2/22/2012

Salviamo il popolo greco dai suoi salvatori - un appello

   Nel momento in cui un giovane greco su due è disoccupato, 25.000 persone senza tetto vagano per le strade di Atene, il 30 per cento della popolazione è ormai sotto la soglia della povertà, migliaia di famiglie sono costrette a dare in affidamento i bambini perché non crepino di fame e di freddo e i nuovi poveri e i rifugiati si contendono l’immondizia nelle discariche pubbliche, i “salvatori” della Grecia, col pretesto che i Greci “non fanno abbastanza sforzi”, impongono un nuovo piano di aiuti che raddoppia la dose letale già somministrata. Un piano che abolisce il diritto del lavoro e riduce i poveri alla miseria estrema, facendo contemporaneamente scomparire dal quadro le classi medie.

   L’obiettivo non è il “salvataggio”della Grecia: su questo punto tutti gli economisti degni di questo nome concordano. Si tratta di guadagnare tempo per salvare i creditori, portando nel frattempo il Paese a un fallimento differito.Si tratta soprattutto di fare della Grecia il laboratorio di un cambiamento sociale che in un secondo momento verrà generalizzato a tutta l’Europa. Il modello sperimentato sulla pelle dei Greci è quello di una società senza servizi pubblici, in cui le scuole, gli ospedali e i dispensari cadono in rovina, la salute diventa privilegio dei ricchi e la parte più vulnerabile della popolazione è destinata a un’eliminazione programmata, mentre coloro che ancora lavorano sono condannati a forme estreme di impoverimento e di precarizzazione.
   Ma perché questa offensiva neoliberista possa andare a segno, bisogna instaurare un regime che metta fra parentesi i diritti democratici più elementari. Su ingiunzione dei salvatori, vediamo quindi insediarsi in Europa dei governi di tecnocrati in spregio della sovranità popolare. Si tratta di una svolta nei regimi parlamentari, dove si vedono i “rappresentanti del popolo” dare carta bianca agli esperti e ai banchieri, abdicando dal loro supposto potere decisionale. Una sorta di colpo di stato parlamentare, che fa anche ricorso a un arsenale repressivo amplificato di fronte alle proteste popolari. Così, dal momento che i parlamentari avranno ratificato la Convenzione imposta dalla Troika (Ue, Bce, Fmi), diametralmente opposta al mandato che avevano ricevuto, un potere privo di legittimità democratica avrà ipotecato l’avvenire del Paese per 30 o 40 anni.
   Parallelamente, l’Unione europea si appresta a istituire un conto bloccato dove verrà direttamente versato l’aiuto alla Grecia, perché venga impiegato unicamente al servizio del debito. Le entrate del Paese dovranno essere “in priorità assoluta” devolute al rimborso dei creditori e, se necessario, versate direttamente su questo conto gestito dalla Ue. La Convenzione stipula che ogni nuova obbligazione emessa in questo quadro sarà regolata dal diritto anglosassone, che implica garanzie materiali, mentre le vertenze verranno giudicate dai tribunali del Lussemburgo, avendo la Grecia rinunciato anticipatamente a qualsiasi diritto di ricorso contro sequestri e pignoramenti decisi dai creditori. Per completare il quadro, le privatizzazioni vengono affidate a una cassa gestita dalla Troika, dove saranno depositati i titoli di proprietà dei beni pubblici.. In altri termini, si tratta di un saccheggio generalizzato, caratteristica propria del capitalismo finanziario che si dà qui una bella consacrazione istituzionale.
   Poiché venditori e compratori siederanno dalla stessa parte del tavolo, non vi è dubbio alcuno che questa impresa di privatizzazione sarà un vero festino per chi comprerà.
   Ora, tutte le misure prese fino a ora non hanno fatto che accrescere il debito sovrano greco, che, con il soccorso dei salvatori che fanno prestiti a tassi di usura, è letteralmente esploso sfiorando il 170% di un Pil in caduta libera, mentre nel 2009 era ancora al 120%. C’è da scommettere che questa coorte di piani di salvataggio – ogni volta presentati come ‘ultimi’- non ha altro scopo che indebolire sempre di più la posizione della Grecia, in modo che, privata di qualsiasi possibilità di proporre da parte sua i termini di una ristrutturazione, sia costretta a cedere tutto ai creditori, sotto il ricatto “austerità o catastrofe”. L’aggravamento artificiale e coercitivo del problema del debito è stato utilizzato come un’arma per prendere d’assalto una società intera. E non è un caso che usiamo qui dei termini militare: si tratta propriamente di una guerra, condotta con i mezzi della finanza, della politica e del diritto, una guerra di classe contro un’intera società. E il bottino che la classe finanziaria conta di strappare al ‘nemico’ sono le conquiste sociali e i diritti democratici, ma, alla fine dei conti, è la stessa possibilità di una vita umana. La vita di coloro che agli occhi delle strategie di massimizzazione del profitto non producono o non consumano abbastanza non dev’essere più preservata.
   E così la debolezza di un paese preso nella morsa fra speculazione senza limiti e piani di salvataggio devastanti diviene la porta d’entrata mascherata attraverso la quale fa irruzione un nuovo modello di società conforme alle esigenze del fondamentalismo neoliberista. Un modello destinato all’Europa intera e anche oltre. E’ questa la vera questione in gioco. Ed è per questo che difendere il popolo greco non si riduce solo a un gesto di solidarietà o di umanità: in gioco ci sono l’avvenire della democrazia e le sorti del popolo europeo.
  
