massa. Colpevole uno, colpevoli tutti. Le forze dell'ordine sgomberano la baraccopoli in cui viveva il presunto assassino. Duecento persone, tra cui donne e bambini, sono gettate in mezzo a una strada.
E poi? Odio e sospetto alimentano generalizzazioni: tutti i rumeni sono rom, tutti i rom sono ladri e assassini, tutti i ladri e gli assassini devono essere espulsi dall'Italia. Politici vecchi e nuovi, di destra e di sinistra gareggiano a chi urla più forte, denunciando l'emergenza. Emergenza che, scorrendo i dati contenuti nel Rapporto sulla Criminalità (1993-2006), non esiste: omicidi e reati sono, oggi, ai livelli più bassi dell'ultimo ventennio, mentre sono in forte crescita i reati commessi tra le pareti domestiche o per ragioni passionali. Il rapporto Eures-Ansa 2005, L'omicidio volontario in Italia e l'indagine Istat 2007 dicono che un omicidio su quattro avviene in casa; sette volte su dieci la vittima è una donna; più di un terzo delle donne fra i 16 e i 70 anni ha subito violenza fisica o sessuale nel corso della propria vita, e il responsabile di aggressione fisica o stupro è sette volte su dieci il marito o il compagno: la famiglia uccide più della mafia, le strade sono spesso molto meno a rischio-stupro delle camere da letto.
Nell'estate 2006 quando Hina, ventenne pakistana, venne sgozzata dal padre e dai parenti, politici e media si impegnarono in un parallelo fra culture. Affermavano che quella occidentale, e italiana in particolare, era felicemente evoluta per quanto riguarda i diritti delle donne. Falso: la violenza contro le donne non è un retaggio bestiale di culture altre, ma cresce e fiorisce nella nostra, ogni giorno, nella costruzione e nella moltiplicazione di un modello femminile che privilegia l'aspetto fisico e la disponibilità sessuale spacciandoli come conquista. Di contro, come testimonia il recentissimo rapporto del World Economic Forum sul Gender Gap, per quanto riguarda la parità femminile nel lavoro, nella salute, nelle aspettative di vita, nell'influenza politica, l'Italia è 84esima. Ultima dell'Unione Europea. La Romania è al 47esimo posto.
Se questi sono i fatti, cosa sta succedendo?
Succede che è più facile agitare uno spauracchio collettivo (oggi i rumeni, ieri i musulmani, prima ancora gli albanesi) piuttosto che impegnarsi nelle vere cause del panico e dell'insicurezza sociali causati dai processi di globalizzazione.
Succede che è più facile, e paga prima e meglio sul piano del consenso viscerale, gridare al lupo e chiedere espulsioni, piuttosto che attuare le direttive europee (come la 43/2000) sul diritto all'assistenza sanitaria, al lavoro e all'alloggio dei migranti; che è più facile mandare le ruspe a privare esseri umani delle proprie misere case, piuttosto che andare nei luoghi di lavoro a combattere il lavoro nero.
Succede che sotto il tappeto dell'equazione rumeni-delinquenza si nasconde la polvere dello sfruttamento feroce del popolo rumeno.
Sfruttamento nei cantieri, dove ogni giorno un operaio rumeno è vittima di un omicidio bianco.
Sfruttamento sulle strade, dove trentamila donne rumene costrette a prostituirsi, metà delle quali minorenni, sono cedute dalla malavita organizzata a italianissimi clienti (ogni anno nove milioni di uomini italiani comprano un coito da schiave straniere, forma di violenza sessuale che è sotto gli occhi di tutti ma pochi vogliono vedere).
Sfruttamento in Romania, dove imprenditori italiani - dopo aver "delocalizzato" e creato disoccupazione in Italia - pagano salari da fame ai lavoratori.
Succede che troppi ministri, sindaci e giullari divenuti capipopolo giocano agli apprendisti stregoni per avere quarti d'ora di popolarità. Non si chiedono cosa avverrà domani, quando gli odii rimasti sul terreno continueranno a fermentare, avvelenando le radici della nostra convivenza e solleticando quel microfascismo che è dentro di noi e ci fa desiderare il potere e ammirare i potenti. Un microfascismo che si esprime con parole e gesti rancorosi, mentre già echeggiano, nemmeno tanto distanti, il calpestio di scarponi militari e la voce delle armi da fuoco.
Succede che si sta sperimentando la costruzione del nemico assoluto, come con ebrei e rom sotto il nazi-fascismo, come con gli armeni in Turchia nel 1915, come con serbi, croati e bosniaci, reciprocamente, nell'ex-Jugoslavia negli anni Novanta, in nome di una politica che promette sicurezza in cambio della rinuncia ai principi di libertà, dignità e civiltà; che rende indistinguibili responsabilità individuali e collettive, effetti e cause, mali e rimedi; che invoca al governo uomini forti e chiede ai cittadini di farsi sudditi obbedienti.
Manca solo che qualcuno rispolveri dalle soffitte dell'intolleranza il triangolo nero degli asociali, il marchio d'infamia che i nazisti applicavano agli abiti dei rom.
E non sembra che l'ultima tappa, per ora, di una prolungata guerra contro i poveri.
Di fronte a tutto questo non possiamo rimanere indifferenti. Non ci appartengono il silenzio, la rinuncia al diritto di critica, la dismissione dell'intelligenza e della ragione.
Delitti individuali non giustificano castighi collettivi.
Essere rumeni o rom non è una forma di "concorso morale".
Non esistono razze, men che meno razze colpevoli o innocenti.
Nessun popolo è illegale.
Scritto e promosso da: Alessandro Bertante, Gianni Biondillo, Girolamo De Michele, Valerio Evangelisti, Giuseppe Genna, Helena Janeczek, Loredana Lipperini, Monica Mazzitelli, Marco Philopat, Alberto Prunetti, Marco Rovelli, Stefania Scateni, Antonio Scurati, Beppe Sebaste, Lello Voce, Wu Ming.
Tra i primi firmatari: Fulvio Abbate - Maria Pia Ammirati - Manuela Arata - Bruno Arpaia - Articolo 21 Liberi di - Rossano Astremo - Andrea Bajani - Nanni Balestrini - Guido Barbujani - Ivano Bariani - Giuliana Benvenuti - Silvio Bernelli - Stefania Bertola - Bernardo Bertolucci - Sergio Bianchi - Ginevra Bompiani - Carlo Bordini - Laura Bosio - Botto&Bruno - Silvia Bre - Enrico Brizzi - Luca Briasco - Elisabetta Bucciarelli - Franco Buffoni - Errico Buonanno - Lanfranco Caminiti - Rossana Campo - Maria Teresa Carbone - Massimo Carlotto- Lia Celi - Maria Corbi - Stefano Corradino - Mauro Covacich - Sandrone Dazieri - Erri De Luca - Derive Approdi - Donatella Diamanti - Jacopo De Michelis - Filippo Del Corno - Mario Desiati - Igino Domanin - Tecla Dozio - Nino D'Attis - Emergency - Francesco Forlani - Enzo Fileno Carabba - Ferdinando Faraò - Marcello Flores - Marcello Fois- Gabriella Fuschini - Barbara Garlaschelli - Enrico Ghezzi - Tommaso Giartosio - Lisa Ginzburg - Roberto Grassilli - Andrea Inglese - Chiara Ingrao - Franz Krauspenhaar - Kai Zen - Nicola Lagioia - Gad Lerner - Giancarlo Liviano - Claudio Lolli - Carlo Lucarelli - Marco Mancassola - Gianfranco Manfredi - Luca Masali - Sandro Mezzadra - Giulio Milani - Raul Montanari - Giuseppe Montesano - Elena Mora - Gianluca Morozzi - Giulio Mozzi - Moni Ovadia - Enrico Palandri - Chiara Palazzolo - Melissa Panarello - Valeria Parrella - Anna Pavignano - Lorenzo Pavolini - Giuseppe Pederiali - Sergio Pent - Santo Piazzese - Tommaso Pincio - Gabriella Piroli - Guglielmo Pispisa - Leonardo Pelo - Gabriele Polo - Andrea Porporati - Alberto Prunetti - Laura Pugno - Serge Quadruppani - Christian Raimo - Veronica Raimo - Franca Rame - Lidia Ravera - Jan Reister - Enrico Remmert - Marco Revelli - Ugo Riccarelli - Anna Ruchat - Teresa Sarti - Roberto Saviano - Sbancor - Clara Sereni - Gian Paolo Serino - Nicoletta Sipos - Piero Sorrentino - Antonio Spaziani - Gino Strada - Subsonica - Carola Susani - Stefano Tassinari - Annamaria Testa - Laura Toscano - Emanuele Trevi - Filippo Tuena - Raf Valvola Scelsi - Francesco Trento - Nicoletta Vallorani - Paolo Vari - Giorgio Vasta - Maria Luisa Venuta - Grazia Verasani - Sandro Veronesi - Marco Vichi - Roberto Vignoli - Simona Vinci - Yo Yo Mundi
Altre firme: Silvia Acquistapace - Armando Adolgiso - Enzo Aggazio - Valerio Aiolli - Fiora Aiazzi - Loredana Aiello - Cristina Ali Farah - Max Amato - Cris Amico - Cinzia Ardigò -Roberto Armani -Paolo Arosio - Monia Azzalini - Eva Banchelli - Barbara Barni - Adriano Barone -Daniela Basilico- Simona Baldanzi - Barbara Balzarotti - Remo Bassini - Elisabeth Baumgartner - Sandro Bellassai - Gigi Bellavita - Francesca Bonelli - Violetta Bellocchio - Paola Bensi - Alessandro Beretta - Alberto Bertini - Donatella Bertoncini - Marco Bettini - Paolo Bianchi - Nicoletta Billi - Valter Binaghi - Enrico Blasi -Augusto Bonato - Emanuele Bonati - Valentina Bosetti - Nadia Bovino - Giovanni Bozzo - Anna Bressanin - Annarita Briganti - Luciano Brogi - Gianluca Bucci - Manuela Buccino - Giusi Buondonno - Leonardo Butelli - Domenico Cacapardo - Daniele Caluri - Nives Camisa - Maurizia Cappello - Paolo Capuzzo - Luigi Capecchi -Alessandro Capra - Carlo Carabba - Enrico Caria - Valentina Carnelutti - Eleonora Carpanelli - Guido Castaman - Silvia Castoldi - Ettore Calvello- Francesco Campanoni - Ernesto Castiglioni - Fabrizio Centofanti - Paola Chiavon - Marcello Cimino - Paolo Cingolani - Anselmo Cioffi - Beatrice Cioni - Francesca Corona - Stefano Corradino - Marina Crescenti - Vittorio Cartoni - Marcello D'Alessandra - Cristina D'Annunzio - Gabriele Dadati - Manuela Dall'Acqua - Paola D'Apollonio - Antonella De Luca - Patrizia Debicke van der Noot - Lello Dell'Ariccia - Paolo Delpino - Valentina Demelas- Chiara Desiderio - Prisca Destro- Francesco Di Bartolo - Chiara Dionisi - Martina Donati - Bruna Durante - Arturo Fabra- Marina Fabbri - Franco Fallabrino - Graziella Farina - Giulia Fazzi - Giorgia Fazzini - Raffaele Ferrara - David Fiesoli - Claudia Finetti - Maurizio Forte -Lissa Franco - Daniela Gamba - Pupa Garriba - Walter Giordani - Viorica Guerri - Maria Nene Garotta - Luisa Gasbarri - Massimiliano Gaspari - Catia Gasparri - Valentina Gebbia - Lucyna Gebert- Silvana Giannotta -Angelica Grizi -Emiliano Gucci -Lello Gurrado - Francesca Koch - Rossella Kohler - Fabio Introzzi - Maria Rosaria La Morgia - Daniela Lampasona - Federica Landi - Loredana Lauri -Albertina La Rocca - Filippo Lazzarin - Sabina Leoni - Elda Levi - Mattea Lissia - Mariagrazia Lonza - Francesco Lo Piccolo - Giorgio Lulli - Monica Lumachi - Gordiano Lupi - Iseult Mac Call - Luca Maciocca- Giovanna Maiola - Alessandro Maiucchi- Ilaria Malagutti - Manuela Malchiodi - Felicetta Maltese - Emanuele Manco - Federica Manzon - Roger Marchi - Mauro Marcialis - Adele Marini - Gianluca Mascetti - Laura Mascia -Giusy Marzano- Anna Mascia - Mara Mattoscio - Stefano Mauri - Lorenzo Mazzoni - Ugo Mazzotta - Michele Mellara - Michele Meomartino- Camilla Miglio - Paola Miglio - Laura Mincer - Olek Mincer - Mauro Minervino - Roberto Mistretta- Giorgio Morale - Isabella Moroni - Elio Muscarella - Ettore Muscogiuri - Nino Muzzi - Rosario Nasti - No Reply - Giovanni Nuscis - Fabio Pagani - Dida Paggi - Valentina Paggi - Iulia Claudia Panescu - Rafael Pareja - Enrico Pau- Simonetta Pavan - Monica Pavani - Alessandra Pelegatta - Graziella Perin - Bruna Perraro - Seba Pezzani - Alessandro Piva- Serena Polizzi - Massimo Polizzi - Francesca Pollastro - Alessia Polli - Sabrina Poluzzi - Nicola Ponzio - Anna Porcu - Kiki Primatesta - Salvatore Proietti - Maddalena Pugno - Andrea Rapini - Vincent Raynaud - Paolo Reda - Luigi Reitani - Sergio Rilletti - Mirella Renoldi - Patrizia Riva - Monica Romanò - Alessandro Rossi - Grazia Rossi - Luisa Rossi - Marta Salaroli - Carlo Salvioni - Ida Salvo - Bianca Sangiorgio - Veronica Alessandra Scudella - Maria Serena Sapegno - Simone Sarasso - Dimitri Sardini - Monica Scagnelli - Angela Scarparo - Gabriella Schina - Elvezio Sciallis - Marinella Sciumè - Matteo Severgnini - Michèle Sgro - Carlo Arturo Sigon - Genziana Soffientini - Crio Spagnolo - Mario Spezi - Mila Spicola - Susi Sacchi - Mariagrazia Servidati - Mattia Signorini - Luigia Sorrentino - Stalker/Osservatorio nomade - Claudia Stra' - Luigi Taccone - Giorgio Tinelli - Veronica Todaro - Eugenio Tornaghi - Umberto Torricelli - Sara Tremolada - Renato Trinca - Nadia Trinei - Roberto Tumminelli -Tonino Urgesi - Sasa Vulicevic - Angela Valente - Roberto Valentini - Selene Verri - Diego Zandel - Salvo Zappulla
Non commentate, ma se siete d'accordo potete aderire cliccando qui: http://www.petitiononline.com/trianero/petition.html
11/12/2007
Brutti, sporchi e cattivi (ma soprattutto poveri)
Sono tornato stanotte da un giro di impegni - letture soprattutto - in vari posti dell'Emilia. Una di queste era una lettura collettiva in memoria di Giorgio Messori, mio compagno, per anni, di scrittura, di viaggi, soprattutto di soste (vorrei dire di panchine). Ne ho approfittato per fare qualche sopralluogo sulle panchine, infatti, per vedere il mondo che si vede dalle panchine, là dove ancora ci sono. A Reggio Emilia ci sono, l'amministrazione, criticata e criticabilissima dagli amici, le ha moltiplicate, e non è demagogia: è confortante. Vorrei anche cogliere l'occasione per dire che la campagna che si sfoglia scendendo dai comuni collinari di Reggio Emilia è un paesaggio che è ancora paesaggio, nessun mostro geometrile o architettonico, molto verde e case basse, niente di speciale insomma, ma in realtà eccezionale nello scempio della provincia (e non solo) italiana. Ormai è ufficiale: nonostante altri mille progetti in corso d'opera, devo consegnare un libro sulle panchine per fine anno, e assomiglia anche troppo a una mia autobiografia: una vita sulle panchine. Ma vorrei che fosse anche un piccolo viaggio in Italia (e qui lancio un appello agli amici scrittori e non: raccontatemi, descrivetemi, segnalatemi delle panchine che vi colpiscono, che vorrei raccontare nel libro raccontando voi).
Ma mentre ero in viaggio, e prima, e anche adesso, c'è in atto una doverosa mobilitazione, dietro le quinte, per reagire all'ondata nazista (non trovo parole più aderenti ai fatti) scatenatasi dopo l'assassinio di una donna a Roma da parte di un rom. A parte l'equivalenza tra rumeni e rom (qualcuno ha segnalato che ormai non si sottilizza più per le vocali diverse, e che gente colta chiama i rumeni "romeni"), quello che agghiaccia e fa accapponare la pelle è l'orizzonte, nei discorsi, di una liquidazione dei rom, degli zingari, come unica "soluzione" a un problema gonfiato a dismisura. Il solito schema, la solita arma di distrazione di massa, come i lavavetri. L'infelicità e la disperazione sociali e culturali hanno ben altra causa e fonte in Italia, ma è facile fare massa e credere a un nemico. Le svolte totalitarie hanno sempre seguito questo schema. E tralascio di parlare del fatto che nessuno chiede la deportazione di statunitensi dopo l'assassinio di Perugia ad opera forse di tre bravi ragazzi, una dei quali di Seattle (per esempio) ... Il problema che dovrebbe coinvolgere chiunque è questo: la possibilità di esistere, la possibilità di essere singolari e plurali, di avere diritti di diversità e diritti di uguaglianza, insieme e allo stesso tempo. E viveversa la criminalizzazione di esistenze, etnie, apparatenenze, profili individuali e collettivi di persone... E' il problema secolare dell'antisemitismo, nato e cresciuto perché ai bianchi cattolici omogeneizzati fin dal Medioevo stava sulle palle chiunque fosse insieme uguale e diverso. Rileggiamo e ripubblichiamo le pagine su "lo straniero" di G. Simmel, definito come colui che arriva oggi e NON parte domani, ma resta qui ad arricchire le nostre modalità di vita residenziale con quella qualità speciale e feconda, di straniero e stanziale. A Roma ci sono gruppi di persone, artisti, ricercatori ecc. che hanno lavorato molto sui rom, per esempio il gruppo Stalker (che tra l'altro è alle spalle del libro di Francesco Careri Walkscapes (Einaudi), con pagine molto belle sulle periferie, sul camminare, sul nomadismo, sugli interstizi urbani) e l'Osservatorio nomade, o Angela Landini, che sta montando un film bellissimo sui rom sloggiati dall'area del Mattatoio...
Io ho poi notato questo, nei desolanti e struggenti servizi televisivi sui rom e sui rumeni (famiglie di lavoratori sloggiati dalle loro residenze miserabili, picchiati in quartieri di periferia da bande di giovani fascisti): alle loro spalle si vedono sempre delle panchine e dei giardinetti commoventi, e da questo non posso prescindere nel mio libro sulle panchine, che già in origine aveva preso le mosse dalla guerra contro i poveri che si combatte ormai da molto tempo in questo Paese e altrove... Ultima segnalazione: nel sito della Lipperini (Lipperatura) è in corso un intenso dibattito su questi argomenti...
