4/30/2007

Idea dell'orizzonte

Il mio soggiorno a Parma - la "città cantiere" del sindaco Ubaldi, amato dai parmigiani (non tutti) come Canale 5 lo è dalle badanti (entrambe le categorie, passive, risulterebbero abbagliate e lievemente narcotizzate da promesse, luccichini e altri visibilia) mi ha mostrato ulteriori e inutili opere pubbliche: un ponte pedonale bianco e strano, posto a sghimbescio sulla via Emilia verso Reggio, non percorso mai da nessuno, ma che in compenso oscura il cielo; e un altro che imita il Golden Gate di San Francisco, spesa ancora più alta, e altrettanto la sua futilità. Ma la meraviglia delle meraviglie è il progetto, già approvato dal governo di Roma quando era ministro Lunardi (costruttore e imprenditore di opere pubbliche parmigiano) di una... metropolitana. A Parma. Che, sì, ve lo confermo, è una piccola città. Lasciamo stare.
Per associazione di idee vorrei postare un mio vecchio pezzo (ai tempi della mia rubrica "I Lunedì al sole" sull'Unità, dedicato alla parola "orizzonte", e che prendeva spunto, altro record della giunta di Parma, al numero incredibile di rotonde, o rotatorie (finanziate dall'Unione europea, quindi facile oggetto di esibizione e, forse, di speculazione) che costellano ormai le strade di Parma e delle sua campagne. Morale, sono spariti gli orizzonti, i punti di fuga visivi, la campagna. Ma tutto questo non può non essere simbolico, o anche più eloquente. L'invito è rivolto a ogni lettore e visitatore: che cosa è "orizzonte"?

Proviamo a dire che cosa è un Orizzonte (da l’Unità, 5 luglio 2004)
Alcuni giorni fa, in concomitanza con il blocco ferroviario a sud dovuto alle proteste, a nord l’Autostrada del Sole veniva chiusa per una notte tra Parma e Piacenza per i lavori dell’alta velocità. Il mattino dopo, guidando verso Milano, mi accorsi dei nuovi cavalcavia, e soprattutto della linea ferroviaria sopraelevata dell’alta velocità sopra quei bianchi piloni che un po’ ovunque in Italia si sono cominciati a vedere. Alla mia destra, alla precisa altezza in cui prima scorreva la linea dell’orizzonte, una lunga lastra di cemento armato fermava lo sguardo. Al ritorno, la stessa chiusura dell’orizzonte alla mia sinistra. Niente più perdita d’occhio, niente più profilo delle Alpi nelle giornate terse. Ora, non tutto è siepe nel senso di Leopardi, a immaginare l’infinito e celebrare il sogno. Né tutto è nebbia nel senso di Pascoli, a nascondere le cose lontane per meglio celebrare lo shining di quelle vicine, il questo del mondo. L’orizzonte è di tutti, esperienza fondamentale per acquisire il senso dell’esserci, nel mondo. Per sognarlo od ampliarlo, l’orizzonte occorre innanzitutto vederlo.
Una perdita simile la registro da tempo nelle città, per via della moda delle rotatorie, o rotonde, che sostituiscono un po’ dappertutto i semafori in nome di una circolazione più fluida e soprattutto veloce. Parma, credo, rappresenta un piccolo record. Il decisionista sindaco ne ha promosso non so quante decine in pochissimi anni, compreso ogni incrocio della via Emilia che attraversa la città, al prezzo però di cancellare per sempre la fuga visiva che dava senso a quell’antico rettilineo costellato da campanili svettanti. Anche lì, quindi, niente più orizzonte. Ricordo uno scritto di Marcel Proust dal titolo Gite in automobile, dove si descrive una passeggiata per le strade bianche della Normandia in tutto simili alle vie consolari romane, come la via Emilia appunto. È un breve racconto di osservazione che vale come laude all’orizzonte e ai segni architettonici che lo celebrano, come i campanili. Quando anni fa partecipai a una descrizione della via Emilia, coordinata dal fotografo Luigi Ghirri e dallo scrittore Gianni Celati, quel racconto mi aiutò a percepire meglio quello che avevo davanti agli occhi, e di fronte a cui ero assuefatto. I rurali, le locande che si affacciano sulla strada ora percorsa da camion rombanti, le chiese romaniche, testimoniano di un senso perduto dello spazio, dell’assorbimento della luce, di un’arte sapiente del movimento e della sosta. E l’orizzonte ne è parte integrante. Se tra rotatorie e cantieri di strade e ferrovie l’orizzonte si perde - davanti, dietro, ai lati - un racconto come quello di Proust, per esempio, non sarà più esperibile né riconoscibile. È metafora un orizzonte? Se sì, lo è solo di se stesso, come la parola sguardo. E, come ricordava Rilke, "la creatura qual siano gli occhi suoi vede l’Aperto. Soltanto gli occhi nostri son come rigirati…", ecc. Ho pensato tutto questo guidando sull’Autostrada del Sole, e ricordandomi che queste pagine di cultura si chiamano "orizzonti". Ebbene, non diamoli per scontati. Proviamo a dire che cosa è un orizzonte.