   Dappertutto la “necessità imperiosa” di un’austerità dolorosa ma salutare ci viene presentata come il mezzo per sfuggire al destino greco, mentre vi conduce dritto. Di fronte a questo attacco in piena regola contro la società, di fronte alla distruzione delle ultime isole di democrazia, chiediamo ai nostri concittadini, ai nostri amici francesi e europei di prendere posizione con voce chiara e forte. Non bisogna lasciare il monopolio della parola agli esperti e ai politici. Il fatto che, su richiesta dei governanti tedeschi e francesi in particolare, alla Grecia siano ormai impedite le elezioni può lasciarci indifferenti? La stigmatizzazione e la denigrazione sistematica di un popolo europeo non meritano una presa di posizione? E’ possibile non alzare la voce contro l’assassinio istituzionale del popolo greco? Possiamo rimanere in silenzio di fronte all’instaurazione a tappe forzate di un sistema che mette fuori legge l’idea stessa di solidarietà sociale?
   Siamo a un punto di non ritorno. E’ urgente condurre la battaglia di cifre e la guerra delle parole per contrastare la retorica ultra-liberista della paura e della disinformazione. E’ urgente decostruire le lezioni di morale che occultano il processo reale in atto nella società. E diviene più che urgente demistificare l’insistenza razzista sulla “specificità greca” che pretende di fare del supposto carattere nazionale di un popolo (parassitismo e ostentazione a volontà) la causa prima di una crisi in realtà mondiale. Ciò che conta oggi non sono le particolarità, reali o immaginari, ma il comune: la sorte di un popolo che contagerà tutti gli altri.
   Molte soluzioni tecniche sono state proposte per uscire dall’alternativa “o la distruzione della società o il fallimento” (che vuol dire, lo vediamo oggi, sia la distruzione sia il fallimento). Tutte vanno prese in considerazione come elementi di riflessione per la costruzione di un’altra Europa. Prima di tutto però bisogna denunciare il crimine, portare alla luce la situazione nella quale si trova il popolo greco a causa dei “piani d’aiuto” concepiti dagli speculatori e i creditori a proprio vantaggio. Mentre nel mondo si tesse un movimento di sostegno e Internet ribolle di iniziative di solidarietà, gli intellettuali saranno gli ultimi ad alzare la loro voce per la Grecia? Senza attendere ancora, moltiplichiamo gli articoli, gli interventi, i dibattiti, le petizioni, le manifestazioni. Ogni iniziativa è la benvenuta, ogni iniziativa è urgente. Da parte nostra ecco che cosa proponiamo: andare velocemente verso la formazione di un comitato europeo di intellettuali e di artisti per la solidarietà con il popolo greco che resiste. Se non lo facciamo noi, chi lo farà? Se non adesso, quando?

di Vicky Skoumbi, Dimitris Vergetis, Michel Surya, rispettivamente redattrice e direttore della rivista Aletheia di Atene e direttore della rivista Lignes, Parigi; e (prime adesioni) Daniel Alvaro, Alain Badiou, Jean-Christophe Bailly, Etienne Balibar, Fernanda Bernardo, Barbara Cassin, Bruno Clement, Danièle Cohen-Levinas, Yannick Courtel, Claire Denis, Georges Didi-Hubermann, Ida Dominijanni, Roberto Esposito, Francesca Isidori, Pierre-Philippe Jandin, Jérome Lebre, Jean-Clet Martin, Jean-Luc Nancy, Jacques Ranciere, Judith Revel, Elisabeth Rigal, Jacob Rogozinski, Avital Ronell, Ugo Santiago, Beppe Sebaste, Michèle Sinapi, Enzo Traverso

per aderire: http://www.editions-lignes.com/sauvons-le-peuple-grec-de-ses.html


L'appello è stato pubblicato anche su il manifesto di oggi 22 febbraio e sul giornale Libération di ieri.