P.S. Ricevo un documento statistico appena realizzato dall'INAIL, che parla di incidenti sul lavoro, di morti bianche: tra i dati, il fatto che la più alta percentuale di morti (bianche) sul lavoro (spesso nero) è di lavoratori di nazionalità rumena. Avrei voluto che un giornale, in questi giorni, aprisse con questo titolo...
Ma mentre ero in viaggio, e prima, e anche adesso, c'è in atto una doverosa mobilitazione, dietro le quinte, per reagire all'ondata nazista (non trovo parole più aderenti ai fatti) scatenatasi dopo l'assassinio di una donna a Roma da parte di un rom. A parte l'equivalenza tra rumeni e rom (qualcuno ha segnalato che ormai non si sottilizza più per le vocali diverse, e che gente colta chiama i rumeni "romeni"), quello che agghiaccia e fa accapponare la pelle è l'orizzonte, nei discorsi, di una liquidazione dei rom, degli zingari, come unica "soluzione" a un problema gonfiato a dismisura. Il solito schema, la solita arma di distrazione di massa, come i lavavetri. L'infelicità e la disperazione sociali e culturali hanno ben altra causa e fonte in Italia, ma è facile fare massa e credere a un nemico. Le svolte totalitarie hanno sempre seguito questo schema. E tralascio di parlare del fatto che nessuno chiede la deportazione di statunitensi dopo l'assassinio di Perugia ad opera forse di tre bravi ragazzi, una dei quali di Seattle (per esempio) ... Il problema che dovrebbe coinvolgere chiunque è questo: la possibilità di esistere, la possibilità di essere singolari e plurali, di avere diritti di diversità e diritti di uguaglianza, insieme e allo stesso tempo. E viveversa la criminalizzazione di esistenze, etnie, apparatenenze, profili individuali e collettivi di persone... E' il problema secolare dell'antisemitismo, nato e cresciuto perché ai bianchi cattolici omogeneizzati fin dal Medioevo stava sulle palle chiunque fosse insieme uguale e diverso. Rileggiamo e ripubblichiamo le pagine su "lo straniero" di G. Simmel, definito come colui che arriva oggi e NON parte domani, ma resta qui ad arricchire le nostre modalità di vita residenziale con quella qualità speciale e feconda, di straniero e stanziale. A Roma ci sono gruppi di persone, artisti, ricercatori ecc. che hanno lavorato molto sui rom, per esempio il gruppo Stalker (che tra l'altro è alle spalle del libro di Francesco Careri Walkscapes (Einaudi), con pagine molto belle sulle periferie, sul camminare, sul nomadismo, sugli interstizi urbani) e l'Osservatorio nomade, o Angela Landini, che sta montando un film bellissimo sui rom sloggiati dall'area del Mattatoio...
Io ho poi notato questo, nei desolanti e struggenti servizi televisivi sui rom e sui rumeni (famiglie di lavoratori sloggiati dalle loro residenze miserabili, picchiati in quartieri di periferia da bande di giovani fascisti): alle loro spalle si vedono sempre delle panchine e dei giardinetti commoventi, e da questo non posso prescindere nel mio libro sulle panchine, che già in origine aveva preso le mosse dalla guerra contro i poveri che si combatte ormai da molto tempo in questo Paese e altrove... Ultima segnalazione: nel sito della Lipperini (Lipperatura) è in corso un intenso dibattito su questi argomenti...
P.S. Ricevo un documento statistico appena realizzato dall'INAIL, che parla di incidenti sul lavoro, di morti bianche: tra i dati, il fatto che la più alta percentuale di morti (bianche) sul lavoro (spesso nero) è di lavoratori di nazionalità rumena. Avrei voluto che un giornale, in questi giorni, aprisse con questo titolo...
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11/04/2007
Un link
Ho appena scoperto con una certa emozione (leggendo i commenti a un mio pezzo on line) questo link: http://books.google.it/books?id=C2covBPHG58C&printsec=frontcover&dq=beppe+sebaste&sig=U8Ry4cYs9MrrCY1lRkr495KN77o dove si vede la copertina, davanti e dietro, e con alcune pagine interne, del mio Porte senza porta, di cui quest'anno ricorreva il decennale. Da rieditare, certo. Spero presto. (In copertina, una fotografia fatta in Giappone di una scultura del mio amico Kan Yasuda, che espone proprio in questi mesi negli archeologici Mercati di Adriano a Roma; l'avevo battezzata io - insieme ad altre - proprio così, "porta senza porta"; ne ho un modellino a casa).
Colgo l'occasione per mandare un appello al mio webmaster: "caro Papà di Gabriele, caro David, caro webmaster, fatti vivo, ho bisogno di te". Buona domenica.
Colgo l'occasione per mandare un appello al mio webmaster: "caro Papà di Gabriele, caro David, caro webmaster, fatti vivo, ho bisogno di te". Buona domenica.
11/03/2007
Senza titolo
Il 25 ottobre è nato Gabriele, figlio di Anna e David, il mio webmaster: siamo tutti in ferie, qui. A rallegrarci per Gabriele, naturalmente.
Nel frattempo ho pubblicato delle cosine, e ho leggiucchiato qui e là. Segnalo, come bellissimo, l'ultimo romanzo di Domenico Starnone, Prima esecuzione (Feltrinelli). Nella composizione, trovo somiglianze di famiglia con tutto quello che piace a me in un romanzo. Ma con una grazia tutta sua. L'ultimo Lansdale, La ragazza dal cuore d'acciaio (da Fanucci, dove nella quarta di copertina, per la seconda o terza volta, appare una mia frase su di lui, questa volta senza il mio nome, ma solo l'intestazione "da l'Unità), mi ha un po' deluso nel finale, ma sono state comunque ore piene e felici, in cui avrei rifiutato qualunque proposta sessuale o economica o altro pur di continuare a leggere.
Ho fatto una bellissima cena a Ostia di fronte al mare nella casa di un poeta ex pilota di linea, Sergio Zuccaro, con altri simpatici nuovi amici, tra cui la fotografa Maria Andreozzi (ha inquadrato particolari bellissimi di Ostia) e il pittore Elmerindo Fiore, le cui "cancellazioni" mi hanno profondamente emozionato. Dalla terrazza, oltre al sorriso bianco delle onde di notte, si vedono passare gli aerei. Mi hanno imbottito di regali e di libri. Lo stesso giorno sulle pagine di Roma di Repubblica c'era una mia pagina sulla luce e il vuoto di Ostia Antica, coincidenza. E a proposito di coincidenze: più tardi siamo andati a vedere l'idroscalo e il luogo in cui Pasolini è stato ammazzato: neanche a farlo apposta, era proprio la notte del 2 novembre. Ma il posto vero è stato ora coperto dal porto turistico, e anche il monumento che lo ricorda è stato spostato. C'era un cane tristissimo a tre zampe, grande, affettuoso, bianco, come uscito da uno dei primi film di Bunuel. E, lì di fianco, la torre di avvistamento progettata da Michelangelo. Ora avvista solo baracche, cani, spazi vuoti e informi. Per chi non lo sapesse: Ostia, antica e moderna, è nel comune di Roma, e non fa neppure municipio a sé.
Sono giorni, si sarà capito, in cui sto abbastanza in silenzio. Non so, forse dovrei chiedere cosa ne pensate di Putin e dell'idea di fare nuove armi nucleari, oppure se vi piacciono le caldarroste, o se sapete già cosa farete a Natale, e cosa ne pensate della fine del mondo. Il post si chiama senza titolo perché è solo una cosa intima. Anche se mi viene in mente un libro di un noto sinologo che si chiama "Il saggio non ha idee". Ma il saggio, a quel che so, non ha neanche parole, e non è ancora il mio caso.
Nel frattempo ho pubblicato delle cosine, e ho leggiucchiato qui e là. Segnalo, come bellissimo, l'ultimo romanzo di Domenico Starnone, Prima esecuzione (Feltrinelli). Nella composizione, trovo somiglianze di famiglia con tutto quello che piace a me in un romanzo. Ma con una grazia tutta sua. L'ultimo Lansdale, La ragazza dal cuore d'acciaio (da Fanucci, dove nella quarta di copertina, per la seconda o terza volta, appare una mia frase su di lui, questa volta senza il mio nome, ma solo l'intestazione "da l'Unità), mi ha un po' deluso nel finale, ma sono state comunque ore piene e felici, in cui avrei rifiutato qualunque proposta sessuale o economica o altro pur di continuare a leggere.
Ho fatto una bellissima cena a Ostia di fronte al mare nella casa di un poeta ex pilota di linea, Sergio Zuccaro, con altri simpatici nuovi amici, tra cui la fotografa Maria Andreozzi (ha inquadrato particolari bellissimi di Ostia) e il pittore Elmerindo Fiore, le cui "cancellazioni" mi hanno profondamente emozionato. Dalla terrazza, oltre al sorriso bianco delle onde di notte, si vedono passare gli aerei. Mi hanno imbottito di regali e di libri. Lo stesso giorno sulle pagine di Roma di Repubblica c'era una mia pagina sulla luce e il vuoto di Ostia Antica, coincidenza. E a proposito di coincidenze: più tardi siamo andati a vedere l'idroscalo e il luogo in cui Pasolini è stato ammazzato: neanche a farlo apposta, era proprio la notte del 2 novembre. Ma il posto vero è stato ora coperto dal porto turistico, e anche il monumento che lo ricorda è stato spostato. C'era un cane tristissimo a tre zampe, grande, affettuoso, bianco, come uscito da uno dei primi film di Bunuel. E, lì di fianco, la torre di avvistamento progettata da Michelangelo. Ora avvista solo baracche, cani, spazi vuoti e informi. Per chi non lo sapesse: Ostia, antica e moderna, è nel comune di Roma, e non fa neppure municipio a sé.
Sono giorni, si sarà capito, in cui sto abbastanza in silenzio. Non so, forse dovrei chiedere cosa ne pensate di Putin e dell'idea di fare nuove armi nucleari, oppure se vi piacciono le caldarroste, o se sapete già cosa farete a Natale, e cosa ne pensate della fine del mondo. Il post si chiama senza titolo perché è solo una cosa intima. Anche se mi viene in mente un libro di un noto sinologo che si chiama "Il saggio non ha idee". Ma il saggio, a quel che so, non ha neanche parole, e non è ancora il mio caso.
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10/16/2007
Sopravvivere
Poche parole. Ieri mi sono quasi addormentato su una panchina azzurra nella stazione di Ostia Antica. C'era una luce bellissima, cielo azzurro, pini parasole brillanti, e un'aria saporita, di sole e mare. Ma si vedeva solo verde. Credo che questo uso del tempo mi divarichi abbastanza dall'ondata di euforia e ottimismo che caratterizza gli italiani (quelli della mia parte, diciamo) dopo la vittoria di Veltroni e del Pd. Non che abbia nulla contro Veltroni, anzi. Eppure mi sento più solo. Se dovessi dirlo con una parodia (malinconicissima) penso al remake dell'invasione degli ultracorpi che ho visto l'altra sera al cinema, quello con Nicole Kidman e il tipo che ha fatto l'ultimo James Bond: lì si deve essere imperturbabili ed emotivamente spenti per non farsi riconoscere e catturare dagli alieni; qui bisogna essere sorridenti, allegri e ottimisti (non inquieti e smarriti; soprattutto non abbandonati su una panchina a Ostia Antica) per non essere emarginati. (O lo siamo già? Emarginati, alieni: quasi sinonimi).
Eppure ieri mattina ho passato un momento bello e intenso - e qui passiamo alle segnalazioni. Su l'Unità di oggi c'è il mio articolo-intervista al grande Claude Lanzmann (ero con lui ieri mattina, e oggi alle 12 lui è al Campidoglio con Veltroni, presentazione ufficiale). Lui è l'autore dello straordinario Shoah, film sulla testimonianza (sopravvivenza) che ci rende tutti testimoni (superstiti), film che ha inventato un nuovo genere, oltre la fiction e oltre il documentario. E' uscito ora da Einaudi, libro e dvd, lunghezza 9 ore e mezza, non un solo istante privo di suspens. L'intervista potete leggerla anche qui, sul sito. E potete leggere anche (mi fa piacere) l'affettuoso saluto-commento, il quindicesimo, al post sui fantasmi, una goccia di affetto nell'era degli ultracorpi democratici. Ultima segnalazione: domani al Museo Andersen, via Mancini 20, Roma, il sottoscritto relaziona al seminario di studi dal titolo Se l'arte interroga la storia, a cura della Fondazione Baruchello. Tema: gli anni Settanta (e la Woodman, almeno per me). Ancora sopravvivere e testimoniare...
Infine [Post scriptum, 19 ottobre]: su Venerdì di oggi un mio articolo-recensione all'ultimo libro scritto da Richard Brautigan, ora tradotto da ISBN: una miniera di humour, intelligenza, stramberie, ma anche dolore, un libro che insegna a scrivere con la la libertà anarchica che la vita richiede. L'ho già messo nel sito e potete leggerlo cliccando qui.
Eppure ieri mattina ho passato un momento bello e intenso - e qui passiamo alle segnalazioni. Su l'Unità di oggi c'è il mio articolo-intervista al grande Claude Lanzmann (ero con lui ieri mattina, e oggi alle 12 lui è al Campidoglio con Veltroni, presentazione ufficiale). Lui è l'autore dello straordinario Shoah, film sulla testimonianza (sopravvivenza) che ci rende tutti testimoni (superstiti), film che ha inventato un nuovo genere, oltre la fiction e oltre il documentario. E' uscito ora da Einaudi, libro e dvd, lunghezza 9 ore e mezza, non un solo istante privo di suspens. L'intervista potete leggerla anche qui, sul sito. E potete leggere anche (mi fa piacere) l'affettuoso saluto-commento, il quindicesimo, al post sui fantasmi, una goccia di affetto nell'era degli ultracorpi democratici. Ultima segnalazione: domani al Museo Andersen, via Mancini 20, Roma, il sottoscritto relaziona al seminario di studi dal titolo Se l'arte interroga la storia, a cura della Fondazione Baruchello. Tema: gli anni Settanta (e la Woodman, almeno per me). Ancora sopravvivere e testimoniare...
Infine [Post scriptum, 19 ottobre]: su Venerdì di oggi un mio articolo-recensione all'ultimo libro scritto da Richard Brautigan, ora tradotto da ISBN: una miniera di humour, intelligenza, stramberie, ma anche dolore, un libro che insegna a scrivere con la la libertà anarchica che la vita richiede. L'ho già messo nel sito e potete leggerlo cliccando qui.
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10/11/2007
Un maestro
"Non si diventa monaco per fare qualcosa o per ottenere qualcosa ma per essere. E' l'esistenza di tale aspirazione ontologica dell'essere umano che mi porta a parlare della dimensione monastica come di una dimensione costitutiva della vita umana". Cosa c'entra tutto questo con la filosofia, coi logos e i discorsi veritativi? - gli chiedo, e sorridiamo entrambi... "
E' un brano estratto da una conversazione che ebbi alcuni anni fa con Raymond Panikkar (durante il primo Festival di Filosofia a Modena), e che finalmente ora appare qui nel sito. Il mio è un invito a leggerla. Anche per salutare l'uscita in libreria di un piccolo bel volume da Bollati Boringhieri, un'altra conversazione (a cura di Jiso Forzani e Milena Pavan) col filosofo, monaco, maestro spirituale Raymond Panikkar. Titolo: Lo spirito della parola. Dedicato a un tema bellissimo e affascinante, per esempio il valore del pronome (da sempre chiave, o via maestra, di ogni filosofia e mistica).
Se non conoscete Panikkar, e ancora di più se lo conoscete, nella conversazione che qui vi linko, La sfida del monaco, trovate non dico tutto, ma molto di quello che vi darà voglia di conoscerlo di più. (In una prossima riedizione di Porte senza porta (il mio libro sui "maestri"), se e quando ci sarà, mi riprometto di aggiungere questa conversazione).
E' un brano estratto da una conversazione che ebbi alcuni anni fa con Raymond Panikkar (durante il primo Festival di Filosofia a Modena), e che finalmente ora appare qui nel sito. Il mio è un invito a leggerla. Anche per salutare l'uscita in libreria di un piccolo bel volume da Bollati Boringhieri, un'altra conversazione (a cura di Jiso Forzani e Milena Pavan) col filosofo, monaco, maestro spirituale Raymond Panikkar. Titolo: Lo spirito della parola. Dedicato a un tema bellissimo e affascinante, per esempio il valore del pronome (da sempre chiave, o via maestra, di ogni filosofia e mistica).
Se non conoscete Panikkar, e ancora di più se lo conoscete, nella conversazione che qui vi linko, La sfida del monaco, trovate non dico tutto, ma molto di quello che vi darà voglia di conoscerlo di più. (In una prossima riedizione di Porte senza porta (il mio libro sui "maestri"), se e quando ci sarà, mi riprometto di aggiungere questa conversazione).
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10/09/2007
Invito a Villa Medici
Oggi sulle pagine della cultura de l'Unità c'è un mio pezzo frettoloso ma denso su uno scrittore che amo, che ha scritto tra l'altro i libri più belli sul paesaggio urbano e le periferie di Parigi, Jean Rolin, fratello di un altro mio amico scrittore, Olivier Rolin. Non si può linkarlo (è un giornale cui occorre abbonarsi, ahimè, per leggerlo) ma per chi sta a Roma stasera alle 19,30 Jean Rolin fa una lettura a Villa Medici (l'Accademia di Francia), per il ciclo "Amare la letteratura". E' un maestro della letteratura di osservazione (genere in Italia praticato soprattutto da Gianni Celati), e sta preparando un libro sui cani randagi (cosa che la dice lunga, simbolicamente e non solo). Comunque, comprare l'Unità è una cosa che si può fare (quasi) ovunque. Buona giornata.
P.S. A mo' di elzeviro di costume, e per quei pochi che vengono qui e non su nazioneindiana, voglio linkarvi qui un pezzo di AndreaBajani che mi è piaciuto molto, e che vorrei avere scritto io
P.S. A mo' di elzeviro di costume, e per quei pochi che vengono qui e non su nazioneindiana, voglio linkarvi qui un pezzo di AndreaBajani che mi è piaciuto molto, e che vorrei avere scritto io
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10/06/2007
Cose di questi giorni, e altre più antiche e più attuali (come il sito di Cathy J.)
Cose di questi giorni (a parte il raffreddore). Per esempio articoli che mi hanno colpito: il tizio che hanno arrestato perché ha rubato due calzini, ma soprattutto perché si era assentato dal suo domicilio - cioè una panchina - in cui era agli arresti domiciliari (ci farò un capitolo del mio libro sulle panchine). Altri articoli sulla povertà in aumento (vedi post qui sotto di qualche tempo fa). L'invito, terribile gaffe ahimè rivelatrice, di Veltroni alla moglie di Berlusconi a entrare nel partito democratico - come se il criterio fosse lo stesso degli inviti alle feste di Briatore: la visibilità, la notorietà, in qualsiasi modo la si sia guadagnata.