4/27/2007

Contro l'anestesia. L'ultimo libro di Giorgio Messori (e una postilla su Parma)

Se comprate l'Unità di oggi, venerdì, nelle pagine "Orizzonti" c'è un'anticipazione del bellissimo libro scritto da Giorgio Messori, con le fotografie di Vittore Fossati, Viaggio in un paesaggio terrestre (che sarà presentato domani a Reggio Emilia, nell'ambito del festival "Fotografia europea"). In particolare, ci sono alcuni brani del capitolo intitolato "La via di Petrarca". C'è anche una mia breve nota, che qui incollo:

"Viaggio in un paesaggio terrestre di Giorgio Messori e Vittore Fossati (edito da Diabasis) è un libro bellissimo. Vi si inventa un nuovo genere letterario, anche se è così naturale che sembra antico, come se ci fosse sempre stato. E’ un libro sul guardare, sul perdersi e ritrovarsi, sul leggere, sul sognare e l’abitare. Si sente anche che il fotografo Vittore Fossati e lo scrittore Giorgio Messori hanno frequentato, con comune passione, quel maestro dei luoghi che era Luigi Ghirri. Vorrei qui rendere omaggio al testo, che raggiunge postumo i suoi lettori, perché il suo autore è venuto dolorosamente a mancare quasi un anno fa. Non mi farà velo l’amicizia, che data dal tempo in cui entrambi abbiamo cominciato a scrivere e a pensare; ma gli amori estetici di Giorgio, lo confesso, sono anche i miei amori.
Si tratta di nove viaggi, nove relazioni sul paesaggio avvenute tra l’agosto del 1997 e il gennaio del 2002 – data, quest’ultima, in cui il narratore abitava già da oltre un anno a Tashkent, Uzbekistan, dove insegnava letteratura italiana all’università. Nove passeggiate (direbbe J.-J Rousseau), cioè trasognamenti lucidi. A volte immobili e intensive - soggiorni, luoghi di sosta e di associazioni mentali – con un’attenzione e un rigore etico e conoscitivo che è giusto apparentare al genere del saggio alla Montaigne – che dell’essai, in effetti, fu inventore. All’educazione estetica che questi viaggi producono nel lettore corrisponde una forma narrativa che ricorda anch’essa il programma enunciato da Montaigne nel XVI secolo: “non insegno, racconto”. Messori insegna raccontando con lievità e densità (in una parola: intensamente) che cosa è, per esempio, guardare (e, mentre lo dico, mi risuona la sua voce quando insegnava che il suo amato pittore Giorgio Morandi, quando dipingeva le sue famose bottiglie, non dipingeva bottiglie, ma il puro guardare e il puro dipingere). Giorgio, in dialogo coll’amico Vittore, racconta e insegna che cosa è guardare passando dai sentieri dell’Appennino reggiano ai vecchi porti olandesi, dalla casa di Petrarca a quella di Gustave Courbet, dalla Delft di Vermeer alla Capri di Rilke; e nei suoi viaggi incontra valli, greti di fiumi, torrenti zampillanti, laghi, rovine, cascine, caverne, rocce, boschi, cave di sale, cespugli di rosmarino, impronte sulla neve, cani, mulattieri, bar di paesi minuscoli, bettole, alberi, nuvole, cieli, orizzonti, libri di poesie, racconti di fantascienza, racconti di Robert Walser e di Thomas Bernhard, le Georgiche di Virgilio, quadri di De Chirico, di Cézanne, di Hopper, di Friederich, fotografie di Atget e di Ghirri, e finestre, piccoli aeroporti, umili interni ammobiliati e per questo sublimi, vecchi calendari, Salmi, preghiere, e ancora tanti cieli, infinite vie di salvezza per l’essere umano e terrestre. Lo ripeto, è un libro bellissimo, da adottare nelle scuole, anzi nella vita"