2/08/2012

"Ma noi mangiamo carne" (un intervento di Carlo Bordini sul tempo presente)

Il poeta Carlo Bordini è un mio amico da tantissimi anni (l'ultimo post qui è sulle sue poesie messe in scena a teatro). Non tutti sanno che è storico di formazione (e di ex professione). Concidenza vuole che mentre trascrivevo l'intervista senza domande al "Valerio" leggibile qui: http://beppesebaste.blogspot.com/2011/12/v-per-violenza-ho-ventotto-anni-e-sono.html , con una nota su "L'insurrezione che viene", lui scriveva questo lucidissimo intervento per la rivista tedesca on line Experimenta su argomenti molto simili. Lo propongo con piacere ai lettori di questo blog, anche perché lo trovo bellissimo.

MA NOI MANGIAMO CARNE (di Carlo Bordini)

   Ottobre. In questo periodo, dopo la manifestazione del 15 di Roma, è in corso una polemica tra i sostenitori delle manifestazioni pacifiche, e una minoranza che sostiene e applica la violenza. Io penso che entrambi abbiano ragione, se non altro nel sostenere che i metodi degli altri sono inadeguati. I sostenitori delle manifestazioni pacifiche ritengono che rompere le vetrine delle banche, incendiare cassonetti, bruciare i blindati della polizia, e (ancora peggio) dar fuoco alle auto di semplici cittadini, non serva. E hanno ragione. I sostenitori della violenza ritengono che fare ogni tanto una grande manifestazione sperando che venga un governo migliore, non serva. E hanno ragione anche loro.
   Il fatto è che i giochi si svolgono altrove. Berlusconi sta per cadere, lo dicono e lo sanno tutti, ma tutti si preparano a un compromesso per formare un governo che sia in sostanza non molto diverso da quello che c'è adesso. E la situazione europea non è molto meglio di quella italiana.

   Dopo le violenze del 15, settori dell'opposizione e del governo, unanimemente, hanno proposto il ritorno della legge Reale, che fu promulgata negli anni '70. La legge Reale autorizzava l'uso delle armi da parte della polizia anche nei casi di ordine pubblico (leggi: manifestazioni). Autorizzava le perquisizioni anche senza il permesso dell'autorità giudiziaria. E gli arresti anche al di fuori della flagranza. Si calcola che la legge Reale abbia provocato 625 vittime. Le Brigate Rosse hanno ucciso 86 persone.
   Io personalmente non credo che sia giusto demonizzare coloro che applicano la violenza. Ci saranno tra loro infiltrati della polizia, ma questo è normale. Non mi scandalizzo nemmeno perché lì ci sono persone di destra, o gente che vuole soltanto picchiare, gente che va allo stadio. E' gente esasperata, lo ero anch'io, da giovane. Piuttosto il paragone con la fluidità, con l'intelligenza, con l'ubiquità degli Occupy Wall Street fa apparire rozzi questi settori che teorizzano la violenza, e allo stesso modo i neo-anarchici che stanno ricominciando a fare attentati.
   Spesso penso a un'opera di Brecht: La resistibile ascesa di Arturo Ui. Hitler poteva essere fermato. E non lo fu. Anche Mussolini poteva essere fermato. Anche Berlusconi, in Italia, poteva essere fermato. In questi anni Berlusconi è stato per cadere diverse volte, ed è sempre stato salvato, in varie occasioni, da un ex comunista.
  
   Novembre. Berlusconi è caduto. Il giorno delle sue dimissioni, sotto il Quirinale, erano presenti l'orchestra e il coro del movimento Resistenza Musicale Permanente (uno dei tanti movimenti antiberlusconiani) che ha cantato l'Alleluia di Händel. Successivamente Monti è stato accolto col consenso quasi generale della popolazione.
   La cosa interessante era che nessuno sapeva (tranne gli addetti ai lavori, e neanche loro tanto precisamente) qual'era il programma di Monti. Lui era il salvatore. L'accoglienza che gli è stata fatta mi ha fatto pensare all'accoglienza che fece Roma a Hitler nel 1938. Un mio amico, che sta scrivendo un romanzo e si sta documentando, mi ha detto che il popolo romano, che a quell'epoca era piuttosto povero, accolse Hitler come un Messia, con un entusiasmo delirante. Non voglio paragonare Monti a Hitler, ma solo mettere in rilievo il grado di fideismo, la proiezione che si fa su una persona in un momento di difficoltà. Mariano Rajoy ha vinto le elezioni in Spagna senza che si conoscesse il suo programma, perché lui aveva fatto una campagna elettorale generica, dicendo solo che con lui la Spagna sarebbe uscita dalla crisi. Di Pietro interrogò Monti, prima della sua elezione in parlamento, chiedendogli quale fosse il suo programma. Poi scrisse in un'intervista: io gli facevo delle domande e lui sorrideva. E non rispondeva.