Poi la foto, pubblicata da tutti i giornali giovedì scorso, in cui si vede la Mercedes guidata da Henri Paul (H.P.) - il cosiddetto "autista di Lady Diana", un attimo prima del crash, e i loro volti, l'espressione sbalordita di H.P. Una foto tragica, letteralmente, cioè di prima della fine; e nello stesso tempo, come mi ha scritto per sms un amico filosofo, di una "straniata tenerezza". "Sembra uscita dalle pagine del tuo libro", ha aggiunto. In effetti, è il lampo accecante scattato nel tunnel, causa o concausa dell'"incidente". Mistero: ma chi o cosa ha scattato quella foto? (i paparazzi, lo ricordo, erano dietro, seminati"dalla Mercedes). Così mi sono ritrovato a parlare alla radio ("Condor", Raidue, di Luca Sofri) e di nuovo in tv ("Omnibus", la 7, non so quando andrà in onda), dove ho conosciuto il re de paparazzi romani, il mitico Barillari (che pure non sa spiegare quella foto).
Oggi su la Stampa (Tuttolibri) c'è una pagina su di me scritta da me, un'autointervista per la serie delle "letture" che ogni settimana chiedono a uno scrittore (volevo linkarla, ma appare la pagina analoga della settimana scorsa. Ci proverò un'altra volta). [N.d.R., domenica 7 ott., link riuscito: eccola].
Ma è stato un altro il senso del mio impulso a fare un nuovo post: segnalare un sito che fin dall'inizio avrei voluto linkare al mio, già nella biografia (ma non era ancora accessibile). E' il sito della pittrice, già coreografa, Cathy Josefowitz, che vi invito a visitare (spulciando, troverete delle mie frasi, scritte vari anni fa). In attesa di fare un link ufficiale con lei (cosa da webmaster). E in attesa (se qualcuno mi aiuta) di farle fare dopo anni una mostra in Italia (preferibilmente per me a Roma). Buone giornate.
Poi la foto, pubblicata da tutti i giornali giovedì scorso, in cui si vede la Mercedes guidata da Henri Paul (H.P.) - il cosiddetto "autista di Lady Diana", un attimo prima del crash, e i loro volti, l'espressione sbalordita di H.P. Una foto tragica, letteralmente, cioè di prima della fine; e nello stesso tempo, come mi ha scritto per sms un amico filosofo, di una "straniata tenerezza". "Sembra uscita dalle pagine del tuo libro", ha aggiunto. In effetti, è il lampo accecante scattato nel tunnel, causa o concausa dell'"incidente". Mistero: ma chi o cosa ha scattato quella foto? (i paparazzi, lo ricordo, erano dietro, seminati"dalla Mercedes). Così mi sono ritrovato a parlare alla radio ("Condor", Raidue, di Luca Sofri) e di nuovo in tv ("Omnibus", la 7, non so quando andrà in onda), dove ho conosciuto il re de paparazzi romani, il mitico Barillari (che pure non sa spiegare quella foto).
Oggi su la Stampa (Tuttolibri) c'è una pagina su di me scritta da me, un'autointervista per la serie delle "letture" che ogni settimana chiedono a uno scrittore (volevo linkarla, ma appare la pagina analoga della settimana scorsa. Ci proverò un'altra volta). [N.d.R., domenica 7 ott., link riuscito: eccola].
Ma è stato un altro il senso del mio impulso a fare un nuovo post: segnalare un sito che fin dall'inizio avrei voluto linkare al mio, già nella biografia (ma non era ancora accessibile). E' il sito della pittrice, già coreografa, Cathy Josefowitz, che vi invito a visitare (spulciando, troverete delle mie frasi, scritte vari anni fa). In attesa di fare un link ufficiale con lei (cosa da webmaster). E in attesa (se qualcuno mi aiuta) di farle fare dopo anni una mostra in Italia (preferibilmente per me a Roma). Buone giornate.
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10/01/2007
Poesia, pullman, il mio articolo su fantasmi e after life, e una meditazione zen
Segnalato da vari media, e nell'ambito di RomaPoesia, dovevo partecipare ieri pomeriggio a questo evento, "Viaggio in tempo reale", organizzato da Carla Subrizi e Achille Bonito Oliva con la Fondazione Baruchello. Insomma, due/tre pullman che partono dal Colosseo carichi di poeti, artisti e gente strana - io dovevo addirittura guidarne con la voce uno, almeno per un tratto, e al microfono lanciare fuori parole, parole in movimento ovviamente, di modo che chi sente le prime non sente le seconde e così via, a meno di non essere sul pullmann o di corrergli dietro...
Dire è fare (dicono i linguisti; ma prima di loro, sicuramente, i poeti) e anche se non ci sono andato è come se ci fosse andato. Io immagino. Ed essendo Internet qualcosa di più complesso di un intrico di autostrade di Los Angeles, o di una città, e un blog qualcosa di più donchisciottesco di un pullman di poeti, posso benissimo - ho pensato - dire qui quello che in movimento avrei detto dal pullman. La mia idea era di leggere brani di un antico sutra, il Satipatthana Sutta. A dire il vero, per semplicità avrei detto (e qui lo posto) un montaggio abbreviato, che dà l'idea della infinita ripetizione, con poche varianti, di questo Sutra, così come l'avevo pubblicato a intervellare dei racconti nel mio vecchio feltrinelliano Niente di tutto questo mi appartiene (pagg.103-4). Avessi potuto orientare le tappe dell'evento, avrei scelto alcuni cimiteri della città, primo dei quali il cimitero acattolico del Testaccio, detto anche cimitero dei poeti. Spero che questo testo, un esercizio zen, una meditazione sulla vita, cioè sulla morte, non vi stupisca né vi turbi troppo. Io lo trovo sublime. [E naturalmente, sempre in tema, segnalo il mio pezzo uscito oggi su l'Unità, leggibile già nel sito, sui fantasmi, l'after life, il cinema, la letteratura e brani di una conversazione con Enrico Ghezzi. Si parla anche dell'immortalità dei corpi, e dell'arte contemporanea]
(...) Inoltre il praticante paragona il proprio corpo a un cadavere che immagina di vedere abbandonato in un cimitero, da uno a due giorni, gonfio e illividito, in putrefazione, e osserva: "Il mio corpo ha la stessa natura, subirà la stessa fine, non può evitarlo in nessun modo".
Inoltre il praticante paragona il proprio corpo a un cadavere che immagina di vedere abbandonato in un cimitero, beccato dai corvi, dilaniato dai falchi, avvoltoi, sciacalli, infestato di larve e vermi (...) e osserva: [...]
Inoltre il praticante paragona il proprio corpo a un cadavere che immagina di vedere abbandonato in un cimitero, è uno scheletro con residue macchie di sangue, ma senza più carne, le ossa tenute ancora insieme dai legamenti [...]
Inoltre il praticante paragona il proprio corpo a un cadavere che immagina di vedere abbandonato in un cimitero, tutto ciò che è rimasto è un cumulo di ossa sbiancate, color conchiglia [...]
Inoltre il praticante paragona il proprio corpo a un cadavere che immagina di vedere abbandonato in un cimitero, è passato molto più di un anno, tutto ciò che è rimasto è la polvere delle ossa sbriciolate, e osserva: "Il mio corpo ha la stessa natura, subirà la stessa fine, non può evitarlo in nessun modo".
Così il praticante si radica nell'osservazione del corpo nel corpo, dall'interno e dall'esterno del corpo, o da entrambi l'interno e l'esterno del corpo. Si radica nell'osservazione del processo di originazione e del processo di dissoluzione nel corpo, o in entrambi i processi di originazione e dissoluzione. E' consapevole del fatto: "Qui c'è un corpo", fino al raggiungimento della comprensione e della piena consapevolezza. Egli mantiene l'osservazione, libero, non intrappolato in nessuna considerazione mondana. Così si pratica l'osservazione del corpo nel corpo.
[Dedico questo evento di parola, ripetibile in qualsiasi luogo, agli organizzatori di "Viaggio in tempo reale", e a tutti i passanti (in ogni senso della parola) delle strade di Roma di ieri pomeriggio, domenica 30 settembre, cui era destinato. Da alternare, forse, con brani delle pagg. 171-2 di H.P. L'ultimo autista di lady Diana, là dove si descrivono i corpi viventi, pazienti e umili delle persone che aspettano l'autobus al mattino presto a Roma, e il narratore che arriva dall'aeroporto li vede da finestrini e piange senza capire perché].
Dire è fare (dicono i linguisti; ma prima di loro, sicuramente, i poeti) e anche se non ci sono andato è come se ci fosse andato. Io immagino. Ed essendo Internet qualcosa di più complesso di un intrico di autostrade di Los Angeles, o di una città, e un blog qualcosa di più donchisciottesco di un pullman di poeti, posso benissimo - ho pensato - dire qui quello che in movimento avrei detto dal pullman. La mia idea era di leggere brani di un antico sutra, il Satipatthana Sutta. A dire il vero, per semplicità avrei detto (e qui lo posto) un montaggio abbreviato, che dà l'idea della infinita ripetizione, con poche varianti, di questo Sutra, così come l'avevo pubblicato a intervellare dei racconti nel mio vecchio feltrinelliano Niente di tutto questo mi appartiene (pagg.103-4). Avessi potuto orientare le tappe dell'evento, avrei scelto alcuni cimiteri della città, primo dei quali il cimitero acattolico del Testaccio, detto anche cimitero dei poeti. Spero che questo testo, un esercizio zen, una meditazione sulla vita, cioè sulla morte, non vi stupisca né vi turbi troppo. Io lo trovo sublime. [E naturalmente, sempre in tema, segnalo il mio pezzo uscito oggi su l'Unità, leggibile già nel sito, sui fantasmi, l'after life, il cinema, la letteratura e brani di una conversazione con Enrico Ghezzi. Si parla anche dell'immortalità dei corpi, e dell'arte contemporanea]
(...) Inoltre il praticante paragona il proprio corpo a un cadavere che immagina di vedere abbandonato in un cimitero, da uno a due giorni, gonfio e illividito, in putrefazione, e osserva: "Il mio corpo ha la stessa natura, subirà la stessa fine, non può evitarlo in nessun modo".
Inoltre il praticante paragona il proprio corpo a un cadavere che immagina di vedere abbandonato in un cimitero, beccato dai corvi, dilaniato dai falchi, avvoltoi, sciacalli, infestato di larve e vermi (...) e osserva: [...]
Inoltre il praticante paragona il proprio corpo a un cadavere che immagina di vedere abbandonato in un cimitero, è uno scheletro con residue macchie di sangue, ma senza più carne, le ossa tenute ancora insieme dai legamenti [...]
Inoltre il praticante paragona il proprio corpo a un cadavere che immagina di vedere abbandonato in un cimitero, tutto ciò che è rimasto è un cumulo di ossa sbiancate, color conchiglia [...]
Inoltre il praticante paragona il proprio corpo a un cadavere che immagina di vedere abbandonato in un cimitero, è passato molto più di un anno, tutto ciò che è rimasto è la polvere delle ossa sbriciolate, e osserva: "Il mio corpo ha la stessa natura, subirà la stessa fine, non può evitarlo in nessun modo".
Così il praticante si radica nell'osservazione del corpo nel corpo, dall'interno e dall'esterno del corpo, o da entrambi l'interno e l'esterno del corpo. Si radica nell'osservazione del processo di originazione e del processo di dissoluzione nel corpo, o in entrambi i processi di originazione e dissoluzione. E' consapevole del fatto: "Qui c'è un corpo", fino al raggiungimento della comprensione e della piena consapevolezza. Egli mantiene l'osservazione, libero, non intrappolato in nessuna considerazione mondana. Così si pratica l'osservazione del corpo nel corpo.
[Dedico questo evento di parola, ripetibile in qualsiasi luogo, agli organizzatori di "Viaggio in tempo reale", e a tutti i passanti (in ogni senso della parola) delle strade di Roma di ieri pomeriggio, domenica 30 settembre, cui era destinato. Da alternare, forse, con brani delle pagg. 171-2 di H.P. L'ultimo autista di lady Diana, là dove si descrivono i corpi viventi, pazienti e umili delle persone che aspettano l'autobus al mattino presto a Roma, e il narratore che arriva dall'aeroporto li vede da finestrini e piange senza capire perché].
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9/28/2007
Due libri non per caso
In libreria ci sono due libri di autori che mi piacciono, e che forse anche per questo sono miei amici. Per caso si tratta di due gialli, o un giallo e un noir, le etichette poco importano. Uno (il noir) si chiama In fondo agli occhi del gatto, edito da Marsilio, autore Serge Quadruppani, francese, traduttore dall'italiano, che bazzica spesso a Roma (nel mio quartiere). Ne ha scritto una bella recensione Wu Ming 1 su l'Unità (poi ripresa da carmillaonline). L'altro (il giallo) si chiama L'uomo dei cerchi azzurri (Einaudi), ed è di Fred Vargas, anzi il suo primo romanzo con il commissario Adamsberg, il più poetico dei detectives. Su Fred Vargas potete leggere parole sue sul sito in un'intervista che le avevo fatto tempo fa per l'Unità (basta cliccare qui), che mi sembra ancora assai esaustiva. Ah, dimenticavo: sono due scrittori decisamente di sinistra, e questo non credo sia per caso.
Intanto, aspetto altri interventi stimolanti sul tema povertà, notizie, blog ecc. (post qui sotto).
[P.S. Ieri sera ho visto al Teatro Vascello di Roma una coreografia dedicata a Francesca Woodman (titolo: "Angelo per Cristiano" come quello di una foto di F. W.), creato da Alessandra Luberti, con lei e Simona Malato (due danzatrici che vivono a Palermo). Mi è piaciuto molto. Questa primavera ho scritto un lungo testo dedicato a Francesca Woodman (e agli anni '70) che uscirà ai primi di novembre sul n. 40 di Nuovi Argomenti. Aspetto quindi a metterlo sul sito.]
Intanto, aspetto altri interventi stimolanti sul tema povertà, notizie, blog ecc. (post qui sotto).
[P.S. Ieri sera ho visto al Teatro Vascello di Roma una coreografia dedicata a Francesca Woodman (titolo: "Angelo per Cristiano" come quello di una foto di F. W.), creato da Alessandra Luberti, con lei e Simona Malato (due danzatrici che vivono a Palermo). Mi è piaciuto molto. Questa primavera ho scritto un lungo testo dedicato a Francesca Woodman (e agli anni '70) che uscirà ai primi di novembre sul n. 40 di Nuovi Argomenti. Aspetto quindi a metterlo sul sito.]
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9/25/2007
Chiedo scusa se parlo di povertà
Da la Repubblica di oggi (on line): Pensionato ruba un pacco di pasta"E' il 25, sono senza soldi: ho fame". Il caso segnalato da un negoziante di Cagliari: "Lo ha nascosto ma gli è caduto davanti alle casse e si è messo a piangere". Organizzata una colletta nel quartiere. I Consumatori: "Questi casi si moltiplicano"...
Avevo acceso il computer per fare altro, ma non ho potuto non seguire l'impulso di postarlo. Io lo trovo straziante. Ma vorrei anche linkare un mio pezzo, scritto alcuni anni fa per l'Unità, in una serie sulle "eresie", che parla proprio di povertà: il titolo è lo stesso del post, Chiedo scusa se parlo di povertà. Non l'ho ancora messo nel sito ( lo si trova sul sito della Feltrinelli, o su nazioneindiana). [N.d.R.: ora è anche nel sito, basta cercarlo tra gli "articoli" o cliccare qui]. Leggetelo, per favore. Posso dire tranquillamente di essere stato il primo a parlarne, in questi ultimi anni, in Italia. Dico, della povertà che non si vede, della povertà che non fa notizia. Ora a quanto pare fa notizia. E' un bene?
Avevo acceso il computer per fare altro, ma non ho potuto non seguire l'impulso di postarlo. Io lo trovo straziante. Ma vorrei anche linkare un mio pezzo, scritto alcuni anni fa per l'Unità, in una serie sulle "eresie", che parla proprio di povertà: il titolo è lo stesso del post, Chiedo scusa se parlo di povertà. Non l'ho ancora messo nel sito ( lo si trova sul sito della Feltrinelli, o su nazioneindiana). [N.d.R.: ora è anche nel sito, basta cercarlo tra gli "articoli" o cliccare qui]. Leggetelo, per favore. Posso dire tranquillamente di essere stato il primo a parlarne, in questi ultimi anni, in Italia. Dico, della povertà che non si vede, della povertà che non fa notizia. Ora a quanto pare fa notizia. E' un bene?
9/21/2007
"Verderame" (e after life)
Dopo averlo cominciato stanotte, per rimandare il sonno, l'ho finito stamattina seduto al sole, rimandando ogni altro fare. Parlo di Verderame di Michele Mari (Einaudi), un romanzo bellissimo. Di solito mi dà fastidio evocare i premi letterari: ma se non danno il prossimo premio Strega a questo libro (ammesso che voglia concorrerci), non vedo a chi altri potrebbero darlo e con che faccia (tanto per dire: infatti, chi se ne frega dello Strega). In questo romanzo c'è tutto: un lavoro intenso sulla lingua, una consapevolezza del valore delle parole e del loro gioco spinto all'estremo, fino all'incanto; c'è l'incanto, l'infanzia, l'infanzia del linguaggio che non ha età; c'è l'incanto di una storia palpitante, e c'è quello doloroso della Storia; ci sono i morti che parlano sotto la lattuga, le lumache e il verderame, anagramma di vera madre, mentre alla tv nell'anno 1969 ci sono gli sceneggiati con Umberto Orsini, Paola Pitagora, Arnoldo Foa, ecc. C'è la vita e c'è un compendio di letteratura nell'esperienza di un quasi quattordicenne che basterebbe per insegnarla, per amarla. E' un libro su come la letteratura, comunque sia, dia senso alla vita fino a salvarla. Penso che si capisca che l'ho amato molto. Non conosco personalmente Mari, ma lo ammiro. Leggetelo.
Da due anni e mezzo cerco di scrivere una specie di romanzo che parla del parlare con i morti. Gli amici mi guardavano storto mentre lo dicevo - a quei pochissimi. Ora c'è questo romanzo di Mari, ed è bellissimo. Nello stesso tempo in questi giorni sono invitato a Procida a un festival di film vecchi, demodé, belli e antiquati: il festival che fa per me, ho pensato, inattuale, a cura tra gli altri di Enrico Ghezzi. Quello che mi sgomenta è il trait d'union, cinematografico-filosofico: l'after life, la "vita" (?) dopo la morte, insomma la morte e i morti. Non come HP, che pure è un after life, ma un parlare davvero con uno che sia morto, che è il massimo dell'avventura e dell'esperienza cui l'uomo aspiri (io credo). Mi sgomenta perché mi sento braccato nell'idea più intima e irriferibile che ho avuto nel corso degli ultimi anni (anche se, ormai lo so, quando qualcuno ha un'idea vera, vuol dire che altri ce l'hanno insieme a lui, contemporaneamente).