E, a questo punto, resta solo quella postilla promessa nel titolo. Si tratta sempre di estetica, e di educazione alla sensibilità contro l'anestesia. Per chi sta a Parma (ma anche per chi non ci sta) la mia visita (e l'attuale soggiorno: vi scrivo infatti da Parma) ha accresciuto se possibile il mio giudizio precedente. E' la città dell'anestesia, dove spiccano - per i giovani - le movide serali e notturne nei nuovi bar ad anestesizzarsi di alcoolici, e girando a vuoto. Per altri, una sorta di ebete (non beata, ebete) approvazione della città-cantiere promossa dal sindaco uscente, che rientra comunque nella lista che porta il suo nome (lui ha già svolto due mandati). E' la città dove più che in ogni altra trionfa la vetrinizzazione sociale (titolo del bel libro di Vanni Codeluppi), il consumismo infelice, l'ideologia del successo che abolisce ogni giudizio (il successo non si giudica: si constata), la promozione e conversione generalizzata dei cittadini in fruitori, utenti, clienti, passivi come spettatori televisivi. E altre tristezze.
Basterebbe rileggersi (o leggersi per chi non l'ha ancora fatto), quel bellissimo trattato di educazione alla cittadinanza che è Politica della bellezza di Hillman, per riconoscere l'oppressione anestetica e desiderare, consapevolmente, poter vivere nella propria città delle esperienze estetiche. Non è un'evasione, pur essendo una liberazione. E' un'idea di comunità, di socialità, che pure c'era, l'ho vissuta, ma oggi è stata quasi sradicata. E' tutt'uno con un situarsi, con una postura etica, con l'affermazione della vita. E quindi con la politica.
Ora sono più contento di avere accettato di candidarmi qui alle liste coi Verdi & Pdci. E bevendo ieri la malvasia nel cortile della Corale Verdi, un'oasi affiancata al parco con ristorante e alberi di tiglio, dopo l'allegra presentazione della lista, come in una campagna vera (non elettorale, ma impressionistica, alla Renoir), immaginavo Giorgio bere lì il vino con me come tante altre volte, allegro e sornione. E avremmo continuato a bere insieme e a parlare e a guardare e a ridere e a giocare e guardare il mondo e la gente fino a notte tarda, come tante volte. (Guardare il mondo, sapendo che ci siamo anche noi dentro il mondo: Tutto il contrario della tv).

