4/28/2008

Per un po' andrò in autobus, anche con la valigia pesante

Repubblica, ore 17.38 - Elezioni comunali a Roma, un vero e proprio carosello di taxi a clacson spiegati sta attraversando via Salandra, sede del Comitato elettorale di Gianni Alemanno. "Speriamo di accompagnare Alemanno in Campidoglio a bordo dei nostri taxi - dice il leader di Unitaxi e candidato al senato per il Pdl, Loreno Bittarelli - voglio ringraziare Veltroni che in meno di 40 giorni ci ha dato modo di riconquistare il governo e la città di Roma".
[P.S. Però questa cosa di Veltroni è vera: un perfetto filotto in negativo, da quando ha fatto il Pd e si è dimesso da sindaco, ri-eletto appena due anni fa. C'è qualcos'altro da perdere? Se sì, facciamo alla svelta...]

P.S.2 Invito il lettore di passaggio a (ri)leggere l'appello Il triangolo nero - Nessun popolo è illegale, qui nella home page del mio sito, redatto con amci scrittori all'epoca della prima ondata di rappresaglie contro i rom e immigrati, nov. 2007. Capita che, a furia di invocare rappresaglie, inseguire la destra, legittimare pulsioni fascistoidi, quando la destra viene, quella originale, DOC, essa sarà vincente. Ma soprattutto, invito il lettore a leggere questa Sommessa bestemmia sull'Italia che viene di Girolamo De Michele, che sottoscrivo, e a provare un brivido guardando il breve video propostoci da Loredana Lipperini, Dissolvenza al nero.

Giulia Niccolai (ancora su politica e compassione)

In attesa di sapere, tra poche ore, se Roma, dove abito, sarà ancora - almeno - una "città aperta", o se sarà governata da un fascista (sono tra quelli che vedono ancora nettissima la differenza), vorrei, per così dire, distrarmi un po'. In realtà è il contrario - è quell'altra cosa la distrazione - e sulla "politica" nei giorni scorsi ho fatto un po' di ragionamenti dialogando con un'amica di lunga data, che ammiro molto e che si chiama Giulia Niccolai. E' una poetessa e una monaca (tibetana), e per sapere qualcosa di lei si può leggere questo pezzo trovato su Internet (che ne cita uno mio più vecchio). Uscirà sul prossimo Venerdì di Repubblica un'intervista che le ho fatto sul Tibet, sulla simbiosi di politica e compassione, che è già un bel paradosso. La anticipo qui, nella sua versione integrale:

“Mi chiedi: come può un buddista lottare? Non posso risponderti con una frase fatta, il discorso è troppo complesso. Come buddista, fin dall’inizio di questo cammino spirituale ho avuto la sensazione di nuotare controcorrente come un salmone. Già questo fatto potrebbe essere considerato di per sé ‘lotta’, ma la parola non sarebbe corretta per il Dharma (cioè gli insegnamenti). Poiché la prima fase del cammino è la ‘Rinuncia’, si rinuncia alle mete, agli scopi, alle ambizioni che si potevano avere in precedenza. Se effettivamente riesco a rinunciare a ogni cosa, non avrò più nemici, perché nessuno mi può impedire di raggiungere ciò che desidero (dato che non desidero più niente). Se non ho più nemici, non sto nemmeno più lottando”.
“Questo però non vuol dire che io non tenti di difendermi se qualcuno cerca di sopraffarmi. Prendi per esempio il Dalai Lama e il governo cinese. Sono anni che il Dalai Lama non pretende l'indipendenza del Tibet (ne chiede l'autonomia). Ma Pechino continua a dire che accetterà di discutere col Dalai Lama quando smetterà di chiedere l'indipendenza! E’ come se i due giocassero con un diverso mazzo di carte. L’uno pratica la buona fede, l'altro ne è talmente distante da non capire nemmeno le parole che il primo dice. E allora? Si potrà fare politica se anche gli altri praticano la meditazione e la compassione. Ma se gli altri hanno il solo scopo di fregarti, non sarà possibile. Tuttavia anche queste situazioni di stallo e di impossibilità danno i loro frutti. Per esempio, per la prima volta il Primo Ministro inglese è disposto ad accogliere il Dalai Lama. E per il resto ci vuole pazienza, una pazienza inimmaginabile, dato che la sua definizione è: ‘pensiero non turbato’”.
A parlare è Giulia Niccolai, poetessa italiana e monaca tibetana. Per molti fu la Gertrude Stein italiana (a cui peraltro lei ha dedicato un saggio). Perfettamente bilingue (con l’inglese), dotata di un fantastico umorismo, la poetessa Giulia Niccolai, già appartenente al Gruppo ’63 e direttrice per anni con Adriano Spatola della rivista “Tam Tam”, è autrice tra l’altro dei meravigliosi Fresbees (poesie da lanciare) e della celebre Harry’s Bar Ballad. Ascoltare i suoi reading era (è) un’esperienza entusiasmante, pari alla sua conversazione ricca e imprevedibile. Se la poetessa è nata a Milano nel 1934, la monaca è nata negli anni Ottanta. In un libro che fa il trait d’union con la sua vita precedente (Esoterico biliardo, edito da Archinto) racconta come la legge del karma, così simile a volte a quella del contrappasso di Dante, fece sì che un ictus le colpisse soprattutto la parola, da lei recuperata faticosamente nel corso degli anni. Fu questo evento a darle l’occasione della vita, quella di consacrarsi monaca, con anni di meditazione e di rinuncia trascorsi anche in un monastero buddista del Sud dell’India. Tutto questo lo racconta lei stessa con sincerità e grazia nel libro citato sopra. Due anni fa Giulia, già lontana dalle nevrosi del mondo culturale e forse dal mondo tout court, fu insignita al Quirinale dal presidente Ciampi del titolo di Grand’Ufficiale della Repubblica Italiana.
Giulia mi cita due articoli apparsi sulla stampa italiana, che rivelano alcuni retroscena sconvolgenti della protesta (e della repressione). Come il fatto, poi ampiamente confermato, che alle origini delle proteste violente ci fossero infiltrati cinesi, e che a fomentare la violenza sono i seguaci di un'altra guida spirituale, quella che Raimondo Bultrini ha descritto in un articolo su la Repubblica come “lo spirito diabolico alleato della Cina”. E' paragonabile al Voldemort di Harry Potter, ed è da sempre avverso al Dalai Lama.
“Da dieci anni il Dalai Lama rifiuta di impartire i suoi insegnamenti a chi segue quell'antico guru degenerato, Dorje Shugden, che invece gode della legittimazione del governo cinese. L’atteggiamento aggressivo di molti giovani monaci viene da qui – dice Giulia Niccolai - e questo spiega il fatto che il Dalai Lama non riesce più a controllare i monaci della terza generazione. E' particolarmente rattristante la minaccia, annunciata su un giornale, di futuri possibili kamikaze, seguaci del Dorje Shugden. Può infatti avere raggiunto monaci in Tibet, e i più giovani seguaci pensano che il pacifismo del Dalai Lama li abbia portati nel dimenticatoio del mondo. Il Dalai Lama ha cominciato col dire che devono smettere di praticare la rivolta: in una mappatura dei centri religiosi, quelli che seguono quello “spirito diabolico” hanno la dicitura ‘New Kadampa’.”