Da due anni e mezzo cerco di scrivere una specie di romanzo che parla del parlare con i morti. Gli amici mi guardavano storto mentre lo dicevo - a quei pochissimi. Ora c'è questo romanzo di Mari, ed è bellissimo. Nello stesso tempo in questi giorni sono invitato a Procida a un festival di film vecchi, demodé, belli e antiquati: il festival che fa per me, ho pensato, inattuale, a cura tra gli altri di Enrico Ghezzi. Quello che mi sgomenta è il trait d'union, cinematografico-filosofico: l'after life, la "vita" (?) dopo la morte, insomma la morte e i morti. Non come HP, che pure è un after life, ma un parlare davvero con uno che sia morto, che è il massimo dell'avventura e dell'esperienza cui l'uomo aspiri (io credo). Mi sgomenta perché mi sento braccato nell'idea più intima e irriferibile che ho avuto nel corso degli ultimi anni (anche se, ormai lo so, quando qualcuno ha un'idea vera, vuol dire che altri ce l'hanno insieme a lui, contemporaneamente).
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9/13/2007
"Dal fondo"
Vorrei segnalare un libro appena uscito da Avagliano, Dal fondo, antologia della poesia "marginale" a cura di Carlo Bordini e Antonio Veneziani, entrambi poeti. Intanto, è stato ripubblicato dopo 30 anni (uscì da Savelli nel 1978, quei librini con le copertine disegnate da Pablo Echaurren). Ma quel che è singolare è che appare oggi nello stesso tempo documentario e profezia: i reietti di cui sono antologizzate le espressioni - nelle quali allora, letteralmente, si galleggiava, perché il mondo dei marginali era il mondo della vita vera, se mi consentite l'espressione un po' retorica - le poesie cioè degli emarginati, dicevo, sono oggi l'espressione attualissima di quelli che, trent'anni dopo, paradossalmente non hanno più il diritto di parola -parola pubblica. Sono gli invisibili, i coscritti. Gli esclusi. Dallo sguardo, dal canone dello sguardo, e della notizia, cioè della considerazione collettiva e civile. Gli "albanesi". Viene in mente Plotino: il brutto è tale perché non lo guardiamo, non lo vogliamo guardare (e non viceversa; il brutto è ciò che si nasconde: i poveri, i vecchi, i malati di mente ecc.). A parte il fatto che una considerazione letteraria è giusta e doverosa (la nuova edizione di Dal fondo è introdotta da Emanuele Trevi, anticipata sull'Unità di oggi), a me sembra che una riflessione politica, contigua alle riflessioni sulla nuova attuale guerra contro i poveri (cui abbiamo accennato, e su cui occorre parlare), sia altrettanto se non più necessaria. Insomma, l'invito è a leggere questo libro, e a meditare, e a parlare insieme delle associazioni di idee che ci vengono. Sugli anni Settanta, sull'oggi, ecc. ecc.
[E già che ci sono segnalo pure, sempre edito da Avagliano, una strana antologia, con una brutta copertina, ma con testi interessanti, alcuni molto belli, sugli anni Settanta e Roma (c'è anche un mio testo, con delle poesie, un po' tirato per i capelli lo ammetto, tanto più che all'epoca ero un ragazzo; il più bello è la favola dell'incanto/disincanto di una giovanissima provinciale che arriva a Roma, scritta da Stefania Scateni). Il titolo è Renault 4. Scrivere a Roma negli anni Settanta, a cura di Carlo Bordini e Andrea Di Consoli].
[E già che ci sono segnalo pure, sempre edito da Avagliano, una strana antologia, con una brutta copertina, ma con testi interessanti, alcuni molto belli, sugli anni Settanta e Roma (c'è anche un mio testo, con delle poesie, un po' tirato per i capelli lo ammetto, tanto più che all'epoca ero un ragazzo; il più bello è la favola dell'incanto/disincanto di una giovanissima provinciale che arriva a Roma, scritta da Stefania Scateni). Il titolo è Renault 4. Scrivere a Roma negli anni Settanta, a cura di Carlo Bordini e Andrea Di Consoli].
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9/05/2007
Di passaggio
Troppe cose da dire - e da fare - e io sono molto pigro. Troppe cose e idee da collegare, linkare, segnalare, e a me piace passeggiare per strada, andare al caffé, all'enoteca o sulla panchina di un parco. Ho preso molti treni e molti aerei, vorrei stare fermo, ma già domani a Mantova (e qui bisognerebbe linkare il festivaletteratura, e segnalare il mio incontro alle 18,15 con gli artisti Botto&Bruno e con Stefania Scateni - tema: la città, le periferie, e come raccontarle - ma chi ne ha voglia? - e segnalare almeno un altro incontro, quello alle 15,30 con uno dei miei scrittori preferiti, Chuck Palahniuk - sul sito qui tra l'altro trovate un'intervista che gli avevo fatto anni fa). Poi andrò a Venezia, perché mi piace essere presente alla consegna del Leone d'oro (alla carriera) al mio amico Bernardo Bertolucci. Il mio problema è: come mi vesto? Non ho uno straccio da mettermi.
A parte questo, vorrei scrivere contro l'ultimo atto, in Italia e non solo, della guerra contro i poveri, la guerra che trasforma i mendicanti e i lavavetri in criminali. E' una delle cose più balorde e squallide che la non-sinistra italiano ha elaborato in questi anni.
A parte questo, vorrei scrivere contro l'ultimo atto, in Italia e non solo, della guerra contro i poveri, la guerra che trasforma i mendicanti e i lavavetri in criminali. E' una delle cose più balorde e squallide che la non-sinistra italiano ha elaborato in questi anni.
8/26/2007
Ponti
Riaffiora un gioco di parole che avevo letto tanti anni fa in Rousseau: les iles, l'exil (le isole, l'esilio: in francese suona quasi uguale). Poi mi viene in mente il quasi cliché "nessun uomo è un'isola". Finché ho ripreso a ri-leggere, anche qui a Linosa. Il libro è Totalità e infinito di Lévinas, un classico, da non commentare (i libri dei maestri non si commentano, cioè non si negoziano). L'insopprimibile aspirazione all'Altro, o al Tutt'Altro - questo il tema. Rompere la totalità a favore dell'infinito - creare varchi, passaggi, inoltrarsi. Rompere l'isola. Che non è più un'isola. (Che nessuno citi, per carità, il trash televisivo di una certa metaforica 'isola'). Piuttosto: ci sono persone che sono più isole, altre persone che sono più ponti. Come nel giochino "se fosse...". Non sto antropomorfizzando paesaggi, ma geomorfizzando caratteri. Io amo i ponti, e i pontieri. Scrivere è fabbricare ponti possibili (e peccato che 'pontificare' abbia assunto il senso che ha oggi, odioso e petulante). Pensieri così. Anche un blog è un ponte, che chissà dove si appoggia, per far passare chi.
Se fossi a casa tra le mie cose forse riuscirei a comporre il giusto e sentito omaggio verso un poeta e studioso di letteratura che stimo molto, e che se ne è andato nei giorni scorsi. Parlo di Alfredo Giuliani, il primo forse dei "novissimi". La sua origine nell'ambito delle avanguarde lo accomuna al mio maestro dell'Università di Bologna, Luciano Anceschi (maestro soprattutto di ingegno e tolleranza, di ecologia della mente tramite la poesia). Le polemiche dei decenni scorsi, dalle quali ho cercato sempre di fare astrazione, mai davvero convinto della loro necessità, lo oppone ad alcuni e lo accomuna ad altri. Mi ricordo come generosamente mi difese a un convegno a Reggio Emilia ("RicercaRe") dall'accusa mossami da R. Luperini di essere un "romantico" (va da sé che usare tale parola come accusa da cui difendersi mi sembra, e non da oggi, assolutamente grottesco). Accolse generosamente i miei strani racconti di "Café Suisse e altri luoghi di sosta", ecc. Ma Alfredo Giuliani era, è, un poeta. Un facitore di ponti, a volte frastagliati e traballanti come sono i ponti delle giostre, per divertirsi, o rischiosi come la corda su cui camminano i trapezisti e gli acrobati, altre volte incisivi e diretti come devono essere i ponti che ci portano in territori sconosciuti o ignorati. Leggete ad esempio (non ho molto altro da proporre da quest'isola) il suo Poema Chomsky, proposto come omaggio dagli amici di nazionendiana.
E ditemi se scrivere poesie non è esattamente come fabbricare dei ponti.
Se fossi a casa tra le mie cose forse riuscirei a comporre il giusto e sentito omaggio verso un poeta e studioso di letteratura che stimo molto, e che se ne è andato nei giorni scorsi. Parlo di Alfredo Giuliani, il primo forse dei "novissimi". La sua origine nell'ambito delle avanguarde lo accomuna al mio maestro dell'Università di Bologna, Luciano Anceschi (maestro soprattutto di ingegno e tolleranza, di ecologia della mente tramite la poesia). Le polemiche dei decenni scorsi, dalle quali ho cercato sempre di fare astrazione, mai davvero convinto della loro necessità, lo oppone ad alcuni e lo accomuna ad altri. Mi ricordo come generosamente mi difese a un convegno a Reggio Emilia ("RicercaRe") dall'accusa mossami da R. Luperini di essere un "romantico" (va da sé che usare tale parola come accusa da cui difendersi mi sembra, e non da oggi, assolutamente grottesco). Accolse generosamente i miei strani racconti di "Café Suisse e altri luoghi di sosta", ecc. Ma Alfredo Giuliani era, è, un poeta. Un facitore di ponti, a volte frastagliati e traballanti come sono i ponti delle giostre, per divertirsi, o rischiosi come la corda su cui camminano i trapezisti e gli acrobati, altre volte incisivi e diretti come devono essere i ponti che ci portano in territori sconosciuti o ignorati. Leggete ad esempio (non ho molto altro da proporre da quest'isola) il suo Poema Chomsky, proposto come omaggio dagli amici di nazionendiana.
E ditemi se scrivere poesie non è esattamente come fabbricare dei ponti.
8/13/2007
Isole
Salve a tutti, il pezzo sulle panchine uscito ieri sulla Repubblica si può leggerlo anche qui, sul sito.
Sono in partenza: Linosa, un'isoletta brulla e con un mare estremo, stile bagno penale. No, in realtà è molto bella. Riposo. Nuoto. Scrivo. (Anche le panchine, ora che ci penso, sono isole).
Impegni che mi ricordo: il 31 agosto a Como, festival "Parolario". Il 6 settembre a Mantova, "Festivaletteratura" (dialogo sulle periferie con gli artisti Botto&Bruno, e la giornalista Stefania Scateni). A presto...
Post scritptum, 25 agosto. Sono stanco di stare sull'isola, mi sembra di stare su una barca: sindrome del non poter scendere. In questo caso, non posso volare: non ci sono aerei, tranne quello prenotato, tra quattro/cinque giorni. Che mi saranno lunghissimi. Il mare è bello, sì (ho scoperto che quando si dice che il mare è bello, in realtà si intende la costa, quindi la "terra": in mezzo all'oceano o al mediterraneo a nessuno viene da dire che il mare è bello; il mare c'è, e basta), il mare è bello dicevo ma ci si stufa anche di quello. E poi ci sono le meduse, che stressano (come in un flm di Jacques tati, ho una risposta negativa per tutto). Clustrofobia. L'unica edicola/negozio di giocattoli ha solo un paio di romanzi di Faletti, non mi sono ancora degradato a questo punto. Ne ho letto uno di Grisham e un vecchio Patrick Quentin che a metà sembra un film di David Lynch. Ho divorato L'Ombra del vento, di Zafòn, una vera e propria telenovela, nel suo genere geniale. Ma ho esaurito le scorte, e l'accidia mi impedisce di giovarmi della rilettura di un classico di filosofia del Novecento che mi sono portato dietro. Perché non scrivere, allora? Già, perché? Chi scrive lo sa perché. A volte non si può, semplicemente, non si riesce. Help (mandatemi un aereo).
Sono in partenza: Linosa, un'isoletta brulla e con un mare estremo, stile bagno penale. No, in realtà è molto bella. Riposo. Nuoto. Scrivo. (Anche le panchine, ora che ci penso, sono isole).
Impegni che mi ricordo: il 31 agosto a Como, festival "Parolario". Il 6 settembre a Mantova, "Festivaletteratura" (dialogo sulle periferie con gli artisti Botto&Bruno, e la giornalista Stefania Scateni). A presto...
Post scritptum, 25 agosto. Sono stanco di stare sull'isola, mi sembra di stare su una barca: sindrome del non poter scendere. In questo caso, non posso volare: non ci sono aerei, tranne quello prenotato, tra quattro/cinque giorni. Che mi saranno lunghissimi. Il mare è bello, sì (ho scoperto che quando si dice che il mare è bello, in realtà si intende la costa, quindi la "terra": in mezzo all'oceano o al mediterraneo a nessuno viene da dire che il mare è bello; il mare c'è, e basta), il mare è bello dicevo ma ci si stufa anche di quello. E poi ci sono le meduse, che stressano (come in un flm di Jacques tati, ho una risposta negativa per tutto). Clustrofobia. L'unica edicola/negozio di giocattoli ha solo un paio di romanzi di Faletti, non mi sono ancora degradato a questo punto. Ne ho letto uno di Grisham e un vecchio Patrick Quentin che a metà sembra un film di David Lynch. Ho divorato L'Ombra del vento, di Zafòn, una vera e propria telenovela, nel suo genere geniale. Ma ho esaurito le scorte, e l'accidia mi impedisce di giovarmi della rilettura di un classico di filosofia del Novecento che mi sono portato dietro. Perché non scrivere, allora? Già, perché? Chi scrive lo sa perché. A volte non si può, semplicemente, non si riesce. Help (mandatemi un aereo).
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8/05/2007
Vacanze, fantasmi
Tra un viaggio e l'altro, o meglio una sosta e l'altra, ci sono alcune cose che mi ero ripromesso di segnalare. Per esempio. In attesa di un vero link col sito della mia amica Blueangy, che fa un mestiere più antico, forse, di quello dello scrittore (o cantastorie, o mitografo), e siccome il mio webmaster è in vacanza, e io sono un semianalfabeta di Internet e computer, ecco almeno una sua immagine. Lei vive anche delle proprie immagini (come molti di noi delle proprie parole), ed ha almeno una cosa in comune con gli scrittori che più amo: indossa le vite degli altri (i fantasmi degli altri) come abiti. Lavora con l'immaginazione, generosamente. E si mette in gioco. Questo è quanto ho imparato da lei, dopo averla conosciuta a una cena. E questo è anche l'oggetto (uno degli oggetti) della cosa (diciamo pure libro) che sto scrivendo (anche insieme a lei). Buone vacanze a tutti. Ciao Angy.
Il mio pezzo sulle "panchine" (luogo della vacanza permanente e intermittente di chi non va in vacanza, perché forse in vacanza ci è sempre), uscirà su Repubblica di domenica 12 agosto.
In morte di Michelangelo Antonioni, dolcissimo maestro con cui ho trascorso un anno fa il suo 94° compleanno, ho scritto un ricordo commosso per l'Unità del 1° agosto scorso. La stessa sera ho parlato di lui su Radiotre Suite. Rievocavo la sua mostra inauguratasi lo stesso giorno, il 29 settembre (negli ultimi anni Antonioni dipingeva meravigliose tele colorate). E come poi si sia lasciato lentamente morire, per congedarsi dalla vita oltre che dal cinema, dolcemente, discretamente. Lo ricordo con devozione e ammirazione grandissime. Il testo che ho scritto per i suoi quadri (poi rielaborato per il catalogo della mostra) potete leggerlo qui.
Ho molto amato un'improvvisata presentazione di H.P. a Lecce (ero in vacanza in Salento), nel cortile di un palazzo barocco, a cura di una libraia come ormai se ne trovano poche al mondo, Anna Palmieri, vera amante dei libri. Viceversa, la mondanissima presentazione che dovevo fare a Cortina, nell'ambito di "Cortinaincontra", è saltata perché l'aereo della banditesca compagnia Alpieagles è stato annullato. Ho recuperato, dopo un delizioso pranzo con amici in una specie di capanna con gli infissi rossi, sul mare mosso, vicino a Ostuni, e una passeggiata sulla spiaggia, parlando per un po' in conferenza telefonica in una saletta dell'aeroporto di Brindisi, esperienza un po' surreale, immaginandomi le Dolomiti sullo sfondo e l'arietta frizzante di montagna (per dortuna c'era l'aria condizionaa nella stanza). Poi ritorno a Roma.
Navigando su Internet ho poi trovato, enfin, un sito che parla male, crede di parlare male, del mio libro, perché sarebbe solo un "diario", e non parlerebbe di Diana, e che poi di un libro su Diana chi se ne frega, e cose così. Ma il titolo del pezzo, o blog, "due fantasmi in cerca d'autore", mi piace moltissimo, e tutto torna, perché c'è quella parolina lì, "fantasma", che sapete quanto mi è cara, e che per me è già tutto, contiene e dice tutta la motivazione dello scrivere, del suo perché e del suo percome. (Oddio, ho scritto un libro che parla di me, cioè dell'autore, cioè del narratore, che cosa scandalosa).
Il mio pezzo sulle "panchine" (luogo della vacanza permanente e intermittente di chi non va in vacanza, perché forse in vacanza ci è sempre), uscirà su Repubblica di domenica 12 agosto.
In morte di Michelangelo Antonioni, dolcissimo maestro con cui ho trascorso un anno fa il suo 94° compleanno, ho scritto un ricordo commosso per l'Unità del 1° agosto scorso. La stessa sera ho parlato di lui su Radiotre Suite. Rievocavo la sua mostra inauguratasi lo stesso giorno, il 29 settembre (negli ultimi anni Antonioni dipingeva meravigliose tele colorate). E come poi si sia lasciato lentamente morire, per congedarsi dalla vita oltre che dal cinema, dolcemente, discretamente. Lo ricordo con devozione e ammirazione grandissime. Il testo che ho scritto per i suoi quadri (poi rielaborato per il catalogo della mostra) potete leggerlo qui.
Ho molto amato un'improvvisata presentazione di H.P. a Lecce (ero in vacanza in Salento), nel cortile di un palazzo barocco, a cura di una libraia come ormai se ne trovano poche al mondo, Anna Palmieri, vera amante dei libri. Viceversa, la mondanissima presentazione che dovevo fare a Cortina, nell'ambito di "Cortinaincontra", è saltata perché l'aereo della banditesca compagnia Alpieagles è stato annullato. Ho recuperato, dopo un delizioso pranzo con amici in una specie di capanna con gli infissi rossi, sul mare mosso, vicino a Ostuni, e una passeggiata sulla spiaggia, parlando per un po' in conferenza telefonica in una saletta dell'aeroporto di Brindisi, esperienza un po' surreale, immaginandomi le Dolomiti sullo sfondo e l'arietta frizzante di montagna (per dortuna c'era l'aria condizionaa nella stanza). Poi ritorno a Roma.