4/23/2007

Per Alberto Grifi



E' morto, dopo una lunga malattia, il regista Alberto Grifi, l'indimenticabile autore di quel film infinito che è Anna - infinito perché lo continuava sempre, anche se iniziò nei primi anni '70. Grande testimone e narratore degli anni Settanta in Italia, Alberto Grifi circa un mese fa all'Auditorium di Roma fu premiato, tardivamente, dopo la proiezione di Anna (tre ore leggerissime), con la promessa di un luogo, una casa-archivio per i suoi tanti materiali filmati, se non per l'autore. Che ieri se ne è andato. C'erano molti giovani, che forse lo vedevano per la prima volta, e che per la prima volta vedevano anche una Roma beat, primi anni '70, e i primi dibattiti sulla politica e la vita. Per sapere di lui, della sua vita, della sua coerenza, della sua meravigliosa produzione, cliccate qui.

4/22/2007

Per strada, per affinità elettive

Provate a leggere questo straordinario testo che ho trovato (che a me ricorda tra l'altro le poesie di Corrado Costa, il grande poeta zen italiano, ai margini del gruppo '63, deceduto nel 1991). (La premessa è l'accettazione alla candidatura in una lista da parte del sottoscritto, e il testo soltanto la descrizione del contrassegno della lista in questione, come da modulo burocratico da firmare):
"Un cerchio che racchiude, appaiati centralmente, due diversi simboli. A sinistra il simbolo SOLE CHE RIDE tagliato con la dicitura VERDI - un cerchio che racchiude un Sole che Ride giallo su fondo verde tagliato da una striscia bianca con la scritta VERDI in verde. Nella lunetta sottostante, su fondo realizzato con i colori dell'arcobaleno a bande orizzontali a partire dall'alto verso il basso di colore blu, azzurro, celeste, verde, giallo, arancione e rosse la scritta "per la PACE" in bianco e, a destra, il simbolo: Stella, falce e martello di colore giallo su bandiera rossa bordata di bianco sovrapposta alla bandiera tricolore nazionale bordata di bianco sporgente in basso e sul lato destro; nella parte superiore del cerchio è inscritta la dicitura PER LA SINISTRA di colore blu; nella parte inferiore del cerchio è inscritta la dicitura COMUNISTI ITALIANI di colore blu. Il fondo del simbolo è celeste. Nella lunetta superiore del cerchio è inscritta la dicitura UNIONE, di colore verde; in quella inferiore è invece inscritta, su due righe, la dicitura PER, di colore rosso, e PARMA, di colore verde. Il fondo del cerchio, là dove non sia impegnato dai due simboli sopra descritti, è celeste sfumato".

Ecco. La candidatura è per l'elezione dei consiglieri del Comune di Parma che si svolgerà il 28 e 29 maggio. Ho accettato. Con mia sorpresa. Ieri. Io abito ormai a Roma, ci risiedo felicemente, ma mi è stato chiesto da quella lista in cui campeggia la parola SINISTRA, la stessa parola appena licenziata da un grande congresso nazionale, anzi da due. E' una lista che non avrei mai votato prima, almeno non a livello nazionale. Ma ho nostalgia di qualcosa che per molti forse non è mai accaduto, una sinistra che sia vincente e non solo "di governo" (due cose profondamente diverse). Ho sempre cercato di stare lontano da questo tipo di pratiche e di riti - le liste elettorali - preferisco le affinità elettive - ma di questo, credo, si tratta per me. Penso anche che proprio la descrizione di quel simbolo, con quelle parole, oltre alla teoria dei colori che vi è contenuta, possa far capire ad alcuni degli amici e lettori il perché di questa adesione. E che sì, perché no, perché non dare un contributo minimo, perché non darsi, in un momento come questo, così vuoto e desolante in quanto a idee e orizzonti? Ne riparliamo qui, certo. Fatevi sentire anche voi, fatemi sapere. Non smetto di stare alla finestra - le finestre non sono passive - tanto meno di scrivere per nessuno (cioè per tutti, cioè scrivere e basta), solo scendo un po' più spesso in strada, almeno per un periodo.