Chiedo a Giulia come viva la drammaticità della situazione presente.
“E’ chiaro che tutto si gioca tra l’adesso e le Olimpiadi. Il Dalai Lama è contrario al boicottaggio. E le notizie contraddittorie, non permettono di capire cosa succede. I Cinesi avevano detto a Bush che erano disposti a parlare col Dalai Lama. Che cosa è vero? Ci sono i simboli. La tv ha fatto vedere che il Dalai Lama è andato a pregare con gli induisti dove Gandhi è stato cremato: immagini che significano un invito alla pace. Chiede l’aiuto dell’Occidente, ai governi, perché facciano pressione sulla Cina. E’ stato importantissimo che Nancy Pelosi sia andata da Dalai Lama, anche se il suo gesto è stato poi contraddetto dalle dichiarazioni di Bush”. Nel frattempo anche l'inglese Brown e il francese Sarkozy hanno espresso proteste. “Ma la comunicazione col Tibet, prosegue Giulia Niccolai, è molto difficile o impossibile. Quello che succederà è un interrogativo tremendo, siamo in attesa, ci aspettano mesi di attesa e paura.”
Che cosa rispondi a chi cita l'arretratezza teocratica del Tibet, all'epoca dell'invasione cinese?
“Che sicuramente il Tibet era medievale: nel senso che non avevano nemmeno le ambasciate, nessuna sede diplomatica. Per questo quando la Cina li ha invasi nessuno ha fatto niente. La loro storia non sapevano farla sapere a nessuno, non avevano rapporti col mondo. E neanche adesso. E per quanto riguarda l’arretratezza, le carenze del Tibet sopravvivono anche in molte parti della Cina, dove tuttora non ci sono gabinetti privati, ma soltanto pubblici, e fai i tuoi escrementi in un buco dall’alto, in pubblico. Come in certe parti della Cina, in Tibet non c’erano strade, niente di niente, e una corriera potevi aspettarla anche tre giorni. Il fatto che il tempo era, è, una cosa incomprensibile. Per i buddisti questo nostro passaggio sulla Terra è un inconveniente doloroso. La vera natura della mente si ha quando non ha con sé il corpo. La vera natura è l’eternità.
“Il fatto che il Dalai Lama avesse un potere totale, religioso e politico, che fosse una dittatura totale, con lotte di potere interne di cui non ho idea, è vero. Non c’era elettricità. Ma anche nel cinese Li Thang, nella regione chiamata Kam, c'è una situazione simile, di un'epoca remota: un immenso altopiano in cui tutti sono nomadi e non è possibile coltivare niente a causa del forte vento e dell’altezza. Anche i monasteri sono nomadi, sotto le tende. I Cinesi vi hanno costruito una lunga fila di case per nomadi, in quella pianura pazzesca e ventosa, che sono ormai diroccate, e che nessuno ha mai voluto abitare. Ma vorrei dirti un'altra cosa sulla legge del karma e la Storia.” Quale?
“In breve, quando subisci un torto forse in qualche modo te lo meriti. Il Dalai Lama ha elaborato l'invasione cinese avvenuta nel 1959, quando il Tibet teneva per sé una religione che non condivideva col mondo. E' grazie all'invasione cinese che il buddismo tibetano si è globalizzato, che appartiene a tutta l'umanità. Io stessa non potrei essere monaca senza quell'evento”.
Torniamo al paradosso di una lotta che predica e comporta la compassione. Che cosa significa?
“Che cosa è la compassione? Una formuletta toglie le sfumature, quando tutto è fatto di sfumature. In sostanza, se qualcuno mi fa un torto, non reagisco ma questo perché ho perso ogni interesse a farlo, non sto mirando a qualcosa, non ho scopi da raggiungere, e da qui nasce la mia indifferenza (al torto subìto). Posso accusare la malevolenza di qualcuno, ma non avendo scopi da raggiungere, non mi muovo. Se una persona che considero disturbata mi fa richieste importune, io non do corda, come si dice.
“Quando a un certo momento avevano tutti le bandiere della pace alla finestra, all’inizio della guerra in Irak, io non l’ho messa. Era troppo facile esporla, quando la pace è una cosa talmente complessa e difficile. Mi sembrava un gesto troppo superficiale per qualcosa, come la pace, che si dovrebbe fare in ogni momento della giornata, in tutte le situazioni che viviamo, con tutte le persone che incontriamo. La pace è un esercizio di consapevolezza costante, molto faticoso. E’ faticoso farlo senza diventare contraddittori, compiaciuti di sé, esibizionisti. E’ una cosa difficilissima non avere pensieri malevoli, non avere amarezze, rancori, e, quando se ne ha, lasciarli dissolvere.