Navigando su Internet ho poi trovato, enfin, un sito che parla male, crede di parlare male, del mio libro, perché sarebbe solo un "diario", e non parlerebbe di Diana, e che poi di un libro su Diana chi se ne frega, e cose così. Ma il titolo del pezzo, o blog, "due fantasmi in cerca d'autore", mi piace moltissimo, e tutto torna, perché c'è quella parolina lì, "fantasma", che sapete quanto mi è cara, e che per me è già tutto, contiene e dice tutta la motivazione dello scrivere, del suo perché e del suo percome. (Oddio, ho scritto un libro che parla di me, cioè dell'autore, cioè del narratore, che cosa scandalosa).
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7/30/2007
"Scarponi vuoti"
Da l'Unità, 24 luglio 2007
Si è svolta il 23 luglio a Roma “Morti bianche - Lavoro Nero”, una giornata dedicata alla sicurezza sul lavoro. Organizzata dalla Presidenza del Consiglio provinciale di Roma si è snodata dal mattino alla sera attraverso vari appuntamenti, politici, culturali e spettacolari. Al mattino sono stati proiettati i film e documentari 3,87 di Valerio Mastandrea, Apnea di Roberto Dordit, Morire per un giorno di lavoro di Donato Placido. È seguita, nel pomeriggio, una seduta straordinaria del Consiglio Provinciale durante la quale sono intervenuti per un dibattito sulle morti bianche il ministro del Lavoro Cesare Damiano, il Presidente della Provincia di Roma Enrico Gasbarra e l’assessore alle politiche del lavoro della Provincia Gloria Malaspina. Nel piazzale del Colosseo è stato allestito un percrso composto da scarpe antiinfortuni e caschi di protezione in un lungo serpentone per ricordare gli oltre cinquecento morti sul lavoro del 2007. In serata, lo stesso piazzale è stato teatro di letture teatrale e letterarie. Coordinati dal Trio Medusa, tre «Jene» che hanno realizzato per la trasmissione numerosi servizi sulle morti bianche, si sono avvicendati sul palco: Stefano Mencherini, autore del testo teatrale Il pane loro, al quale hanno collaborato Gianni D’Elia, Roberto Roversi, Franco Loi, Alda Merini e Attilio Lolini; l’attore e regista Ulderico Pesce, che ha recitato uno splendido brano dal suo ultimo spettacolo Il triangolo degli schiavi; Christian Raimo, che ha proposto La Montagna bianca, una dolente rivisitazione delle Beatitudini; Elena Stancanelli; Mauro Covacich, che ha letto un racconto ispirato al lavoro nei call center; Beppe Sebaste, che ha messo in scena una commovente litania con i nomi delle vittime del lavoro; e Marco Lodoli, che ha letto un racconto-poesia scritto per l’occasione.
"Scarponi vuoti", di Stefania Scateni
Ogni giorno in Italia quattro persone muoiono sul posto di lavoro. Dall’inizio dell’anno a oggi le vittime sono 587. Un numero destinato a crescere, un numero che è una vera e propria emergenza. È, però, un numero che non è un numero: 587 significa una persona morta per guadagnarsi da vivere, più un’altra persona morta per guadagnarsi da vivere, più un’altra ancora morta per guadagnarsi da vivere, più un’altra persona... 587 persone morte di lavoro. Uccise dall’incuria, dalla logica del profitto, dallo sfruttamento. L’altro ieri a Roma, davanti al Colosseo, hanno messo in fila, uno dopo l’altro, scarponi anti-infortunio ed elmetti di protezione (l’equipaggiamento per garantire il minimo di sicurezza nei cantieri). Volevano metterne tanti quante sono a oggi le vittime del lavoro. Ma non l’hanno potuto fare: quel serpentone di elmetti e scarponi sarebbe uscito dal piazzale, avrebbe camminato lungo i Fori Imperiali, sarebbe arrivato a piazza Venezia... Immaginate ora i piedi che erano dentro quelle scarpe, i corpi retti da quei piedi, provate a immaginarvi in fila, uno dopo l’altro, quei corpi, triturati dalle betoniere, schiacciati dalle presse, carbonizzati dal fuoco, dilaniati dagli scoppi, svuotati da una caduta dall’impalcatura, spezzati da un trattore. Persone di tutte le età e di tutte le nazionalità, persone con una famiglia, madri, padri, figli. Persone senza nome, immigrati al nero, senza storia. Provate adesso a sentire se vi succede qualcosa dentro. Se provate dolore o rabbia, o tutt’e due. Sentimenti semplici, umani, che molti attivano automaticamente alla vista di un gattino ferito. Se sentite qualcosa, a immaginarvi quei corpi ammucchiati e nascosti dietro il numero 587, non siete ancora anestetizzati. Non siete come le persone che non c’erano ieri l’altro al Colosseo, a testimoniare il loro sdegno per questa strage silenziosa. Che rischia di rimanere tale. Perché l’altra sera, a Morti bianche-Lavoro nero, la giornata organizzata dalla Provincia di Roma, non c’era pubblico. Non c’era il pubblico che si meriterebbero 587 morti, che non si meritano neanche gli artisti e gli scrittori che sono saliti sul palco. Quaranta, venti, cinquanta, trenta spettatori. Passanti. È vero, non c’era un cartello o un’insegna che spiegasse cosa stava succedendo, non c’erano sedie davanti al palco, e pochi sono disposti a sedersi per terra, sul pavè impolverato davanti al Colosseo. È vero, l’organizzazione dell’evento lasciava a desiderare. Ma quel vuoto davanti al palco, al Colosseo, ci racconta che siamo ormai anestetizzati, ci dice che abbiamo solo voglia di distrarci, non di occuparci delle tragedie quotidiane. E di quanto la vita in comune non ci interessi. Siamo soli. Vuoti. Come adesso quegli scarponi.
Si è svolta il 23 luglio a Roma “Morti bianche - Lavoro Nero”, una giornata dedicata alla sicurezza sul lavoro. Organizzata dalla Presidenza del Consiglio provinciale di Roma si è snodata dal mattino alla sera attraverso vari appuntamenti, politici, culturali e spettacolari. Al mattino sono stati proiettati i film e documentari 3,87 di Valerio Mastandrea, Apnea di Roberto Dordit, Morire per un giorno di lavoro di Donato Placido. È seguita, nel pomeriggio, una seduta straordinaria del Consiglio Provinciale durante la quale sono intervenuti per un dibattito sulle morti bianche il ministro del Lavoro Cesare Damiano, il Presidente della Provincia di Roma Enrico Gasbarra e l’assessore alle politiche del lavoro della Provincia Gloria Malaspina. Nel piazzale del Colosseo è stato allestito un percrso composto da scarpe antiinfortuni e caschi di protezione in un lungo serpentone per ricordare gli oltre cinquecento morti sul lavoro del 2007. In serata, lo stesso piazzale è stato teatro di letture teatrale e letterarie. Coordinati dal Trio Medusa, tre «Jene» che hanno realizzato per la trasmissione numerosi servizi sulle morti bianche, si sono avvicendati sul palco: Stefano Mencherini, autore del testo teatrale Il pane loro, al quale hanno collaborato Gianni D’Elia, Roberto Roversi, Franco Loi, Alda Merini e Attilio Lolini; l’attore e regista Ulderico Pesce, che ha recitato uno splendido brano dal suo ultimo spettacolo Il triangolo degli schiavi; Christian Raimo, che ha proposto La Montagna bianca, una dolente rivisitazione delle Beatitudini; Elena Stancanelli; Mauro Covacich, che ha letto un racconto ispirato al lavoro nei call center; Beppe Sebaste, che ha messo in scena una commovente litania con i nomi delle vittime del lavoro; e Marco Lodoli, che ha letto un racconto-poesia scritto per l’occasione.
"Scarponi vuoti", di Stefania Scateni
Ogni giorno in Italia quattro persone muoiono sul posto di lavoro. Dall’inizio dell’anno a oggi le vittime sono 587. Un numero destinato a crescere, un numero che è una vera e propria emergenza. È, però, un numero che non è un numero: 587 significa una persona morta per guadagnarsi da vivere, più un’altra persona morta per guadagnarsi da vivere, più un’altra ancora morta per guadagnarsi da vivere, più un’altra persona... 587 persone morte di lavoro. Uccise dall’incuria, dalla logica del profitto, dallo sfruttamento. L’altro ieri a Roma, davanti al Colosseo, hanno messo in fila, uno dopo l’altro, scarponi anti-infortunio ed elmetti di protezione (l’equipaggiamento per garantire il minimo di sicurezza nei cantieri). Volevano metterne tanti quante sono a oggi le vittime del lavoro. Ma non l’hanno potuto fare: quel serpentone di elmetti e scarponi sarebbe uscito dal piazzale, avrebbe camminato lungo i Fori Imperiali, sarebbe arrivato a piazza Venezia... Immaginate ora i piedi che erano dentro quelle scarpe, i corpi retti da quei piedi, provate a immaginarvi in fila, uno dopo l’altro, quei corpi, triturati dalle betoniere, schiacciati dalle presse, carbonizzati dal fuoco, dilaniati dagli scoppi, svuotati da una caduta dall’impalcatura, spezzati da un trattore. Persone di tutte le età e di tutte le nazionalità, persone con una famiglia, madri, padri, figli. Persone senza nome, immigrati al nero, senza storia. Provate adesso a sentire se vi succede qualcosa dentro. Se provate dolore o rabbia, o tutt’e due. Sentimenti semplici, umani, che molti attivano automaticamente alla vista di un gattino ferito. Se sentite qualcosa, a immaginarvi quei corpi ammucchiati e nascosti dietro il numero 587, non siete ancora anestetizzati. Non siete come le persone che non c’erano ieri l’altro al Colosseo, a testimoniare il loro sdegno per questa strage silenziosa. Che rischia di rimanere tale. Perché l’altra sera, a Morti bianche-Lavoro nero, la giornata organizzata dalla Provincia di Roma, non c’era pubblico. Non c’era il pubblico che si meriterebbero 587 morti, che non si meritano neanche gli artisti e gli scrittori che sono saliti sul palco. Quaranta, venti, cinquanta, trenta spettatori. Passanti. È vero, non c’era un cartello o un’insegna che spiegasse cosa stava succedendo, non c’erano sedie davanti al palco, e pochi sono disposti a sedersi per terra, sul pavè impolverato davanti al Colosseo. È vero, l’organizzazione dell’evento lasciava a desiderare. Ma quel vuoto davanti al palco, al Colosseo, ci racconta che siamo ormai anestetizzati, ci dice che abbiamo solo voglia di distrarci, non di occuparci delle tragedie quotidiane. E di quanto la vita in comune non ci interessi. Siamo soli. Vuoti. Come adesso quegli scarponi.
Intervista
(l'Unità, 30 luglio 2007)
Henri (fatto) a pezzi
Una vita oltre Diana
di Paolo Di Paolo
Alla sola figura «interamente, banalmente umana» della tragedia che dieci anni fa costò la vita a Lady Diana e a Dodi Al Fayed, Beppe Sebaste ha dedicato un romanzo strano e commovente, appena tornato in libreria: H.P. L’ultimo autista di Lady Diana (pagine 258, euro 11,00 Einaudi Stile Libero). Passò per responsabile dell’incidente, Henri Paul; fu bollato dai giornali come alcolizzato; il suo corpo, dopo la morte, fu ostaggio «di perizie e controperizie legate alla costruzione di una verità ufficiale» (la più facile, e forse proprio la meno attendibile). Nella casa del signor Paul, lasciata in ordine quella sera di agosto del 1997, c’erano delle baguette fresche in cucina, e un curioso biglietto in soggiorno: «Non fidatevi della stampa». Da qui - da una ricerca di tracce - comincia il romanzo di Sebaste, guidato dalla imprevista simpatia-empatia provata per questo «signor nessuno» schiacciato da una storia (un «gioco mondiale di Tarocchi») troppo più grande di lui. Nel rumore attorno alla morte della Principessa, chi si è preoccupato di salvaguardare la dignità dell’esistenza ordinaria di H.P.? e chi l’ha sentito il dolore della sua famiglia, stretta in una ingiuriosa morsa mediatica? Sebaste, portandosi dietro questi interrogativi (oltre a quello, il più angoscioso, di Celan: «Chi testimonia per i testimoni?»), tenta con coraggio un atto di restituzione. Mette in gioco sé stesso (i sentimenti non lo spaventano) e si fa accompagnare da H.P. in quel tunnel de l’Alma (ovvero dell’Anima), il cui nome, a posteriori, pare un’indicazione decisiva. Così compone un romanzo che è insieme indagine, testimonianza, diario; un libro straordinario in cui entra molta vita, che «è già senso»: ciò che di noi - di H.P. e di tutti; di tutti gli H.P. della Terra - si deposita qui (oggetti, gesti, parole; nelle case, negli occhi di chi resta). Perché «è solo parlando di qualcuno in particolare - da cui sei stato scelto, per così dire, piuttosto che aver scelto - è solo parlando della vita di qualcuno, senza illudersi di esaurirla, che si può far sì che chiunque possa riconoscersi».
H.P. L’ultimo autista di Lady Diana è un libro che coinvolge, commuove - e fino alle lacrime, a tratti: fa piangere perché, con il respiro della compassione, ci avvicina il valore delle nostre vite ordinarie, la complessità preziosa del nostro «privato». Sebaste riflette, domanda, ricorda; e spende di sé amori, passioni, incontri (appaiono con la forza di rivelazioni intuizioni e atti di Lévinas, di Derrida, di molti maestri, filosofi e scrittori) - per capire. Chiede molto alla letteratura, ne avverte (ne rinnova) la necessità. E senza schematismi o indici alzati, mostra - empiricamente - a molti suoi colleghi quali e quante domande essenziali hanno smesso, da troppo tempo, di porsi.
Beppe Sebaste, quando apparve per la prima volta, nel 2004, questo suo libro sembrò inaugurare, almeno in Italia, un genere nuovo, ibrido. Che cosa c’è dietro questo singolare approdo?
«Il tentativo di partecipare a una ricerca nuova che investe letterariamente sugli apporti di ciò che si chiama testimonianza, archivio, documentario. Porzioni intere di realtà vengono impastate di narrazione soggettiva, finendo col risultare - come hanno evidenziato in molti - più romanzesche di qualunque romanzo di finzione. È una modalità di scrittura che si sta affermando a livello planetario, e non solo in letteratura. Penso anche al cinema, a quanta vitalità intellettuale e sentimentale scaturisca dai documentari, lirici o avventurosi che siano. La scelta del documentario rappresenta una fortissima e necessaria reazione alla pervasività e all’invadenza di una cattiva dimensione narrativa, simulacrale, di vera finzione, prodotta da quegli organi che dovrebbero essere teoricamente deputati al racconto della verità. Sto parlando, va da sé, dei media. Immersi come siamo in una tale inutile, a volte nauseante, finzione-simulacro fine a se stessa, paradossalmente proprio chi che era deputato a raccontare storie, a produrre finzioni, mondi immaginari (lo scrittore) si trova invece a dover raccontare la realtà. C’è dunque una valenza politica in questa scoperta non solo italiana della dimensione documentaria nella fiction, di contro a una “finzionalizzazione” della realtà (e della politica)».
Pensa che la definizione di «romanzo» vada stretta a questo suo libro?
«No. H.P. è a tutti gli effetti un romanzo; ha partecipato al Premio Strega, che è un premio per romanzi. Lo si può considerare naturalmente il risultato di una evoluzione del genere. E d’altra parte, il romanzo non vive se non evolvendosi (da Balzac a Proust, da Joyce a Robbe-Grillet). È quando resta uguale a se stesso, che diventa para-letteratura, non-letteratura. O, tutt’al più, letteratura da stazione».
«H.P.» però non racconta un personaggio ma una persona. Questo non complica le cose?
«Ma in realtà Henri Paul, famoso per caso, è stato per la stampa esclusivamente un personaggio. E in fondo il titolo di questo libro accetta, con una certa amarezza, il cliché giornalistico: l’autista di Lady Diana. Quando lui non era né un autista, né tanto meno di Lady Diana. Era una persona normale, che faceva un mestiere affascinante: il responsabile della sicurezza dell’Hotel Ritz, il più complesso e leggendario albergo d’Europa. Proprio perché non sono un giornalista, ma uno scrittore, ho cercato - con i mezzi della letteratura (con il suo approccio “lento”, non semplicistico) - di far tornare persona un personaggio. L’intuizione che dietro quel colpevole designato, quel capro espiatorio ci fosse una persona, per la quale ho sentito empatia, mi ha guidato nel raccogliere testimonianze su di lui e, quasi senza soluzione di continuità, anche su me stesso».
Raccogliendo le tracce dell’esistenza di Henri Paul, qual è stato il sentimento in lei dominante?
«Forse lo stupore. “Che cos’è lui per me? chi sono io per lui?”, mi chiedevo. Queste stesse domande risuonano nell’Amleto di Shakespeare, in uno dei passi che mi emozionano di più. Quando viene messa in scena, davanti al principe, la morte di Ecuba, e l’interprete si commuove. “Che cosa è Ecuba per lui? Chi è lui per Ecuba?”, si domanda Amleto. Ecco, questa è l’etica della letteratura, della finzione che non è più finzione: perché le lacrime sono vere. Per me, la letteratura è un incontro infinito, di uno stupore infinito e senza nessuna traccia di pregiudizi, con l’umano, che è inesauribile. Attraversare e farsi attraversare dall’umano: questo è scrivere».
E quel «no trespassing» («non oltrepassare») che lei richiama nel libro - la frase che, nel film «Quarto potere», sta a protezione del privato del protagonista Kane - come lo si aggira, come va inteso?
«Il no trespassing indica l’impossibilità di incontrare l’umano attraverso il voyeurismo giornalistico, che è l’equivalente della pornografia. Il giornalismo, soprattutto quello televisivo, nella sua pretesa di penetrare tutto e dappertutto, in realtà non penetra niente. L’umano è irriducibile alle modalità di racconto dominanti. Mentre invece oltrepassare quella barriera, quella frontiera del “privato”, qualunque cosa significhi, non solo è possibile, ma è il dovere della letteratura, perché la letteratura non parla d’altro. E l’ambito, l’esperienza dell’umano oltre questa frontiera è talmente inesauribile che coincide con l’inesauribilità, l’illimitatezza della letteratura stessa».
Di verità e sconfitta della letteratura si dice nella quarta di copertina. Perché «sconfitta»?
«Sconfitta in senso politico. Se fosse vincente questo modo di accostarsi all’umano, se fosse la modalità diffusa, ci sarebbe una tale consapevolezza nel mondo, che non esisterebbero forse molte inutili sofferenze, molti inutili conflitti. Vivremmo nella reciproca comprensione e compassione, intesa in senso non religioso, ma più ampio, universale. “Sconfitta”, dunque, perché la letteratura non è un valore dominante. Penso a molti nostri politici. Hanno un’idea della complessità umana e della realtà quotidiana? Riescono davvero a capire, a sapere che cosa sono le persone ordinarie?».
Proprio la riflessione sulle esistenze ordinarie è stato uno dei moventi di questo libro.