4/16/2007

Stare alla finestra

Il titolo di questo post è forse sbagliato. Sulle finestre era uscito un bel libro un paio d'anni fa, Finestre sul cortile (a cura di Stefania Scateni) che insegnava che le finestre sono tutto fuorché luoghi passivi. C'era anche un mio raccontino. Sto alla finestra nel senso che guardo e parlo poco. Anche su questo blog. Se devo dire la verità, forse sono già stanco della responsabilità (minima, certo, ma pur sempre esistente) di avere un "blog". C'è chi si diverte da matti a riportare cose e frasi e notizie di qui e di là, io mica tanto. Quanto a scrivere, se scrivo una cosa sul serio la tengo in un file del computer, non la esibisco qui. Non subito, almeno. Un diario? Ma andiamo! Per definizione i diari sono segreti, cioè aspettano di essere violati, ma non subito... Credo che in qualche fase della mia vita avere un blog mi sarebbe servito moltissimo. Per esempio quando, dieci anni fa e oltre, privo di Internet, scrivevo un diario al computer - un inventario alla cieca di fatti e cose - e mi sembrava di non essere solo; all'epoca cercavo a tutti i costi un'evasione (chissà da cosa), e la trovavo nello scrivere, come se ci fosse un'alterità nella tastiera. Ma è il proprio della scrittura, che è linguaggio: la frase "sono solo" è già un ossimoro, il linguaggio essendo sempre per definizione dialogico. Un blog - un diario in pubblico - non è quindi un po' un mostro? Qualcuno sa a cosa serva? Non me lo ricordo più. In realtà aspetto con impazienza che il webmaster metta altri materiali sul sito, poi vedremo: libri, critiche ai libri (recensioni e non solo), altri materiali. Ogni tanto mi viene voglia di esibire qui parti di quello che sto scrivendo (che diventerà un libro, prima o poi). Cioè quell'esperienza di vertiginosa solitudine che si ha quando si scrive sul serio, quando nemmeno l'autore sa bene cosa stia facendo, e anche il più scaltro e sperimentato (non io) si sente sempre un po' un fallito, o un temerario.
Per il resto giro, faccio cose, vedo gente (poca gente). Rimando ogni giorno un articolo sull'assurdità dei modi di questo nascente PD (partito democratico). Mi irrita. Più i soci fondatori ne parlano, invece di sparire, più si ha voglia di girarsi dall'altra parte. L'idea era buona, se le attuali segreterie dei maggiori partiti si fossero eclissate in suo nome, invece di pretendere di dirigerlo. Il dramma è questo: è la politica che è morta. Archiviare Berlinguer (avete letto?), l'ultimo dei politici che non si distingueva da un intellettuale, da un uomo di idee, significa sancire che i politici di oggi non hanno più un'idea, sono soltanto amministratori dell'esistente, questo immenso vuoto di senso che si chiama mercato. Sondaggi compresi.
Varie, felici letture inattuali, romanzi soprattutto. La bancarella dell'usato nella piazza vicino a casa mia è fonte di epifanie e divertimenti. Cari saluti, a presto.

Invito al Macro

Mercoledì 18 aprile 2007, alle ore 17.30, presso la sala conferenze del MacRo (Museo d’Arte contemporanea di Roma, via Reggio Emilia 52), verrà presentato il libro di Simonetta Lux Arte ipercontemporanea. Un certo loro sguardo… ulteriori protocolli dell’arte contemporanea (Gangemi editore). Con la partecipazione del Direttore del Macro Danilo Eccher, e con interventi di varie persone - Fabio Mauri, Walter Pedullà, Irma Arestizibal, Pietro Montani, il sottoscritto e altri. Gli artisti del libro: Tania Bruguera, Sükran Moral, Laura Palmieri, Christiana Protto, René Francisco, Eija-Liisa Ahtila, Marco Dalbosco, Richard Billingham, Gea Casolaro, Cèsar Meneghetti, Daniel Rothbart, Elastic Group of Artistic Research, Theo Eshetu, Alfredo Jaar, Tomàs Ochoa, Jusuf Hadzifejzovic, Gabriele Pesci, Richard Journo, Maurizio Bolognini, Angelo Candiano. Leggere qui per dettagli e approfondimenti.