   Dicembre. Il programma di Monti è quello dell'Europa, è quello che il FMI ha proposto a tutto il mondo in questi ultimi anni e che non ha ottenuto nessun risultato tranne quello di far arricchire qualcuno e di far impoverire tutti gli altri. Il consenso di Monti sta calando rapidamente. Sono ricominciate le manifestazioni e gli scioperi. I sindacati si sono nuovamente uniti. Molti economisti della sua stessa area lo hanno criticato. Non si tratta in modo particolare degli indignati, che in Italia non hanno dato per il momento un movimento costante e giornaliero come negli Stati Uniti e in Spagna, ma di una miriade di manifestazioni, picchetti, occupazioni in cui sono molto presenti i lavoratori e sono molto presenti anche le donne. Quello che gira nelle teste di molta gente e che appare ogni tanto su Internet o sui giornali è il fantasma dell'Argentina, che è riuscita a liberarsi, con una grande mobilitazione, al diktat del FMI che l'aveva messa sul lastrico, e ora si sta riprendendo. Più che un fantasma una suggestione. C'è una profonda disillusione e un clima di grande esasperazione.

   Quello che colpisce è che la situazione politica, in Italia e altrove, esprime una serie di paradossi, in cui tutti gli schemi precedenti vengono ribaltati, distrutti. La destra ruba le parole alla sinistra. Comincia a usare termini usati dalla sinistra, come ad esempio macelleria sociale. Norma Rangeri, sul "Manifesto", parla di "maionese impazzita", di "inversione di ruoli". Gente che ha giocato a palla con la democrazia, che ha fatto leggi elettorali catastrofiche, false, che ha imbonito i cittadini con promesse false e monopoli televisivi, oggi protesta e grida al golpe bianco. Personaggi squallidi e voltagabbana del governo precedente accusano il governo Monti di essere il governo delle banche. A Bologna Merola, sindaco della sinistra, ha fatto sgomberare immediatamente il cinema Arcobaleno occupato dagli indignados, mentre a Roma il sindaco neofascista Alemanno non ha avuto il coraggio di far sgomberare il teatro Valle, anch'esso occupato da tempo. Il paradosso dei paradossi è che ovunque si pretende di emendare i guasti del liberismo con misure liberiste. A livello internazionale si potrebbe porre come paradosso il fatto che il paese più pericoloso per l'Europa è la Germania, e non la Grecia. In Egitto le tifoserie delle due principali squadre di calcio del Cairo si sono unite per difendere la popolazione dagli attacchi dell'esercito durante le manifestazioni. Queste tifoserie hanno una lunga tradizione di scontri con la polizia. Il paradosso è che fino ad ora le tifoserie erano considerate qualcosa che esulava dal campo della democrazia, espressioni di estremismo di destra e di sinistra, mentre ora, "paradossalmente", fanno parte in Egitto di un processo che chiede la democrazia.

   Tutti questi paradossi dimostrano che i vecchi schemi non reggono, e gli indignados, gli Occupy Wall Street, fanno parte di questa rottura degli schemi. Non sono uno dei tanti movimenti di protesta. Ci sono almeno due elementi che li contraddistingono: il primo è la ribellione a ciò che il mondo sta diventando. Il secondo è la sfiducia nelle istituzioni che reggono la cosa pubblica, ed anche nei movimenti e partiti che si dichiarano all'opposizione. La ricerca di qualcosa di nuovo, quindi, di una partecipazione nuova, di una partecipazione reale, basata, soprattutto, sul rifiuto della delega; anche perché a differenza del passato non ci sono più punti di riferimento. La sensazione niente affatto errata è che le classi dirigenti e le classi privilegiate siano un blocco unico, con differenze tra loro non sostanziali e molto piccole.

   Se l'economia è globalizzata,anche i movimenti di protesta si stanno globalizzando. Dopo anni di stagnazione, ho la sensazione che sia già nata una nuova fase storica di eventi rivoluzionari. Credo che vadano considerati come un toto non solo i movimenti degli indignati propriamente detti o degli Occupy Wall Street, ma anche tutte le lotte di popolo nei paesi arabi, le manifestazioni in Russia, e tutto ciò che si sta muovendo nel mondo. Questa nuova fase, ancora acefala, ha potenzialmente una forza immensa. Non possiamo prevedere come, cosa ne uscirà; ma una cosa è certa: questi movimenti hanno carattere di urgenza. Siamo sull'orlo di un baratro: alla base di queste manifestazioni non c'è solo il fatto che i giovani non hanno lavoro e non hanno futuro; al fondo c'è l'idea che il mondo sta morendo, o, per essere più precisi, che il genere umano ha iniziato la sua autodistruzione.