«Riconoscere la commovente ordinarietà di una vita diventa più facile in uno scenario così fuori dal comune, così eclatante perché coinvolgeva la morte pubblica non tanto di una persona ma di un’icona, appunto Lady Diana. Una vita ordinaria, diceva Lévinas, richiede più coraggio di quella di un samurai».
Un altro dei temi del suo libro è quello dell’ingiustizia. Ma un destino umano può essere ingiusto?
«Non è ingiusto il destino di Henri Paul, nessun destino è ingiusto: ingiusto può essere invece il racconto che ne viene fatto, ingiuste le menzogne che occultano il senso di una vita. Ingiusto è stato che sui giornali di tutto il mondo Henri sia stato oltraggiato come ubriacone, come responsabile di una tragedia. Era invece una persona brillante, coscienziosa: due giorni prima di morire aveva superato un esame di volo molto complicato; suonava il piano, era uno splendido amico per i suoi amici. Dunque il motivo dell’ingiustizia riguarda anche la consapevolezza di come una famiglia - la famiglia di H.P. - possa essere spezzata, ammutolita dal dolore non solo per la morte di un figlio, ma per il modo in cui questa morte è stata trattata: un modo non “democratico”, nel senso di una democrazia radicale, biologica, necessaria. Farsi parte civile, in circostanze come questa, è un altro dei doveri della letteratura».
INTERVISTA CON LO SCRITTORE Beppe Sebaste che nel romanzo H.P. L’ultimo autista di Lady Diana indaga sul capro espiatorio della morte della principessa e sulla inesauribilità dell’esistenza umana
Henri (fatto) a pezzi
Una vita oltre Diana
di Paolo Di Paolo
Alla sola figura «interamente, banalmente umana» della tragedia che dieci anni fa costò la vita a Lady Diana e a Dodi Al Fayed, Beppe Sebaste ha dedicato un romanzo strano e commovente, appena tornato in libreria: H.P. L’ultimo autista di Lady Diana (pagine 258, euro 11,00 Einaudi Stile Libero). Passò per responsabile dell’incidente, Henri Paul; fu bollato dai giornali come alcolizzato; il suo corpo, dopo la morte, fu ostaggio «di perizie e controperizie legate alla costruzione di una verità ufficiale» (la più facile, e forse proprio la meno attendibile). Nella casa del signor Paul, lasciata in ordine quella sera di agosto del 1997, c’erano delle baguette fresche in cucina, e un curioso biglietto in soggiorno: «Non fidatevi della stampa». Da qui - da una ricerca di tracce - comincia il romanzo di Sebaste, guidato dalla imprevista simpatia-empatia provata per questo «signor nessuno» schiacciato da una storia (un «gioco mondiale di Tarocchi») troppo più grande di lui. Nel rumore attorno alla morte della Principessa, chi si è preoccupato di salvaguardare la dignità dell’esistenza ordinaria di H.P.? e chi l’ha sentito il dolore della sua famiglia, stretta in una ingiuriosa morsa mediatica? Sebaste, portandosi dietro questi interrogativi (oltre a quello, il più angoscioso, di Celan: «Chi testimonia per i testimoni?»), tenta con coraggio un atto di restituzione. Mette in gioco sé stesso (i sentimenti non lo spaventano) e si fa accompagnare da H.P. in quel tunnel de l’Alma (ovvero dell’Anima), il cui nome, a posteriori, pare un’indicazione decisiva. Così compone un romanzo che è insieme indagine, testimonianza, diario; un libro straordinario in cui entra molta vita, che «è già senso»: ciò che di noi - di H.P. e di tutti; di tutti gli H.P. della Terra - si deposita qui (oggetti, gesti, parole; nelle case, negli occhi di chi resta). Perché «è solo parlando di qualcuno in particolare - da cui sei stato scelto, per così dire, piuttosto che aver scelto - è solo parlando della vita di qualcuno, senza illudersi di esaurirla, che si può far sì che chiunque possa riconoscersi».
H.P. L’ultimo autista di Lady Diana è un libro che coinvolge, commuove - e fino alle lacrime, a tratti: fa piangere perché, con il respiro della compassione, ci avvicina il valore delle nostre vite ordinarie, la complessità preziosa del nostro «privato». Sebaste riflette, domanda, ricorda; e spende di sé amori, passioni, incontri (appaiono con la forza di rivelazioni intuizioni e atti di Lévinas, di Derrida, di molti maestri, filosofi e scrittori) - per capire. Chiede molto alla letteratura, ne avverte (ne rinnova) la necessità. E senza schematismi o indici alzati, mostra - empiricamente - a molti suoi colleghi quali e quante domande essenziali hanno smesso, da troppo tempo, di porsi.
Beppe Sebaste, quando apparve per la prima volta, nel 2004, questo suo libro sembrò inaugurare, almeno in Italia, un genere nuovo, ibrido. Che cosa c’è dietro questo singolare approdo?
«Il tentativo di partecipare a una ricerca nuova che investe letterariamente sugli apporti di ciò che si chiama testimonianza, archivio, documentario. Porzioni intere di realtà vengono impastate di narrazione soggettiva, finendo col risultare - come hanno evidenziato in molti - più romanzesche di qualunque romanzo di finzione. È una modalità di scrittura che si sta affermando a livello planetario, e non solo in letteratura. Penso anche al cinema, a quanta vitalità intellettuale e sentimentale scaturisca dai documentari, lirici o avventurosi che siano. La scelta del documentario rappresenta una fortissima e necessaria reazione alla pervasività e all’invadenza di una cattiva dimensione narrativa, simulacrale, di vera finzione, prodotta da quegli organi che dovrebbero essere teoricamente deputati al racconto della verità. Sto parlando, va da sé, dei media. Immersi come siamo in una tale inutile, a volte nauseante, finzione-simulacro fine a se stessa, paradossalmente proprio chi che era deputato a raccontare storie, a produrre finzioni, mondi immaginari (lo scrittore) si trova invece a dover raccontare la realtà. C’è dunque una valenza politica in questa scoperta non solo italiana della dimensione documentaria nella fiction, di contro a una “finzionalizzazione” della realtà (e della politica)».
Pensa che la definizione di «romanzo» vada stretta a questo suo libro?
«No. H.P. è a tutti gli effetti un romanzo; ha partecipato al Premio Strega, che è un premio per romanzi. Lo si può considerare naturalmente il risultato di una evoluzione del genere. E d’altra parte, il romanzo non vive se non evolvendosi (da Balzac a Proust, da Joyce a Robbe-Grillet). È quando resta uguale a se stesso, che diventa para-letteratura, non-letteratura. O, tutt’al più, letteratura da stazione».
«H.P.» però non racconta un personaggio ma una persona. Questo non complica le cose?
«Ma in realtà Henri Paul, famoso per caso, è stato per la stampa esclusivamente un personaggio. E in fondo il titolo di questo libro accetta, con una certa amarezza, il cliché giornalistico: l’autista di Lady Diana. Quando lui non era né un autista, né tanto meno di Lady Diana. Era una persona normale, che faceva un mestiere affascinante: il responsabile della sicurezza dell’Hotel Ritz, il più complesso e leggendario albergo d’Europa. Proprio perché non sono un giornalista, ma uno scrittore, ho cercato - con i mezzi della letteratura (con il suo approccio “lento”, non semplicistico) - di far tornare persona un personaggio. L’intuizione che dietro quel colpevole designato, quel capro espiatorio ci fosse una persona, per la quale ho sentito empatia, mi ha guidato nel raccogliere testimonianze su di lui e, quasi senza soluzione di continuità, anche su me stesso».
Raccogliendo le tracce dell’esistenza di Henri Paul, qual è stato il sentimento in lei dominante?
«Forse lo stupore. “Che cos’è lui per me? chi sono io per lui?”, mi chiedevo. Queste stesse domande risuonano nell’Amleto di Shakespeare, in uno dei passi che mi emozionano di più. Quando viene messa in scena, davanti al principe, la morte di Ecuba, e l’interprete si commuove. “Che cosa è Ecuba per lui? Chi è lui per Ecuba?”, si domanda Amleto. Ecco, questa è l’etica della letteratura, della finzione che non è più finzione: perché le lacrime sono vere. Per me, la letteratura è un incontro infinito, di uno stupore infinito e senza nessuna traccia di pregiudizi, con l’umano, che è inesauribile. Attraversare e farsi attraversare dall’umano: questo è scrivere».
E quel «no trespassing» («non oltrepassare») che lei richiama nel libro - la frase che, nel film «Quarto potere», sta a protezione del privato del protagonista Kane - come lo si aggira, come va inteso?
«Il no trespassing indica l’impossibilità di incontrare l’umano attraverso il voyeurismo giornalistico, che è l’equivalente della pornografia. Il giornalismo, soprattutto quello televisivo, nella sua pretesa di penetrare tutto e dappertutto, in realtà non penetra niente. L’umano è irriducibile alle modalità di racconto dominanti. Mentre invece oltrepassare quella barriera, quella frontiera del “privato”, qualunque cosa significhi, non solo è possibile, ma è il dovere della letteratura, perché la letteratura non parla d’altro. E l’ambito, l’esperienza dell’umano oltre questa frontiera è talmente inesauribile che coincide con l’inesauribilità, l’illimitatezza della letteratura stessa».
Di verità e sconfitta della letteratura si dice nella quarta di copertina. Perché «sconfitta»?
«Sconfitta in senso politico. Se fosse vincente questo modo di accostarsi all’umano, se fosse la modalità diffusa, ci sarebbe una tale consapevolezza nel mondo, che non esisterebbero forse molte inutili sofferenze, molti inutili conflitti. Vivremmo nella reciproca comprensione e compassione, intesa in senso non religioso, ma più ampio, universale. “Sconfitta”, dunque, perché la letteratura non è un valore dominante. Penso a molti nostri politici. Hanno un’idea della complessità umana e della realtà quotidiana? Riescono davvero a capire, a sapere che cosa sono le persone ordinarie?».
Proprio la riflessione sulle esistenze ordinarie è stato uno dei moventi di questo libro.
«Riconoscere la commovente ordinarietà di una vita diventa più facile in uno scenario così fuori dal comune, così eclatante perché coinvolgeva la morte pubblica non tanto di una persona ma di un’icona, appunto Lady Diana. Una vita ordinaria, diceva Lévinas, richiede più coraggio di quella di un samurai».
Un altro dei temi del suo libro è quello dell’ingiustizia. Ma un destino umano può essere ingiusto?
«Non è ingiusto il destino di Henri Paul, nessun destino è ingiusto: ingiusto può essere invece il racconto che ne viene fatto, ingiuste le menzogne che occultano il senso di una vita. Ingiusto è stato che sui giornali di tutto il mondo Henri sia stato oltraggiato come ubriacone, come responsabile di una tragedia. Era invece una persona brillante, coscienziosa: due giorni prima di morire aveva superato un esame di volo molto complicato; suonava il piano, era uno splendido amico per i suoi amici. Dunque il motivo dell’ingiustizia riguarda anche la consapevolezza di come una famiglia - la famiglia di H.P. - possa essere spezzata, ammutolita dal dolore non solo per la morte di un figlio, ma per il modo in cui questa morte è stata trattata: un modo non “democratico”, nel senso di una democrazia radicale, biologica, necessaria. Farsi parte civile, in circostanze come questa, è un altro dei doveri della letteratura».
INTERVISTA CON LO SCRITTORE Beppe Sebaste che nel romanzo H.P. L’ultimo autista di Lady Diana indaga sul capro espiatorio della morte della principessa e sulla inesauribilità dell’esistenza umana
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7/22/2007
"Quale silenzio?"
E' vero, in questo periodo con questo caldo non si ha voglia di fare niente. Perfino il blog radiofonico a Farhrenheit, cinque minuti al giorno, è stato faticoso (ogni volta il patema di improvvisare). Non ho avuto riscontri (non ho parlato con nessuno che mi abbia ascoltato: c'è qualcuno in linea che invece sì?), e in questo momento non ho realplayer, ma chi ce l'ha può ascoltarmi sul sito di radiotre che mi riguarda, che è questo. In uno di questi blog al telefono ho parlato di silenzio, e di vuoto. E siccome sul silenzio voglio leggere domani sera al Colosseo, per una serata sulle "morti bianche", una breve poesia di Raffaello Baldini dal titolo "Cinque minuti" (grazie a Deborah Gambetta che me l'ha spedita), mi anche venuto in mente un mio vecchio articolo sul silenzio scritto per l'Unità nel 2001, ora leggibile qui nel sito, anche cliccando qui. Insomma di cose da leggere, nonostante il caldo, ve ne dò. Pensieri e associazioni di idee per lavori presenti e futuri ne ho tantissimi, troppi. Manca solo la forza di passare all'atto. Ma è così bello stare in panchina, per un po', in tutti i sensi!... A proposito: domenica 29 su la Repubblica dovrebbe uscire un mio pezzo politico-letterario proprio sulle panchine. Infine: il titolo di questo post è una citazione difficile: un frammento di Kafka, un dialogo grottesco tra due voci, intervallate dal silenzio (che non appartiene a nessuno), un silenzio tipografico e impersonale, uno spazio bianco. Ma l'ultima voce (è questo il tratto geniale) dopo il bianco esclama: "Quale silenzio?" (P.S., nota autobiografica: il dialogo appare nel primo, primissimo librino che feci a 24 anni con Giorgio Messori, L'ultimo buco nell'acqua).
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7/15/2007
Alla cieca
Ho passato una settimana di metà luglio piuttosto originale: raffreddore e bronchite, con necessità di antibiotici. Negli stessi giorni una proliferazione di inviti per apparire in trasmissioni televisive, naturalmente caldeggiate dall'editore. Tema, lady Di - di cui ho ormai la nausea (io non ho scritto un romanzo su Diana, ma vallo a spiegare...). Un inferno col naso tappato, o meglio, per non abolire la speranza, un purgatorio con la tosse. E poi un pessimismo colossale, dubbi atroci sul futuro, smarrimento, ecc., che non so se c'entra con l'influenza. Una vita "privata" che fa acqua e non mi disseta (privata di cosa?). Disponibilità, forse, a cambiamenti radicali per il futuro. Quali? E' anche questa una metafora?
Non che ne sia uscito. Qualche mail di conforto, una gita ieri a Santa Marinella col pretesto di una mostra di paesaggi in scatola (letteralmente), e la performance di un'amica, ex allieva (Rakele Tombini); lo scoprire che posti vicini possono essere meravigliosi, come Santa Marinella appunto, con un mare aperto e limpido, roccioso, e una serenità assoluta. Anche la visita al sito di Deborah Gambetta, stanze bianche, mi ha fatto piacere. Grazie.
Potrei rifugiarmi in Salento qualche giorno ma scopro che il 23 luglio sono impegnato con altri scrittori a una serata al Colosseo sulle morti bianche ("lavoro nero, morti bianche"). Non ho idea di cosa potrò leggere. A parte la litania dei nomi dei morti, un rosario di insensato martirio (morire sul lavoro è quasi come morire in guerra, se non peggio).
Due sere fa è morta la mamma di un'amica cara. Si chiamava Gemma, adorava le rose. Quando potevo gliene regalavo, ma il regalo lo faceva lei, in realtà, restando per ore rapita ad ammirarle, come un pittore, come Cézanne che contemplava la Montagne Sainte-Victoire. Una meraviglia.
Da domani, e fino a venerdì prossimo, farò un blog orale, anzi radiofonico a Radiotre, in chiusura di Fahrenheit. Ogni volta cinque minuti, massimo dieci. L'idea è carina. Magari ci si sente. Ma ancora una volta mi chiedo cosa sia un blog, e se queste parole che ho appena scritto lo siano. Se basti la sincerità, o l'impudenza. Un inventario alla cieca (cioè un diario). E quali siano, altrimenti, le parole da dire.
Non che ne sia uscito. Qualche mail di conforto, una gita ieri a Santa Marinella col pretesto di una mostra di paesaggi in scatola (letteralmente), e la performance di un'amica, ex allieva (Rakele Tombini); lo scoprire che posti vicini possono essere meravigliosi, come Santa Marinella appunto, con un mare aperto e limpido, roccioso, e una serenità assoluta. Anche la visita al sito di Deborah Gambetta, stanze bianche, mi ha fatto piacere. Grazie.
Potrei rifugiarmi in Salento qualche giorno ma scopro che il 23 luglio sono impegnato con altri scrittori a una serata al Colosseo sulle morti bianche ("lavoro nero, morti bianche"). Non ho idea di cosa potrò leggere. A parte la litania dei nomi dei morti, un rosario di insensato martirio (morire sul lavoro è quasi come morire in guerra, se non peggio).
Due sere fa è morta la mamma di un'amica cara. Si chiamava Gemma, adorava le rose. Quando potevo gliene regalavo, ma il regalo lo faceva lei, in realtà, restando per ore rapita ad ammirarle, come un pittore, come Cézanne che contemplava la Montagne Sainte-Victoire. Una meraviglia.
Da domani, e fino a venerdì prossimo, farò un blog orale, anzi radiofonico a Radiotre, in chiusura di Fahrenheit. Ogni volta cinque minuti, massimo dieci. L'idea è carina. Magari ci si sente. Ma ancora una volta mi chiedo cosa sia un blog, e se queste parole che ho appena scritto lo siano. Se basti la sincerità, o l'impudenza. Un inventario alla cieca (cioè un diario). E quali siano, altrimenti, le parole da dire.
7/07/2007
In panchina
I tre giorni al festival dell'architettura e del paesaggio a Cagliari non giustificano questo silenzio, però l'uscita del libro, il brindisi per l'uscita del libro, la cosiddetta "promozione" (non mi oppongo a nulla a quanto mi chiede l'editore), le ultime lezioni all'accademia, gli esami, il caldo, la stanchezza, il desiderio di non far niente, tutto questo insieme un po' sì, lo giustifica. E anche, perché no, lo Strega a Niccolò Ammanniti l'altra sera. Ho desiderio di scrivere in silenzio, appartato. Il blog è troppo poco, a meno che non scriva un diario impudico e spezzato. A proposito: l'altra sera, alla libreria del cinema a Roma dove si brindava ad HP (le parole potevano dirsi solo col bicchiere in mano) mi è arrivato un sms da un amico di Parma che non ho potuto fare a meno di leggere a voce alta: "oggi la giunta comunale ha deciso di non querelare beppe sebaste...". Applausi dagli amici. E io li faccio anche a voi, a tutti quanti mi avete appoggiato testimoniandomi solidarietà.