4/15/2008

Straparlare, stravagare, extraparlamentare

Dunque, vediamo un po' che cosa è successo, due anni fa ero di notte nello spiazzo sotto il palazzo dell'Ulivo a Roma, alle due di notte un Prodi abbastanza provato e sudato annunciò una vittoria e una legislatura lunga, ero con un amico giornalista parigino, avevamo incontrato un altro amico, Fabrizio Gifuni, tutti stanchissimi abbiamo preso un caffé e un cornetto, mi pare, in un bar aperto a Piazza Venezia, e già dopo qualche giorno Prodi era tanto autorevole sul suo governo quanto il direttore generale di un ufficio ministeriale (che so, quello della Pubblica Istruzione), poi col tempo una ancora più generale opacità, Prodi sembrava un brav'uomo ma non si capiva bene cosa c'entrasse il suo operato con le aspettative della campagna elettorale precedente, col conflitto di interessi del precedente primo ministro, con le leggi personali sulla giustizia ecc., poi - stacco - ricordo manifestazioni contro il governo fatte da partiti del governo, ricordo quell'esponente di un partito di sinistra (quello che ha lasciato il proprio posto in lista a un operaio ma ha fatto l'ultima campagna elettorale esponendo la sua faccia col sigaro e l'espressione pensosa, perfino una mano sulla fronte), ricordo un'intervista del presidente della camera ed esponente di un partito della sinistra anch'esso oggi extraparlamentare (tutta la sinistra, la parola "sinistra", è ora extraparlamentare, come si diceva negli anni '70 per i gruppi a sinistra del Pci), ricordo quell'autorevole esponente della sinistra oggi dimissionario definire in un'intervista il governo Prodi che pure sosteneva con ministri usando le parole con cui si ironizzava un tempo su un poeta crepuscolare (il più grande poeta morente), ricordo un esponente della peggiore politica o meglio della peggiore e più diffusa italianità dimettersi e fare cadere il governo Prodi per interessi e isterie personali, ricordo la conta e l'incubo ovattato di non avere più questo governo comunque bonaccione e dai peccati veniali, come una famiglia un po' fessa ma onesta (le due parole ormai in Italia sono sinonimi), e poi via quasi senza pensarci il carosello e carrozzone elettorali, spettatore sempre un po' attonito di una campagna che sembrava a tratti 'giovani contro vecchi', e che alla fine mi ha dato pure qualche piccolo brivido di partecipazione (sono uno di quelli che ha votato Pd), sembrava facile o possibile fermare gli altri, come si poteva credere davvero alla macchina del tempo che riporta tutto indietro all'incubo, ma come fanno gli italiani, ecc. ecc., poi stamattina mi accorgo che il governo Prodi non c'è più, non c'è mai stato, c'è un governo Berlusconi, e mi sento stanco, molto più stanco di cinque anni fa, non so se ho voglia di andare all'estero come si dice in giro, mi accontenterei di vivere in campagna, meno male, ho pensato, meno male che il libro che sta uscendo, il mio ultimo libro, si chiama Panchine, sottotitolo: come uscire dal mondo senza uscirne, ma anche questo è un déjà vu, perché il giorno in cui vinse le elezioni il primo Berlusconi con capelli, contro il povero Occhetto e la sinistra, andai a Milano da Feltrinelli a firmare le copie staffetta, come si dice, di un mio libro di racconti (oggi introvabile) dal titolo Niente di tutto questo mi appartiene - in fondo era come una grande metaforica, metafisica panchina. La vita è altrove, si dice, ci credo, però l'infelicità ha la caratteristica di saper collegare tutto con tutto, il privato col pubblico e viceversa, e io sento un po' di claustrofobia, "solo l'amore conta e il resto è scorie", questo è un verso di Ezra Pound che mi riaffiora, non so cosa c'entri, c'entra tutto e niente in questo divagare, estravagare, straparlare, extraparlamentare, battre la campagne, però ero abbastanza contento che la politica la facessero altri, quelli che ne hanno la vocazione e una buona dose di generosità, ho altre ritmiche del tempo, cosa fanno gli scrittori in questi casi, io vorrei continuare a fare le mie cose, che pure sono "politiche" in molti modi diversi, la domanda è se me le lasceranno fare.