   I problemi dell'epoca che viviamo hanno origine dalla caduta del socialismo reale. Dal fallimento dei regimi del socialismo reale. Nessun rimpianto per quei regimi burocratici ed oppressivi; ma la fine di un movimento antagonista, di un'oppressione antagonista, ha dato campo libero senza ostacoli alle forze del capitalismo, che, attraverso la cosiddetta globalizzazione, ha reintrodotto nel mondo la schiavitù, ha penalizzato i giovani, ha reso miserabili i popoli, ha dato un potere enorme alla finanza creando appunto quel divario tra l'1 e il 99 per cento di cui giustamente parlano gli Occupy Wall Street. Marx, tra l'altro, aveva previsto tutto questo.

   In Italia, secondo un recente sondaggio, l'80% della popolazione non ha fiducia nel mondo della politica. Nel Stati Uniti il 49% dei giovani ha una visione positiva del socialismo. Ma c'è qualcosa (forse la mia età) che mi rende pessimista. E' dal fallimento del socialismo reale, credo, che bisogna partire. Questo fallimento rappresenta un peccato originale che pesa come un macigno sulla testa di questi movimenti. In fondo, tutti i ragionamenti che dicono: noi siamo il 99%, voi siete l'1%, o, come ha detto recentemente un sindacalista italiano, noi siamo quelli che remiamo, voi siete i passeggeri, dovrebbero portare a una conclusione logica: l'abolizione della proprietà privata. Perché non è facile arrivare a questa conclusione? Proprio per il peccato originale del fallimento del socialismo reale (del suo fallimento, non della sua sconfitta, da cui ci si può riprendere). Lo stalinismo ha fatto più danni e più vittime del nazismo. Anche perché ha impedito a un movimento rivoluzionario di espandersi. Né l'esempio della Cina aiuta ad essere ottimisti... Né quello di Cuba, purtroppo. Né quello dei vari regimi socialisti che hanno vissuto esperienze effimere in Africa e altrove. In fondo, la forza assunta dai movimenti politici di estrazione mussulmana deriva dal fatto che questi movimenti sono nati sulle macerie di regimi socialisti fallimentari, e che il solidarismo precapitalista, di tipo feudale, che li caratterizza, finanziato, tra l'altro, dai proventi del petrolio, è apparso come un baluardo molto più efficace alla dominazione del capitalismo globale.

   Forse qualcosa che sta succedendo in America latina può essere portato come esempio di una mediazione positiva e interessante. Forse. Io sono rimasto molto colpito in ogni caso dall'importanza che viene data alla cultura e alla poesia in certi paesi latinoamericani. Mi ha dato l'impressione di una società ancora capace di investire in sogni, in speranze, in obiettivi futuri, anche in quel che di utopico che poi può portare a realizzazioni, mentre noi europei siamo rimasti rannicchiati nel tentativo di non perdere i vecchi privilegi che, in ogni caso, stiamo perdendo. La crisi economica del sistema USA-Europa è sistemica, non ha soluzione, e, per quel che riguarda l'Europa, non esistono paesi virtuosi e paesi non virtuosi; la crisi è partita dai paesi più deboli e non risparmia i paesi più forti, ha già attaccato la Francia e la Germania; e uno dei paradossi che vive la situazione attuale è appunto quello per cui oggi, per la tenuta dell'Euro, la Germania, con la politica della Merkel, è più pericolosa della Grecia.

   Certo, la rottura di tutti gli schemi può portare a situazioni teorizzazioni o contingenze imprevedibili. Ma io personalmente sono pessimista. Sono pessimista perché il fallimento di tutti i movimenti basati sullo storicismo mi ha portato a riconsiderare determinate categorie che possono essere raggruppate sotto il termine obsoleto di "natura umana". E lo studio della storia, tra l'altro, e in particolare il fallimento dell'esperienza sovietica e di tutte le sue diramazioni, mi ha confermato quello che oggi abbiamo sotto gli occhi: che c'è nell'essere umano un difetto di fabbricazione. L'unico nome che riesco a trovare a questo difetto di fabbricazione è un termine greco: Hybris, che in italiano viene comunemente tradotto con il termine "superbia". Da una frettolosa ricerca effettuata su internet ho appreso che Hybris è "la dismisura, la superbia e il superamento del limite. In Omero la parola si riferiva soprattutto alla disobbedienza e alla ribellione contro il principe; nelle epoche successive passò invece a indicare la sfida dell'uomo nei confronti degli dei". " ὕβρις è un termine tecnico della tragedia greca e della letteratura greca, che compare nella Poetica di Aristotele... Significa letteralmente "tracotanza", "eccesso", "superbia", “orgoglio” o "prevaricazione"". Ai nostri occhi moderni potrebbe significare la rottura di un ordine classico proprio della civiltà greca.

