7/15/2012

Il mare nascosto


Su la Repubblica di oggi, pagine di Roma, per la serie "Vacanze d'autore", è uscito questo mio pezzo dedicato a Capalbio. Mantengo il titolo redazionale perché mi piace: "Il mare nascosto". La foto con cui lo illustro l'ho fatta al folle Giardino dei Tarocchi di Niki de Saint Phalle.

  
   Il bello di Capalbio è che, secondo i valori dominanti, ci si annoia: niente discoteche, niente struscio, niente ostentazione, solo spiagge selvatiche e (apparentemente) poco organizzate, qualche ristorante non dietetico sparso nella campagna un po’ western o nei diradati paesini, molto spazio vuoto e addirittura silenzio. Insomma, un luogo di vacanza controcorrente come i salmoni, o come leggere un libro, e a cui auguro con tutto il cuore di preservarsi. Com’è rilassante infatti stravaccarsi su queste spiagge silenziose, e ancora di più nell’entroterra, una campagna verde di pini e gialla di campi di grano, che si avvicina con filari di eucalipti alla linea del mare, cioè alle dune di macchia mediterranea...
   Il bello è anche che chi già non le conosce difficilmente le trova - le spiagge. La prima volta che capitai sulla costa maremmana tra Lazio e Toscana, a sud dell’Argentario, feci fatica non solo a raccapezzarmi (non trovavo l’accesso al mare), ma anche a capirne il valore d’uso, come cioè si facesse qui una vacanza. Vittima anch’io di uno sguardo turistico, non capivo che la sua bellezza fosse nascosta dalla sua evidenza: in questa campagna armoniosa con tutte le sfumature di verde e di giallo che si estendeva a perdita d’occhio sotto il cielo azzurro in morbide curve, e che ricorda certe copertine di dischi americani rock e blues anni ‘60 e ’70. Scarsa speculazione immobiliare (almeno fino a poco fa), pochi rurali e casali più o meno restaurati, e una serie di graziose e diradate case tutte uguali, presumibilmente di epoca fascista come la bonifica delle paludi, disposte lungo la stradina litoranea che costeggia la laguna, ora riserva del Wwf.
   Ma per una buffa nèmesi questo luogo della Maremma, forse la regione italiana meno spettacolare e consumistica, il cui paesaggio è rimasto intatto grazie, paradossalmente, al latifondo, è stato per anni mediatizzato e reso celebre dalle cronache e dai gossip più che dalla sua bellezza naturale. Se prima del 1988 quasi nessuno conosceva Capalbio, tranne vagamente la tradizione dei suoi butteri e dei suoi cavalli, quell’anno uscì su Venerdì di Repubblica un servizio fotografico (“Il bacio di Capalbio”) in cui il neo segretario del Partito comunista italiano, Achille Occhetto (colui che per scarsa spettacolarità perse contro il padrone delle televisioni), venne immortalato mentre tra gli alberi baciava con passione la sua compagna Aureliana Alberici. Da allora, il comune della Maremma (inopportunamente chiamato da Alberto Asor Rosa “piccola Atene”), venne identificato come covo vacanziero di quella sinistra romana detta “radical-chic”. Il caso (e la retorica) vuole che questa “sinistra” si concentri precisamente sotto gli ombrelloni dell’“Ultima spiaggia” (si chiama proprio così: nomen omen?), e in effetti sono tanti i volti noti e quelli da salutare se ci si attarda ai tavolini del suo bar. Per fortuna la politica, proprio come le news, è una meteora che si consuma in fretta. Oggi tutti quei riferimenti sembrano appartenere al passato. Perfino Berlusconi, figuriamoci i suoi concorrenti.
   L’oasi del Wwf si trova sulla Strada Provinciale del Chiarone, in direzione Capalbio Scalo (che è poi la stazione ferroviaria, il cui Bar Station è uno dei luoghi mondani della zona). E’ un paradiso di pesci e uccelli, sia rapaci che di palude, tra cui tre specie di falco, cormorani, fenicotteri, aironi, il Cavaliere d’Italia e l’avocetta - e di flora mediterranea (oltre 600 specie, più 60 specie di licheni). Punto d’incontro e di fusione biologica di terra e mare, questo tratto di costa e di orizzonte - le due strisce azzurre del mare e della laguna separate da quella verde delle dune - è di una bellezza incredibile e rasserenante. Dall’altra parte la campagna si alza dolcemente nelle colline rigate e punteggiate dagli ulivi e le vigne, come pagine scritte di un immenso libro aperto e ondulato. Come un segno di punteggiatura, il centro storico di Capalbio è arroccato là sopra: ci si va la sera, a mangiare o a prendere l’aperitivo al Frantoio - che è anche luogo di incontri e mostre d’arte. Ma la mondanità vera si svolge nelle case private.
   Ogni scusa è buona per percorrere, anche in bicicletta, quella campagna, sopra e sotto l’Aurelia che l’attraversa. E a metà strada tra le colline e il mare, e tra Capalbio e Pescia Fiorentina (un paese che non esiste, ma che dà il nome alla parte più bella della campagna, e dove in una corte rurale, una sorta di aia domestica, c’è uno dei ristoranti più amati, il mitico e semplice Tortello), in mezzo alla campagna è anche possibile un’immersione in una dolce e vera follia, annunciata da alcune misteriose chiazze rosse e blu che spuntano sopra il verde degli alberi. Parlo del Giardino dei Tarocchi, le imponenti coloratissime sculture di Niki de Saint Phalle, ispirate ai 22 Arcani Maggiori delle carte dei Tarocchi, che raggiungono anche i 15 metri di altezza.
   E’ un parco che si estende per circa due ettari, costituendo una specie di villaggio di sculture-case circondato da un muro di tufo. Alla realizzazione delle sculture, lavoro che si è protratto tra il 1979 e il 1996, parteciparono numerosi operai, artigiani e altri artisti contemporanei, tra cui il marito di Niki, Jean Tinguely. Dal 1998 è aperto al pubblico, e vale la pena andarci, e lasciarvisi andare come se si fosse sul set di un film di Tim Burton – basta vedere la gioia dei bambini che vi si trovano. Si sale tra le case sculture dalle forme elastiche e improbabili, ricoperte di ceramiche policrome, mosaici a specchio, vetri preziosi, si cammina portati da questa colorata meraviglia che ci riflette tutti, adulti e bambini, tra il cielo azzurro e il verde degli ulivi, finché vediamo il mare là in fondo. E verso Nord, sullo sfondo, incorniciata dal profilo della Luna dei tarocchi, scorgiamo per un attimo la torre cilindrica dell’ex centrale nucleare di Montalto di Castro, simile anch’essa a uno strano, inquietante minareto.