4/06/2007

Elogio dell'incertezza

Tra poco è Pasqua, e comunque c'è aria di smobilitazione un po' ovunque. Non so cosa farò né se mi sposterò. E comunque, trattandosi qui di viaggi immobili e intensivi, come la scrittura, poco importa. Forse passero qualche giorno a leggere e a mettere a posto cose e idee: "beata solitudo, sola beatitudo".
Col consueto ritardo segnalo un mio pezzo su l'Unità di mercoledì scorso (4 aprile) dedicato a Edgar Morin, Mauro Ceruti e soprattutto l'utopia (di questo, temo, si tratta) di riformare la scuola, o meglio, come scriveva Morin, riformare l'insegnamento e riformare il pensiero. Ero infatti presente l''altro giorno quando, al cospetto del ministro Fioroni, Morin e il suo discepolo italiano Ceruti hanno presentato le linee guida di una riforma radicale della scuola, dei saperi da trasmettere e la loro organizzazione in rete, fino all'educazione a una "nuova cittadinanza" e a un "nuovo umanesimo". Con un forte richiamo alla fecondità del dubbio, all'educazione all'incertezza, alla consapevolezza ecologica del legame fondamentale tra tutte le discipline e i mondi di senso - tra la poesia e la fisica, per esempio. Sono le idee che, prima ancora di Morin, sosteneva il grande Gregory Bateson. Presuppongono la trasformazione degli insegnanti in "maestri", nel senso più ampio e bello della parola. Ma chi forma i formatori? Come resettarli? E poi: avete presente le scuole? E il lavoro di immane, donchisciottesca fatica dei bravi insegnanti che, come ha detto tempo fa in tv Marco Lodoli, vanno di fatto contro a tutto il sistema dei valori dominanti, quelli del mondo extra-scuola? Era bello ascoltare la voce di anziano di Morin predicare una concatenazione dei saperi, scientifici e post-cartesiani (olistici, si dice), insieme alla poesia e alla letteratura, e l'arte e la bellezza, e tutta la soggettività della condizione umana. Eppure, in fondo in fondo, dentro di me risuonava il detto, disperatamente lucido (e ludico) di Jean-Luc Godard: "Cultura = regola, arte = eccezione; è il proprio della regola volere eliminare l'eccezione". E avevo anche un altro pensiero, rispetto alla bellezza (alla politica della bellezza, scriveva Hillmann): come si fa a parlarne in un luogo così brutto e deprimente come il contenitore in vetro e cemento armato, grigio, della Biblioteca Nazionale a Roma, e ancora peggio fuori, nel piazzale, con la vista altrettanto grigia di via Castro Pretorio? Tutto questo, per vari motivi, non compare nell'articolo che vi linko.

4/02/2007

Invito

Per chi abita a Roma (ma anche per chi è interessato a comprare il libro: mi riprometto di scriverne molto presto), segnalo la presentazione di Per non voltare pagina. Raccontare l'orrore di Anna D'Elia, appena uscito da Meltemi, con la partecipazione del sottoscritto e di Simonetta Lux, oltre all'autrice, al Museo-Laboratorio di Arte Contemporanea sito all'Università di Roma "la Sapienza", domani martedì 3 aprile alle ore 18,30 (qui il comunicato stampa dell'evento e ogni informazione).
E' un libro interessante. Capitoli: "Storie di ordinaria violenza", "Che c'entra il sesso con la guerra", "Sacrifici", "Ri-vedere la guerra", "Il lavoro del lutto", ecc. ecc. E' un saggio (narrativo) sull'educazione, e sull'educazione all'arte contemporanea. E' tante altre cose.