   Hybris esprime bene quello che ho in mente, e il fatto che secondo i Greci porti alla tragedia si attaglia bene alla situazione che stiamo vivendo, che è chiaramente quella si una lenta tragedia. Se si crede alla hybris che c'è nell'uomo di disvela l'ingenuità che è nel pensiero di Marx e forse più in quello dei marxisti: e cioè che una società razionale è possibile quando le forze produttive sono tali da poter assicurare la soddisfazione dei bisogni di tutti. "Quando ci saranno beni a disposizione per tutti, come oggi è possibile, non ci sarà bisogno di rubare, di prevaricare, faranno tutto le macchine, si potrà avere una società razionale e senza conflitti" (questa non è una citazione, è un sunto di quella che è stata un'opinione corrente). In nome di questa credenza si è combattuto per il socialismo e lo si è creduto scientifico, ma a quanto pare la storia non ha confermato questa teoria. Trotsky giustificò la nascita della burocrazia in URSS con l'isolamento e l'arretratezza dell'Unione Sovietica, ma alla luce di quanto è successo dopo (e anche alla luce di quanto è successo prima, se diamo un'occhiata alla storia) c'è qualcosa di più. In parole povere, non esiste limite all'avidità e alla distruttività umana. E' una pulsione inarrestabile, incontrollabile, irrazionale.

   Il termine "vita", vita organica, secondo una vecchia analisi letta in gioventù, significa che la vita è ciò che nasce, si riproduce e muore, e non può continuare a vivere se non distrugge altra vita. Cioè, se non "mangia". Gli esseri umani mangiano, come tutti gli altri animali; ma non si limitano a questo. L'avidità umana, a differenza di quella degli animali, è inarrestabile. E questo difetto di fabbricazione ci sta portando all'autodistruzione e che rischia di farci durare meno dei dinosauri. Forse, anzi sicuramente, è proprio la capacità creativa dell'essere umano lo strumento, il volano di questa distruttività insaziabile, la base che permette a questa avidità di soddisfarsi; ma sembra che non ci sia limite a questo. E in questo periodo sono superati tutti i limiti.
   Il potere si riproduce ovunque, in qualunque circostanza, in qualunque forma di assembramento o di relazione umana. Forse (lo dice qualcuno) anche all'interno degli attuali movimenti. C’è chi dice che all’interno dei movimenti già emergono nuovi leader che si sbracciano per ottenere visibilità: potrebbe essere vero o comunque verosimile.
   Tutte le rivoluzioni hanno avuto il loro bonapartismo. Questo è particolarmente chiaro oggi, dopo che le enormi forze e sforzi e tensioni della parte migliore dell'umanità hanno portato a risultati osceni e terrificanti. Tutte le rivoluzioni si sono concluse in grandi assestamenti storici che hanno portato alla creazione di nuove gerarchie di potere e di nuovi strumenti di potere. A cominciare dalla rivoluzione cristiana. La rivoluzione inglese, nata in nome di ideali quanto mai nobili, ha portato all'intervento dell'Inghilterra nella tratta degli schiavi, all'oppressione dell'Irlanda, ha segnato l'inizio dell'intervento inglese in India, e ha posto le basi dell'espansione del colonialismo inglese del Diciannovesimo secolo. La rivoluzione francese è sfociata in pochi anni nell'Impero napoleonico. E via discorrendo...
  
   Chi è potente vuole essere potentissimo. Chi è ricco vuole essere ricchissimo. Il dominio incontrollato e senza ostacoli del capitalismo finanziario sta portando il mondo all'autodistruzione. Il fallimento dei vari convegni sul clima è l'espressione più chiara di come questa violenza irrazionale non sia capace di porsi dei limiti. I No Global di Seattle, gli Indignados, gli Occupy Wall Street, tutti quelli che stanno cercando di lottare per la loro e altrui sopravvivenza scardinando i vecchi schemi, partendo da zero, cercando di creare nuove forme che non tengano in considerazione i vecchi movimenti "progressisti" di tutte le forme, sono i santi di oggi. Ma io credo che il genere umano può essere salvato solo da una nuova religione. Perché noi mangiamo carne.