A Cagliari ho incontrato amici che non vedevo da tempo, e già questo è molto piacevole. Anche la città è molto bella e piacevole, tra mare e una specie di laguna e montagne all'orizzonte. Il problema, tra tanti grandi nomi, è che gli ospiti difficilmente dialogavano tra loro, per esempio gli architetti non ascoltavano gli scrittori (viceversa, credo, è meno grave a un festival sul paesaggio e sulla conoscenza dei luoghi) e anche il celebre Rem Koohlaas ha questo di deludente, che non ascolta gli scrittori, e quanto mi dicono nemmeno la gente (quella che abita nei luoghi in cui gli scrittori vogliono intervenire: per esempo le periferie, per esempio quella di Cagliari, detta Sant'Elia). Confesso che, a arte il libro collettivo Periferie (Laterza 2006) sono un po' un pioniere di questa pratica - descrivere, andare in giro, uscire da proprio studio, perdersi e ritrovarsi là fuori, perdersi nel non sapere che cosa sia importante dire e osservare, andare sul terreno come i fotografi insomma - e qusto lo devo al lavoro negli anni '80 col grande Luigi Ghirri e tanti altri amici, come Giorgio Messori e Gianni Celati. Infatti, tra gli amici che ho avuto piacere di rivedere a Cagliari, vorrei citare il fotografo Gabriele Basilico. Gli ho parlato di questo, tra l'altro: il mio progetto (già avviato) di un piccolo libro sulle "panchine". Proprio così, questi oggetti interni/esterni in via di estinzione, che persino a Padova (sindaco DS) , dopo Treviso e Trieste, hanno deciso di abolire: sulle panchine si siedono i poveri e gli extracomunitari, e altra gente pericolosa. Infatti io mi siedo spesso. Che sia anche per questo che ricevo minacce di querele? Baci, a presto.
A Cagliari ho incontrato amici che non vedevo da tempo, e già questo è molto piacevole. Anche la città è molto bella e piacevole, tra mare e una specie di laguna e montagne all'orizzonte. Il problema, tra tanti grandi nomi, è che gli ospiti difficilmente dialogavano tra loro, per esempio gli architetti non ascoltavano gli scrittori (viceversa, credo, è meno grave a un festival sul paesaggio e sulla conoscenza dei luoghi) e anche il celebre Rem Koohlaas ha questo di deludente, che non ascolta gli scrittori, e quanto mi dicono nemmeno la gente (quella che abita nei luoghi in cui gli scrittori vogliono intervenire: per esempo le periferie, per esempio quella di Cagliari, detta Sant'Elia). Confesso che, a arte il libro collettivo Periferie (Laterza 2006) sono un po' un pioniere di questa pratica - descrivere, andare in giro, uscire da proprio studio, perdersi e ritrovarsi là fuori, perdersi nel non sapere che cosa sia importante dire e osservare, andare sul terreno come i fotografi insomma - e qusto lo devo al lavoro negli anni '80 col grande Luigi Ghirri e tanti altri amici, come Giorgio Messori e Gianni Celati. Infatti, tra gli amici che ho avuto piacere di rivedere a Cagliari, vorrei citare il fotografo Gabriele Basilico. Gli ho parlato di questo, tra l'altro: il mio progetto (già avviato) di un piccolo libro sulle "panchine". Proprio così, questi oggetti interni/esterni in via di estinzione, che persino a Padova (sindaco DS) , dopo Treviso e Trieste, hanno deciso di abolire: sulle panchine si siedono i poveri e gli extracomunitari, e altra gente pericolosa. Infatti io mi siedo spesso. Che sia anche per questo che ricevo minacce di querele? Baci, a presto.
6/26/2007
Per la memoria di Ustica, e altro
Domani, 27 giugno (e ventisettesimo anniversario), a Bologna, via Saliceto, dalle ore 17,30 si inaugura il Museo per la memoria di Ustica, col relitto dell'aereo ricomposto e un'opera che lo contiene dell'artista Christian Boltanski. Da un anno ho contribuito alla progettazione, e lo racconto in questo articolo-storia uscito su Venerdì due settimane fa, leggibile qui nel sito (sez. Incontri). Ma c'è un altro testo, che è stato senz'altro più difficile per me da scrivere, che compare come introduzione al libro-catalogo che accoglie il visitatore del Museo per la memoria di Ustica. Il libro riporta le immagini, volutamente piccole e un po' sfuocate, degli oggetti ripescati dal fondo del mare di Ustica, metonimie degli 81 morti innocenti. Lo potete leggere qui nel sito se cliccate il titolo, Lista degli oggetti personali appartenuti ai passeggeri del volo IH 870, e vi prego di farlo.
P.S. Da oggi è in libreria il mio H.P. targato Einaudi; in fondo è anch'esso un libro che si fa parte civile, e che racconta un fantasna, un'assenza, un'inchiesta, una vita normale e ordinaria, divenuta famosa e straordinaria per caso, per arbitrio, ecc. Ne è uscita una bella recensione di Marco Cicala sull'ultimo Venerdì (22 giugno).
Infine, anche un mio pezzo uscito su l'Unità (20 giugno), e su aprileonline, (19 giugno) - una riflessione o elzeviro che riprende e forse prolunga il bel pezzo (apparso su la Repubblica due settimane fa) di Bernardo Bertolucci, e dedicato al collettivo "centoautori" - è leggibile nel sito, sezione Articoli, col titolo Politica vuol dire immaginare.
N.B., giugno 2010 Il testo "Lista degli oggetti personali appartenuti ai passeggeri del volo IH 870" è stato anche pubblicato di recente, come ultimo testo, nel mio ultimo libro Oggetti smarriti e altre apparizioni (Laterza).
P.S. Da oggi è in libreria il mio H.P. targato Einaudi; in fondo è anch'esso un libro che si fa parte civile, e che racconta un fantasna, un'assenza, un'inchiesta, una vita normale e ordinaria, divenuta famosa e straordinaria per caso, per arbitrio, ecc. Ne è uscita una bella recensione di Marco Cicala sull'ultimo Venerdì (22 giugno).
Infine, anche un mio pezzo uscito su l'Unità (20 giugno), e su aprileonline, (19 giugno) - una riflessione o elzeviro che riprende e forse prolunga il bel pezzo (apparso su la Repubblica due settimane fa) di Bernardo Bertolucci, e dedicato al collettivo "centoautori" - è leggibile nel sito, sezione Articoli, col titolo Politica vuol dire immaginare.
N.B., giugno 2010 Il testo "Lista degli oggetti personali appartenuti ai passeggeri del volo IH 870" è stato anche pubblicato di recente, come ultimo testo, nel mio ultimo libro Oggetti smarriti e altre apparizioni (Laterza).
6/19/2007
Solidarietà e mobbing (politico)
Ok, sta circolando un testo, che esprime solidarietà nei miei confronti dopo una specie di "mobbing" di cui sono stato oggetto a Parma, e culminato nell'essere apostrofato dall'ex sindaco Ubaldi, ora consigliere comunale, mentre camminavo per strada a Parma ("Eccolo!"), e oggetto di frasi con gli amici con cui era seduto a un caffé (gli avevo teso la mano, con spontaneità un po' ingenua, e mi ha rifiutato platealmente il saluto: il sindaco di tutti). Essere additato e apostrofato per strada non è piacevole, specialmente da persone così potenti che spesso godono di immunità (o comunque si comportano come se fosse così). Anche se succede a Parma e io ormai abito a Roma. Ma è solo l'ultimo episodio. Così ,da alcuni amici è nata questa iniziativa che mi commuove. Che dovrà essere diffusa a Parma. E ringrazio tutti quelli che hanno aderito (si può farlo anche lasciando qui un commento):
Lo scrittore Beppe Sebaste, che ha appoggiato una lista di sinistra alle ultime elezioni amministrative di Parma vinte dal centro-destra (ovvero dalla lista "A Parma con Ubaldi"), è stato e continua ad essere bersaglio dei vincitori , e soprattutto dell'ex sindaco Ubaldi (padrino dell'attuale sindaco) con attacchi personali dal sapore intimidatorio a mezzo stampa, minacce di querela, fino alla messa all'indice per la strada. Sebaste ha solo dichiarato e argomentato il suo dissenso critico – politico e culturale - nei confronti dell’amministrazione di centro-destra di questi ultimi anni nella città di Parma. Conoscendo Beppe Sebaste, e stimando lo stile del suo lavoro e delle sue argomentazioni, desideriamo qui testimoniargli pubblicamente tutta la nostra solidarietà.
Enrica Antonioni (scenografa), Michelangelo Antonioni (regista), Nanni Balestrini (poeta), Renato Barilli (critico e storico dell’arte, Università di Bologna), Bernardo Bertolucci (regista), Carlo Bernardini (fisico, docente universitario), Giancarlo Bocchi (regista), Babsi Jones (scrittrice e blogger), Daria Bonfietti (presidente associazione dei parenti delle vittime di Ustica), Gianni Biondillo (scrittore), Ginevra Bompiani (scrittrice, editrice), Carlo Bordini (poeta e scrittore), Domenico Cacopardo (scrittore), Andrea Di Consoli (scrittore), Daniele Del Giudice (scrittore), Valerio Evangelisti (scrittore) Giuseppe Genna (scrittore), Nicola Lagioia (scrittore), Ugo Leonzio (scrittore), Loredana Lipperini (giornalista, scrittrice), Aldo Nove (scrittore) Enrico Palandri (scrittore), Ugo Riccarelli (scrittore), Tiziano Scarpa (scrittore), Stefania Scateni (giornalista), Antonio Scurati (scrittore), Domenico Starnone (scrittore), Younis Tawfik (scrittore), Valerio Varesi (scrittore), Sandro Veronesi (scrittore), Valeria Viganò (scrittrice), Simona Vinci (scrittrice), collettivo Wu Ming (scrittori), Mauro Barberis (filosofo, docente Università di Trieste), Laura Palmieri (artista), Tommaso Ottonieri (poeta, docente universitario), Lidia Riviello (poetessa), Carla Benedetti (critica letteraria, docente universitaria), Antonio Caronia (scrittore, filosofo), Franco Farinelli (direttore del Dipartimento di Comunicazione dell’Università di Bologna), Giulio Ferroni (critico e storico della letteratura, docente universitario), Sergio Givone (filosofo, docente universitario), Simonetta Lux (storica e critica dell'arte contemporanea, direttrice del Museo Laboratorio-Università di Roma la Sapienza), Giacomo Marramao (filosofo, docente universitario), Mario Perniola (filosofo, docente universitario), on. Nicola Tranfaglia (storico, docente universitario), Angelo Guglielmi, Massimo Carlotto [...]
Lo scrittore Beppe Sebaste, che ha appoggiato una lista di sinistra alle ultime elezioni amministrative di Parma vinte dal centro-destra (ovvero dalla lista "A Parma con Ubaldi"), è stato e continua ad essere bersaglio dei vincitori , e soprattutto dell'ex sindaco Ubaldi (padrino dell'attuale sindaco) con attacchi personali dal sapore intimidatorio a mezzo stampa, minacce di querela, fino alla messa all'indice per la strada. Sebaste ha solo dichiarato e argomentato il suo dissenso critico – politico e culturale - nei confronti dell’amministrazione di centro-destra di questi ultimi anni nella città di Parma. Conoscendo Beppe Sebaste, e stimando lo stile del suo lavoro e delle sue argomentazioni, desideriamo qui testimoniargli pubblicamente tutta la nostra solidarietà.
Enrica Antonioni (scenografa), Michelangelo Antonioni (regista), Nanni Balestrini (poeta), Renato Barilli (critico e storico dell’arte, Università di Bologna), Bernardo Bertolucci (regista), Carlo Bernardini (fisico, docente universitario), Giancarlo Bocchi (regista), Babsi Jones (scrittrice e blogger), Daria Bonfietti (presidente associazione dei parenti delle vittime di Ustica), Gianni Biondillo (scrittore), Ginevra Bompiani (scrittrice, editrice), Carlo Bordini (poeta e scrittore), Domenico Cacopardo (scrittore), Andrea Di Consoli (scrittore), Daniele Del Giudice (scrittore), Valerio Evangelisti (scrittore) Giuseppe Genna (scrittore), Nicola Lagioia (scrittore), Ugo Leonzio (scrittore), Loredana Lipperini (giornalista, scrittrice), Aldo Nove (scrittore) Enrico Palandri (scrittore), Ugo Riccarelli (scrittore), Tiziano Scarpa (scrittore), Stefania Scateni (giornalista), Antonio Scurati (scrittore), Domenico Starnone (scrittore), Younis Tawfik (scrittore), Valerio Varesi (scrittore), Sandro Veronesi (scrittore), Valeria Viganò (scrittrice), Simona Vinci (scrittrice), collettivo Wu Ming (scrittori), Mauro Barberis (filosofo, docente Università di Trieste), Laura Palmieri (artista), Tommaso Ottonieri (poeta, docente universitario), Lidia Riviello (poetessa), Carla Benedetti (critica letteraria, docente universitaria), Antonio Caronia (scrittore, filosofo), Franco Farinelli (direttore del Dipartimento di Comunicazione dell’Università di Bologna), Giulio Ferroni (critico e storico della letteratura, docente universitario), Sergio Givone (filosofo, docente universitario), Simonetta Lux (storica e critica dell'arte contemporanea, direttrice del Museo Laboratorio-Università di Roma la Sapienza), Giacomo Marramao (filosofo, docente universitario), Mario Perniola (filosofo, docente universitario), on. Nicola Tranfaglia (storico, docente universitario), Angelo Guglielmi, Massimo Carlotto [...]
6/10/2007
Estate
Gli scrosci d'acqua e le nuvole scure degli ultimi giorni ribadivano comunque che siamo in estate - e io ho ripreso il piacere di stare nella piazza San Cosimato (Trastevere) a guardare l'arancio, il rosa e l'azzurro sempre più chiaro all'ora dell'aperitivo, col vocio dei bambini che giocano a palla. Non è neorealismo, è una dimensione di vita, spero non di sopravvivenza, a cui aderisco con felicità, come i colori quasi technicolor che ho visto in questi giorni guardando il cielo e le nuvolette bianche. Nel frattempo: a) cerco casa stabile in campagna (Capalbio, preferibilmente, dove adoro il giallo mischiato al verde e la vicinanza del mare); b) ho ricevuto l'annuncio per mezzo stampa di due (2) querele dal Comune di Parma per avere scritto che, oltre che della desocializzazione della città e della sua vetrinizzazione sociale, è responsabile di avere promosso in questi anni opere pubbliche esteticamente ignobili, mentre ostacola gli artisti veri della città (nell'annuncio secco di querela, si rimprovera a me di non avere argomenti...); c) sulla Repubblica di oggi, pagine domenicali, sezione cultura, c'è un mio articolo sugli uffici degli "oggetti smarriti" (o "ritrovati"), che si può leggere anche qui, in questo sito; d) faccio ormai il conto alla rovescia per l'uscita della ristampa Einaudi di HP, che vorrei presentare con dei brindisi allegri come i colori di queste sere estive; e) non mi sono accorto per nulla dell'arrivo di Bush a Roma né delle proteste, alcune delle quali idiote e violente, di cui ho letto sui giornali ( come ha detto qualcuno, "la vita è altrove"); f) dopo avere divorato, come al solito quasi come sotto ipnosi, Mucho mojo (ristampato da Einaudi) di Joe Lansdale, lo scrittore più divertente che si trovi in circolazione, mi sto deliziando con Gli emigrati di W. G. Sebald (ristampato da Adelphi) e col nuovo romanzo di Valerio Varesi, Le imperfezioni (Frassinelli): quest'ultimo è bellissimo, fate conto un Pirandello "civile", cioè delicatamente politico. Buone giornate.
6/01/2007
Politica e restyling
Beh, com'è questo restyling del sito? Presto ci saranno più contenuti. Intanto, la nuova copertina di HP, di fianco a cui si può leggere il frontespizio della vecchia edizione, il bel testo di Lidia Ravera. In attesa di vostri commenti... io linko un mio vecchio articolo politico, piuttosto ironico, sulla parola riformismo, che dice cose ahimè sempre più attuali oggi (a Parma, per la cronaca, le elezioni sono andate malissimo, anche se si va al ballotaggio). C'è sempre di più una sinistra che fa di tutto per assomigliare alla destra, quasi che fossero in concorrenza, non portatrici di diverse visioni del mondo. Quasi che le differenziasse il packaging dello stesso prodotto, come le marche al supermercato. E poi già, la parola "sinistra" l'hanno tolta dal loro nome, i maggiori partiti, sradicata, come la memoria dell'unico leader carismatico dal dopoguerra (Enrico Berlinguer), quindi non li si può nemmeno rimproverare di questo. E' già una bella chiarezza. Eppure è come se un immenso tsunami di ottundimento, di instupidimento, abbia portato con sé buona parte dei politici. Domanda (che titolava un mio vecchio corsivo): ma la sinistra ama(va) il suo popolo? Nel 2002, in una pubblicazione dal titolo Non siamo in vendita (Arcana editore), si leggeva una bellissima e dolorosa poesia di Tiziano Scarpa, "El capitalismo foràneo" (poi ripubblicata in una sua raccolta da Fanucci), il cui leit-motiv dice:
“Solo l’essere amati, solo l’essere / voluti conta (…) / Capisco gli elettori del padrone / di mezza Italia, perché nella vita / l’unica cosa che conta è incappare / in qualcuno che voglia la tua vita. / Silvio Berlusconi mi vuole, mi ama, / mi fa sentire che ho anch’io qualcosa / da dargli, che a lui risulta gradito! (…) Il potere mi vuole! Vuole me! / (…) Non si vive se nessuno ti vuole. / Mi volete forse voi comunisti? / Mi volete forse voi democratici di sinistra? …”
Mi fermo qui, a continuare il mio lavoro invisibile. Un caro saluto.
“Solo l’essere amati, solo l’essere / voluti conta (…) / Capisco gli elettori del padrone / di mezza Italia, perché nella vita / l’unica cosa che conta è incappare / in qualcuno che voglia la tua vita. / Silvio Berlusconi mi vuole, mi ama, / mi fa sentire che ho anch’io qualcosa / da dargli, che a lui risulta gradito! (…) Il potere mi vuole! Vuole me! / (…) Non si vive se nessuno ti vuole. / Mi volete forse voi comunisti? / Mi volete forse voi democratici di sinistra? …”
Mi fermo qui, a continuare il mio lavoro invisibile. Un caro saluto.
5/28/2007
Bianco su bianco
E' il titolo del mio racconto uscito su la Repubblica (edizione romana) domenica scorsa, illustrato dal pittore Andrea Aquilanti - per la serie "i colori di Roma". (La cosa che mi impressiona di più è vedere che ormai gli scrttiori di Roma, cioè che vivono qui, sono la gran parte: merito del clima o di Veltroni?). Dopo queste giornate di impegni fitti, tra lavoro e gratuità (la piccola campagna elettorale a Parma, di cui sapremo i risultati stasera), lasciatemi il piacere di postare qualcosa che mi appartiene davvero - un racconto, bello o brutto che sia. Ed ecco perché posto qui, sul blog e non in un archivio del sito, questo "Bianco su bianco". Per rompere il ghiaccio dopo una lunga pausa.