4/09/2008

Contro gli astensionisti

A ogni scadenza elettorale, anche se magari non sono mai gli stessi, incontro amici e conoscenti che dicono che stavolta non voteranno. Non sono come gli ignavi di Dante, tormentati nel vestibolo dell’Inferno perché, già rifiutati dal Cielo, sono sgraditi anche a Satana, non avendo avuto neanche il coraggio di peccare. C’è chi è deluso (e chi non lo è?), c’è chi protesta per punire i partiti (ma punire chi?). C’è chi si sente ormai al di sopra della mischia, chi ostenta un’idea della coerenza e della purezza morale e politica che non ha niente a che vedere né con la coerenza, né con la morale, né con la politica. Tutti hanno invece molto a che vedere con una patologia dilagante: il narcisismo.
Il narcisismo di chi vuole astenersi dal voto si ammanta infatti della pretesa di identificarsi totalmente nell’atto del voto, di specchiare se stessi nella crocetta apposta sul simbolo elettorale, come se esistesse un simbolo o un partito capace di riflettere la complessità di sentimenti, aspirazioni e idee politiche di cui ognuno è portatore (consapevolmente o no). A chi ha questa assurda, ingenua pretesa, ricordo che il voto è un atto pragmatico che non esaurisce la politica che conta davvero, quella che ogni santo giorno ogni persona conduce in ciò che fa e che non fa - beninteso anche dopo le elezioni. Nessuna cabina elettorale può legittimamente contenere questo universo. Il narcisismo dell’illusoria coerenza di chi si astiene esprime invece un invadente egocentrismo che non conosce empatia né alterità, come lo specchio. Non conosce politica, pur essendone parte.
Una volta anch’io dichiarai di non avere votato per protesta. Naturalmente era falso (avevo votato Pci), ma dire è fare, contano gli effetti di ciò che si enuncia. Era un messaggio politicamente interpretabile. Ma il non voto, scheda bianca o nulla, è un anonimo spreco che cancella ogni intenzione e va a vantaggio aritmetico dei partiti, anche quelli più avversi. Votare è un atto pragmatico che accade una volta ogni qualche anno. Non ho mai pensato che esaurisse le mie idee e emozioni, i miei orizzonti personali e collettivi. Non ho mai preteso che riflettesse più di tanto i miei sentimenti. Se voto Veltroni lo scelgo come interlocutore di un dialogo, fosse anche conflittuale. Votare significa poi contribuire a scegliere una serie di effetti irreversibili, a volte devastanti. Se si pensa che per una manciata di voti il petroliere Bush Jr. ha prevalso sull’ecologista Al Gore, e ha fatto così la catastrofica guerra all’Irak allevando generazioni di terroristi islamici, il contributo individuale alle elezioni assume una responsabilità da brividi.
Scrivo queste frasi il giorno in cui appaiono dichiarazioni sconvolgenti di Bossi, Berlusconi e del suo delfino Dell’Utri. Se vincono loro, dice quest’ultimo, cambieranno i libri di Storia delle scuole per cancellare la Resistenza antifascista (lui la dice con la erre minuscola, per disprezzo); e che il mafioso Mangano, già stalliere di Arcore, fu un eroe, perché è morto in galera senza aver fatto mai il nome di Berlusconi. Ecco, le elezioni possono verosimilmente mandare al governo queste persone. Cari astensionisti, se davvero vi sentite neutrali di fronte a questa concreta eventualità, allora avete già scelto, e il mio voto sarà anche contro di voi.

4/06/2008

A occhi nudi nel parco (dell'arte)

"Tra i grandi meriti dell’arte contemporanea non c’è solo l’invenzione e la combinazione di nuove forme e materiali, “idee” comprese (nel senso del rifiuto di “rappresentarle”). C’è soprattutto la sperimentazione di nuovi modi di avvicinarsi all’arte, nuovi rapporti che con l’arte (anche quella non contemporanea) possiamo intrattenere. Non è solo il superamento dei luoghi in cui l’arte si mostra dall’Ottocento, in una dimensione sempre più privata, come la galleria. E’ l’allargamento al contesto, la partecipazione comunitaria delle opere, con un’attenzione nuova ai temi del paesaggio, dell’abitare, dell’ambiente. Così si spiega ad esempio la fecondità della Land Art, e la nascita di luoghi alternativi al museo tradizionale, spesso all’aperto. L’arte crea una relazione col pubblico che non si limita a una fruizione visiva, ma prevede un’interazione con l’intero corpo - camminare tra le opere, se non addirittura nelle opere – come esperienza estetica. E’ grazie all’arte contemporanea che la politica culturale delle città può superare il concetto angusto di arredo urbano (cioè, in breve, opere trattate come fioriere). La cosiddetta Public Art, opere e installazioni il cui essere situate nel territorio è parte integrante dell’opera stessa, promuove una politica comune della bellezza..." (continua a leggere).
E' l'inizio di un mio articolo apparso sabato 5 aprile su l'Unità, che introduce una serie di reportages d'autore sui luoghi d'arte dove si può camminare nelle opere (il prossimo, per capirci, è sul "grande cretto" di Alberto Burri a Gibellina).
Per il resto, varie cose bollono in pentola, per me come per tutti, immagino. E la campagna elettorale ammutolisce solo apparentemente. A presto.