   Forse, nel panorama delle rivoluzioni che si sono rivelate nuove strutture di potere, le uniche rivoluzioni che sono riuscite sono le rivoluzioni culturali. Per questo, io laico, ateo o sicuramente non credente, penso che solo una nuova religione, una religione senza Dio, che ormai è morto, una rivoluzione culturale laica travestita da religione, potrebbe salvare l'umanità. Ammesso che ciò sia possibile. E ammesso che ne valga la pena. Perché è solo a livello irrazionale che si potrebbe agire. In teoria, coi mezzi tecnici che ci sono, i problemi del mondo potrebbero essere risolti in una settimana. Io ti dono questo, tu mi doni questo. Io rinuncio a questo, tu rinuncia a questo. In Abruzzo, quando i guardiacaccia sono costretti a uccidere un orso, perché dà fastidio, penetra nelle case, è pericoloso, gli mettono in bocca un po' d'erba. Gli danno da mangiare. Gli chiedono scusa per averlo ucciso. Io ti uccido per non essere ucciso, perché devo mangiare, ma ti chiedo scusa. Gli esseri umani non chiedono scusa alla natura. Quello che è scomparso è il senso del sacro. Mettere un po' d'erba nella bocca di un orso è avere compassione, provare dolore per averlo ucciso. Sentire che in fondo la propria sopravvivenza è una colpa. La hybris è esattamente il contrario di tutto questo.

   L'idea della religione come nuova socialità, sostitutiva dell'idea del socialismo, è un ritorno al Medio Evo, in cui la sacralità del re fu la base per la formazione delle monarchie nazionali. Non è un bel vedere, ma è meglio della guerra atomica... e queste idee sono assolutamente inattuali. E per essere ancora più inattuale vorrei proporre il ritorno al sentimento di colpa. Sentire come una colpa non la trasgressione al dovere della castità, o dell'obbedienza all'autorità costituita, ma all'idea di rispetto. Rispetto per gli orsi, naturalmente.

2/04/2012

Vulcano, poesia a teatro

   Si apre con lo stupore del mare: “Il mare è grigio. Il mare si muove lentamente. Il mare è rotondo (...) Il mare è ciclico. Si noti: il mare c’è in tutte le stagioni. Per questo dico che è grigio, perché adesso è inverno (...)”. Teatro di parola, anzi di poesia (quelle di Carlo Bordini). Parla dell’amore appena sbocciato, oppure ricominciato, rewind: “Ciclicità, eternità, vastità e orizzonte”. Le orme sulla spiaggia “se sono irregolari, tanto meglio”. S’innesta nel monologo sui Gesti della splendida omonima poesia (“Persone i cui gesti tremano / un po’ / Persone i cui gesti sbagliati. (...) I gesti / rassegnati (...) I gesti consapevolmente / goffi, (...) I gesti che / sanno / che non c’è niente da fare...”). Siamo nella paludosa lussureggiante foresta dell’amore, aggrovigliata come i Nodi di Ronald Laing (ricordate? L’antipsichiatra inglese autore, tra l’altro, di Mi ami?”).

   Due attori e un’attrice (Michele Balducci, Emanuel Caserio, Claudia Vismara) tutti poco più che ventenni. Un uomo vestito di grigio e una donna vestita di rosso. L’uomo è affiancato dal suo doppio, come vuole forse lo sdoppiamento tra personaggio e poeta, o quello semplicemente nevrotico tra sé e sé. Un uomo e una donna che provano ad amarsi e a ininterrottamente fallire per fallire meglio, fino all’estinzione (di sé o dell’altro, è uguale). Come se l’uomo e la donna non pensassero mai la stessa cosa, anche quando pensano la stessa cosa. Tutte le poesie di Carlo Bordini abitano questo scarto abissale - luogo impossibile da cui scaturisce la poesia: l’alterità irriducibile, l’altro che è forse, innanzitutto, se stesso.
   C’è un capitolo nella biografia del poeta Bordini, svolta o scherzo del destino, che è anche il capitolo centrale di questa messa in scena di Virginia Franchi e Francesco Pontorno della parola amorosa: il poema Strategia, in forma di cronaca di un onirico incontro di pugilato. Il poema è stato scritto alla fine degli anni ‘70 – descrizione di un gioco al massacro cui non aiutano, anzi tutt’altro, anni di psicanalisi e consapevolezza. Chi lo mette in scena e lo fa proprio con indubbia partecipazione estetico-emotiva è una regista di 24 anni con attori suoi coetanei. Dolori e nevrosi sopravvivono agli autori-portatori dando risposte, o meglio domande, valide nel tempo. Confesso di avere provato una vertigine di commozione per questa epifania, poesia come eterno presente. Tornando a Strategia, ovvero a Vulcano, è la storia di un match impossibile. Cosa si vince? “Siete voi due la vincita”, dice l’allenatore. Fino all’esaurimento, poiché i due sono sempre fatalmente pari. “Ci eravamo abbracciati per non toccarci. / io ti tenevo tra le braccia e pensavo: / finché siamo così non possiamo colpirci”.
   In questo periodo di feconda riscoperta dell’underground italiano, mi piace ricordare che le poesie di Carlo Bordini, sparse in mille rivoli editoriali dagli anni ’70 a oggi, sono raccolte da un anno per l’editore Luca Sossella col titolo I costruttori di vulcani. Bella, sentita e perturbante questa trasposizione teatrale. Ma sentirle leggere dall’autore è ancora una bellissima esperienza.