Beppe Sebaste, Bianco su bianco
Da tempo, da quando me li aveva indicati mia moglie, pensavo che i gabbiani che svolazzano sull’Altare della Patria, soprattutto al crepuscolo nei mesi di primavera e d’estate, fossero fantasmi in una delle loro trasformazioni. Quel bianco su bianco, sui tetti dell’immensa macchina da scrivere di marmo, sullo sfondo di un cielo blu elettrico, non aveva più cessato di farmi sentire una strana premonizione, e insieme un’idea di comunanza. Se attraversando Piazza Venezia la sera vedevo i gabbiani svolazzare nell’ultima luce io ero allegro, ma di un’allegria irrequieta, un po’ nervosa, come l’energia di quegli uccelli che non stanno mai fermi, o che si posano a volte sulle statue del ponte di Castel Sant’Angelo, o dovunque ci sia dell’arte umana da prendere un po’ in giro, magari lasciar cadere dall’alto qualche cacca, tanto per giocare. I gabbiani e le statue, i gabbiani e l’arte: mi sembrava un bel tema. Come le panchine e i fantasmi. In realtà, ora lo so, è tutto collegato. Era un presentimento? Mi spiego.
All’inizio e alla fine di ogni colore, c’è sempre il bianco. Anche le statue sono bianche, le tele e i fogli dove si scrive sono bianchi. Ho sempre voluto fare lo scrittore, e l’ultima cosa che avrei voluto scrivere era sulle panchine, solo che… non ho fatto in tempo. Mi spiego meglio: il fatto è che nel frattempo sono diventato anch’io un fantasma. Me ne sono accorto per la prima volta una sera d’inizio primavera, e lì per lì non ci ho fatto molto caso.
Ero al Circolo degli Artisti sulla Casilina Vecchia, era sabato, l’aria era tiepida e c’era una luce molto tenera – la luce migliore di Roma. Non so come ero capitato lì, si inaugurava una mostra dal titolo “svuotamenti” - pezzi di mondo che vengono svuotati del visibile e, in cambio, riempiti di quello che non si vede mai, lo spazio tra le cose e tra la gente, lo spazio tra le forme (lo spazio dei fantasmi?). Avevo già guardato la mostra due volte, stranamente non mi aveva salutato nessuno, e mi sono seduto fuori in disparte, su una panchina col prato alle spalle. Sorseggiavo del vino e guardavo le ragazze che entravano e uscivano dal bar. Mi sentivo così in pace che mi misi a scrivere degli sms dolci: a mio figlio, a mia moglie, agli amici, alle amanti perdute, a quelle non ancora trovate. A tutti dicevo che stavo davvero bene, descrissi il rosso e l’arancio del tramonto, la luce romana di fine marzo. Intanto contemplavo la luce declinante e le ragazze e i ragazzi che sciamavano coi bicchieri in mano, parlottando come api in un giardino. Buffo che solo poco ore prima mi ero alzato dal letto in quello stato che una frase romantica dice così: “mentre contemplavo l’aurora, è calata la sera”. Ero passato da un crepuscolo all’altro, dopo una notte di… che cosa, in effetti?
Finché mi accorsi, mentre tenevo ancora in mano il telefonino, che l’orologio segnava sempre la stessa ora, le 20,00. Le otto di sera. Mi sentivo bene, mi sentivo in pace e contemplativo.
Mi sentivo invisibile.
Mi sentivo fuori dal tempo.
Allora sorrisi, perché capii. Ero diventato fantasma. Era stato questo a darmi voglia di scrivere? Scrivere, si sa, è una cosa che fanno i fantasmi.
Qualche segno c’era stato: quell’idea di scrivere sulle panchine, il tempo senza tempo di chi ci sta tutto il giorno sopra e intorno. Stare in panchina non è già una cosa da fantasmi?
Alcune, soprattutto, erano diventate le mie predilette, come quelle della piazzetta con la fontana intitolata a Cairoli, vicino al Ministero della Giustizia. Io lavoravo lì vicino (sono direttore dell’ufficio postale di via Arenula), e ci andavo a fare le pause. Sempre più spesso, devo dire. La chiamavo la “piazzetta dell’accasciato” perché c’è una statua di uno, credo Cairoli stesso, che siede con le gambe incrociate su una poltrona, completamente accasciato e tristissimo, con la mano sinistra a reggersi la testa, il braccio destro riverso di fianco alla poltrona, e un libro in mano che sta per cadergli per terra. Forse si è addormentato, o forse è così assorto da preoccupazioni e pensieri che non si rende conto. La cosa buffa è che, sulle panchine che costeggiano il giardinetto, le persone che si siedono (persone?) hanno assunto tutte quella stessa aria accasciata, forse perché sono disoccupati, e sembrano presi da una stanchezza o da un tedio tali, da lasciarsi tutti scivolare sulle panchine come se fossero schiacciati da preoccupazioni e pensieri sovrumani, come Cairoli – anche se quasi nessuno a dire il vero ha un libro in mano, e pur essendo facile provvedere a questo: a pochi metri c’è una bancarella che vende libri usati, e io stesso ci ho trovato più di una volta per pochi euro un libro che faceva al caso, poter accasciarmi su una panchina e leggere, oppure chiudere il libro nella mano e lasciarla cadere giù, alla mia destra, preso dai miei pensieri o dalla mia stanchezza di direttore dell’ufficio postale. Lì ci sono sempre degli uccelli, però svolazzano poco, si limitano a camminare saltellando, hanno l’aria anche loro un po’ stanca, e a volte si accasciano sull’erba rada e ingiallita – perché anche l’erba è stanca e accasciata per terra. Ecco, a pensarci, il fatto che passassi la maggior parte del tempo sulla piazzetta dell’accasciato, non avrebbe dovuto insospettirmi? Stavo diventando un fantasma, e anche quelli che si sedevano con me, e anche gli uccelli (per lo più piccioni). Ma questo lo capii solo dopo.
E’ su una di quelle panchine che conobbi il sig. Guzman. Guzman aveva i capelli rossi, era ebreo ma sembrava un irlandese, e tutti i giorni entrava e usciva dall’Istituto Italo Latino Americano. Cercava documenti, diceva, e non riusciva a farsi dare nessun riconoscimento di identità, e a sentir lui non aveva niente, solo il nome, Guzman, e che era ebreo, credo russo, ma parlava spagnolo e aveva i capelli rossi da irlandese, voleva andare in Argentina ed era il mio compagno di panchina. Aveva la faccia più anonima del mondo, mi faceva pensare a un racconto di Pirandello, però più rassegnato e moderno, finché una volta lo vidi diventare bianco, ma così bianco che sembrava una statua. Poi sparì. Non lo vidi più sulla panchina, finché una sera una cacca di piccione sulla spalla, poi altre a raffica sulla statua dell’accasciato mi fecero alzare la testa e vidi un uccello alto con un ciuffo rosso, e pensai a Guzman. Ora lo so, era lui. Adesso so un sacco di cose. Sono un fantasma anch’io.
Quella notte tornai dalla Casilina Vecchia, salii a casa e, mentre cercavo di aprire la porta con la chiave, vidi che la mia mano ci passava attraverso (la chiave però no, la lasciai sulla toppa), e andai da mia moglie tutto eccitato per dirglielo. Lei però era al telefono e non mi sentiva, nemmeno se parlavo forte. Uscii sul terrazzo attraversando i vetri, e guardai il cielo e la città gialla per via delle luci elettriche, e mi sembrò bellissima, anche se mi sembrava di guardarla attraverso un vetro sottile, o un plexiglas. E’ così che guardano i fantasmi, come dietro un vetro. L’aria frizzante mi dava piccoli brividi attraversandomi, e mi sentivo davvero in forma. Mia moglie era sempre al telefono (ma con chi parlava?) e non c’era davvero nulla che potessi fare per richiamare la sua attenzione. Passai le ore in terrazza a guardare e pensare, ogni tanto rientravo – stare dentro era come stare fuori - e intanto diventavo sempre più bianco, “bianco come un fantasma” esclamai, e scoppiai a ridere da solo, una risata stridula da fantasma timido. Mia moglie era sempre al telefono, agitata. Poco prima dell’alba rimasi seduto sul cornicione a guardare giù, indeciso se avere paura del vuoto. Macché. E pensare che una volta soffrivo di vertigini. E se magari volo?, mi sono detto. No, i fantasmi non sono angeli, al massimo fluttuo, però non mi sfracellerò al suolo, tutt’al più divento terra, divento suolo, potrei perfino farmi calpestare dagli altri. E intanto dondolavo i miei arti di fantasma sulla balaustra arrugginita. Guardavo i tetti, le cupole in lontananza, la città invisibile dietro la città visibile, mentre io stesso facevo parte dell’invisibile, ero - risi tra me e me - l’uomo invisibile. Quello che, ha scritto un poeta, non si vede mai, neanche nei film dell’Uomo invisibile, neanche fuori dal cinema, dopo il film. Fu in quel momento che mi lasciai andare, oltre la terrazza e la balaustra, oltre tutte quelle forme e quei vuoti tra le forme, oltre le correnti d’aria. Ciao, dissi alla finestra, ai quadri e ai mobili (mia moglie era sempre al telefono e non mi vide: le sorrisi), leviamo le ancore, cessiamo ogni attaccamento e lasciamo ogni presa, è bello il vento che mi passa attraverso, sono davvero felice. Fu dopo pochissimo tempo (quanto, non saprei calcolarlo) che mi ritrovai a svolazzare sul Castel Sant’Angelo, sopra le statue bianche, sopra le chiese bianche, e da lì mi diressi verso i miei simili, erano tanti, e volteggiai insieme a loro allegramente, ridevamo danzando, scrivevamo frasi sul cielo nella nostra allegra scrittura di fantasmi, sul foglio bianco della Macchina da Scrivere, sul cielo grande e scuro che cominciava a diventare colorato, sopra quel piccolo altare bianco.
Beppe Sebaste, Bianco su bianco
Da tempo, da quando me li aveva indicati mia moglie, pensavo che i gabbiani che svolazzano sull’Altare della Patria, soprattutto al crepuscolo nei mesi di primavera e d’estate, fossero fantasmi in una delle loro trasformazioni. Quel bianco su bianco, sui tetti dell’immensa macchina da scrivere di marmo, sullo sfondo di un cielo blu elettrico, non aveva più cessato di farmi sentire una strana premonizione, e insieme un’idea di comunanza. Se attraversando Piazza Venezia la sera vedevo i gabbiani svolazzare nell’ultima luce io ero allegro, ma di un’allegria irrequieta, un po’ nervosa, come l’energia di quegli uccelli che non stanno mai fermi, o che si posano a volte sulle statue del ponte di Castel Sant’Angelo, o dovunque ci sia dell’arte umana da prendere un po’ in giro, magari lasciar cadere dall’alto qualche cacca, tanto per giocare. I gabbiani e le statue, i gabbiani e l’arte: mi sembrava un bel tema. Come le panchine e i fantasmi. In realtà, ora lo so, è tutto collegato. Era un presentimento? Mi spiego.
All’inizio e alla fine di ogni colore, c’è sempre il bianco. Anche le statue sono bianche, le tele e i fogli dove si scrive sono bianchi. Ho sempre voluto fare lo scrittore, e l’ultima cosa che avrei voluto scrivere era sulle panchine, solo che… non ho fatto in tempo. Mi spiego meglio: il fatto è che nel frattempo sono diventato anch’io un fantasma. Me ne sono accorto per la prima volta una sera d’inizio primavera, e lì per lì non ci ho fatto molto caso.
Ero al Circolo degli Artisti sulla Casilina Vecchia, era sabato, l’aria era tiepida e c’era una luce molto tenera – la luce migliore di Roma. Non so come ero capitato lì, si inaugurava una mostra dal titolo “svuotamenti” - pezzi di mondo che vengono svuotati del visibile e, in cambio, riempiti di quello che non si vede mai, lo spazio tra le cose e tra la gente, lo spazio tra le forme (lo spazio dei fantasmi?). Avevo già guardato la mostra due volte, stranamente non mi aveva salutato nessuno, e mi sono seduto fuori in disparte, su una panchina col prato alle spalle. Sorseggiavo del vino e guardavo le ragazze che entravano e uscivano dal bar. Mi sentivo così in pace che mi misi a scrivere degli sms dolci: a mio figlio, a mia moglie, agli amici, alle amanti perdute, a quelle non ancora trovate. A tutti dicevo che stavo davvero bene, descrissi il rosso e l’arancio del tramonto, la luce romana di fine marzo. Intanto contemplavo la luce declinante e le ragazze e i ragazzi che sciamavano coi bicchieri in mano, parlottando come api in un giardino. Buffo che solo poco ore prima mi ero alzato dal letto in quello stato che una frase romantica dice così: “mentre contemplavo l’aurora, è calata la sera”. Ero passato da un crepuscolo all’altro, dopo una notte di… che cosa, in effetti?
Finché mi accorsi, mentre tenevo ancora in mano il telefonino, che l’orologio segnava sempre la stessa ora, le 20,00. Le otto di sera. Mi sentivo bene, mi sentivo in pace e contemplativo.
Mi sentivo invisibile.
Mi sentivo fuori dal tempo.
Allora sorrisi, perché capii. Ero diventato fantasma. Era stato questo a darmi voglia di scrivere? Scrivere, si sa, è una cosa che fanno i fantasmi.
Qualche segno c’era stato: quell’idea di scrivere sulle panchine, il tempo senza tempo di chi ci sta tutto il giorno sopra e intorno. Stare in panchina non è già una cosa da fantasmi?
Alcune, soprattutto, erano diventate le mie predilette, come quelle della piazzetta con la fontana intitolata a Cairoli, vicino al Ministero della Giustizia. Io lavoravo lì vicino (sono direttore dell’ufficio postale di via Arenula), e ci andavo a fare le pause. Sempre più spesso, devo dire. La chiamavo la “piazzetta dell’accasciato” perché c’è una statua di uno, credo Cairoli stesso, che siede con le gambe incrociate su una poltrona, completamente accasciato e tristissimo, con la mano sinistra a reggersi la testa, il braccio destro riverso di fianco alla poltrona, e un libro in mano che sta per cadergli per terra. Forse si è addormentato, o forse è così assorto da preoccupazioni e pensieri che non si rende conto. La cosa buffa è che, sulle panchine che costeggiano il giardinetto, le persone che si siedono (persone?) hanno assunto tutte quella stessa aria accasciata, forse perché sono disoccupati, e sembrano presi da una stanchezza o da un tedio tali, da lasciarsi tutti scivolare sulle panchine come se fossero schiacciati da preoccupazioni e pensieri sovrumani, come Cairoli – anche se quasi nessuno a dire il vero ha un libro in mano, e pur essendo facile provvedere a questo: a pochi metri c’è una bancarella che vende libri usati, e io stesso ci ho trovato più di una volta per pochi euro un libro che faceva al caso, poter accasciarmi su una panchina e leggere, oppure chiudere il libro nella mano e lasciarla cadere giù, alla mia destra, preso dai miei pensieri o dalla mia stanchezza di direttore dell’ufficio postale. Lì ci sono sempre degli uccelli, però svolazzano poco, si limitano a camminare saltellando, hanno l’aria anche loro un po’ stanca, e a volte si accasciano sull’erba rada e ingiallita – perché anche l’erba è stanca e accasciata per terra. Ecco, a pensarci, il fatto che passassi la maggior parte del tempo sulla piazzetta dell’accasciato, non avrebbe dovuto insospettirmi? Stavo diventando un fantasma, e anche quelli che si sedevano con me, e anche gli uccelli (per lo più piccioni). Ma questo lo capii solo dopo.
E’ su una di quelle panchine che conobbi il sig. Guzman. Guzman aveva i capelli rossi, era ebreo ma sembrava un irlandese, e tutti i giorni entrava e usciva dall’Istituto Italo Latino Americano. Cercava documenti, diceva, e non riusciva a farsi dare nessun riconoscimento di identità, e a sentir lui non aveva niente, solo il nome, Guzman, e che era ebreo, credo russo, ma parlava spagnolo e aveva i capelli rossi da irlandese, voleva andare in Argentina ed era il mio compagno di panchina. Aveva la faccia più anonima del mondo, mi faceva pensare a un racconto di Pirandello, però più rassegnato e moderno, finché una volta lo vidi diventare bianco, ma così bianco che sembrava una statua. Poi sparì. Non lo vidi più sulla panchina, finché una sera una cacca di piccione sulla spalla, poi altre a raffica sulla statua dell’accasciato mi fecero alzare la testa e vidi un uccello alto con un ciuffo rosso, e pensai a Guzman. Ora lo so, era lui. Adesso so un sacco di cose. Sono un fantasma anch’io.
Quella notte tornai dalla Casilina Vecchia, salii a casa e, mentre cercavo di aprire la porta con la chiave, vidi che la mia mano ci passava attraverso (la chiave però no, la lasciai sulla toppa), e andai da mia moglie tutto eccitato per dirglielo. Lei però era al telefono e non mi sentiva, nemmeno se parlavo forte. Uscii sul terrazzo attraversando i vetri, e guardai il cielo e la città gialla per via delle luci elettriche, e mi sembrò bellissima, anche se mi sembrava di guardarla attraverso un vetro sottile, o un plexiglas. E’ così che guardano i fantasmi, come dietro un vetro. L’aria frizzante mi dava piccoli brividi attraversandomi, e mi sentivo davvero in forma. Mia moglie era sempre al telefono (ma con chi parlava?) e non c’era davvero nulla che potessi fare per richiamare la sua attenzione. Passai le ore in terrazza a guardare e pensare, ogni tanto rientravo – stare dentro era come stare fuori - e intanto diventavo sempre più bianco, “bianco come un fantasma” esclamai, e scoppiai a ridere da solo, una risata stridula da fantasma timido. Mia moglie era sempre al telefono, agitata. Poco prima dell’alba rimasi seduto sul cornicione a guardare giù, indeciso se avere paura del vuoto. Macché. E pensare che una volta soffrivo di vertigini. E se magari volo?, mi sono detto. No, i fantasmi non sono angeli, al massimo fluttuo, però non mi sfracellerò al suolo, tutt’al più divento terra, divento suolo, potrei perfino farmi calpestare dagli altri. E intanto dondolavo i miei arti di fantasma sulla balaustra arrugginita. Guardavo i tetti, le cupole in lontananza, la città invisibile dietro la città visibile, mentre io stesso facevo parte dell’invisibile, ero - risi tra me e me - l’uomo invisibile. Quello che, ha scritto un poeta, non si vede mai, neanche nei film dell’Uomo invisibile, neanche fuori dal cinema, dopo il film. Fu in quel momento che mi lasciai andare, oltre la terrazza e la balaustra, oltre tutte quelle forme e quei vuoti tra le forme, oltre le correnti d’aria. Ciao, dissi alla finestra, ai quadri e ai mobili (mia moglie era sempre al telefono e non mi vide: le sorrisi), leviamo le ancore, cessiamo ogni attaccamento e lasciamo ogni presa, è bello il vento che mi passa attraverso, sono davvero felice. Fu dopo pochissimo tempo (quanto, non saprei calcolarlo) che mi ritrovai a svolazzare sul Castel Sant’Angelo, sopra le statue bianche, sopra le chiese bianche, e da lì mi diressi verso i miei simili, erano tanti, e volteggiai insieme a loro allegramente, ridevamo danzando, scrivevamo frasi sul cielo nella nostra allegra scrittura di fantasmi, sul foglio bianco della Macchina da Scrivere, sul cielo grande e scuro che cominciava a diventare colorato, sopra quel piccolo altare bianco.
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