Articolo uscito su l'Unità di oggi, sabato 4 febbraio 2012.
Vulcano va in scena al Teatro Colosseo, via Corno d'Africa, Roma, fino a domenica. Ma le date posso essere state canbiate per via della neve.

2/03/2012

A volte ritornano, o non sono mai andati via (l'underground in Italia e i ragazzi del '77)


   Contrordine, tiriamo giù i libri che avevamo messo sullo scaffale più alto, perché la cultura “alternativa”, come si diceva una volta, è di nuovo nell’aria. Sarà anche per via della misteriosa crisi economica, in realtà nascosta dalla sua evidenza (una crisi di sistema, forse di civiltà), ma il richiamo del grande largo è tra noi: andarsene, tirarsi fuori, rinunciare a tutto perché non ci manchi più nulla, come il camminare “a piedi nudi sulla terra” descritto da Folco Terzani. Un ritorno all’evidenza che alcuni decenni fa rischiò di cambiare radicalmente l’idea della politica. Parlo insomma del fantasma della controcultura, l’underground e il movimento hippie, di cui riappare un’antologia della sua espressione in Italia a cura di Matteo Guarnaccia (Shake edizioni). C’è il compendio di tutto: Kerouac e il Living Theatre di Paradise now, il lento viaggio in India sui Magic bus e quello in Marocco, l’erba e l’acido lisergico, ma anche Villa Medici a Roma diretta da Balthus, il festival di Spoleto del ‘67 quando venne Allen Ginsberg, la rivista Re Nudo e il festival di Parco Lambro del “tardo” 1976. Ed eccoci così a un periodo più vicino e più lontano, perché massacrato dai media e dai cliché: il biennio 1976-1978, di cui un libro appena uscito offre un’impagabile panoramica: I ragazzi del ’77 (edizioni Baskerville e Sonic Press), 544 pagine e 1272 foto.

   E’ un libro-piazza, reale e virtuale insieme. L’autore Enrico Scuro è fotografo, ma è partire da una foto pubblicata su Facebook - Piazza VIII Agosto gremita durante il convegno sulla “repressione” del settembre ‘77 a uno spettacolo di Dario Fo - che è nato il gioco collettivo del riconoscersi e del “taggarsi”. Tantissime persone a distanza di anni hanno riaperto così i loro album e i loro archivi, in un’operazione poetico-documentaria del tutto in linea con le tendenze dell’arte contemporanea. Ne è nato un archivio storico-terapeutico, un “rammendo della memoria”, come ha scritto la coautrice Marzia Bisognin. Memoria costellata, oltre che di scoppi di gioia e di creatività, idee e passioni di vita, anche di lutti, violenza, tragedie, ma in cui il gioco e l’innocenza superano di gran lunga l’idea di “anni di piombo”, come sciaguratamente ancora sono definiti quegli anni (il piombo era semmai quello della banda della Magliana, che agiva pressoché indisturbata). Il volti del ’77, a Bologna e non solo, appartengono a chi, tra nostalgia e orgoglio, rivendica di essere appartenuto a una fetta di popolazione che non si è piegata all’ovvietà. E che viene spontaneo confrontare con quelli di Occupy WS e altri movimenti di indignati del presente. All’opposto dei ragazzi del muretto, dice Enrico Scuro, i ragazzi del 77 erano una generazione che non stava mai ferma, che aveva mille idee e cose da proporre in tutti i campi del costume, della cultura e della politica, in rottura col modo di vivere dominante. “E la cosa bella è che oggi, dopo anni in cui eravamo dispersi, ci siamo ritrovati con lo stesso spirito di allora: non siamo ex, siamo rimasti settantasettini”.

articolo uscito su Venerdì di Repubblica del 3 febbraio 2012, col titolo: "Con facebook è ritornato il '77 (che non fu solo lutti e tragedie)"