4/30/2009

Fino all'inizio del mondo (l'ultima fotografia di Luigi Ghirri)



(Questo testo, che continua nel mio sito, è la versione integrale (La Stampa lo ha parzialmente anticipato il 29 aprile) del mio scritto che accompagna in versione audio l'ultima fotografia di Luigi Ghirri nella bellissima esposizione nell'antica sinagoga di Reggio Emilia - nell'ambito del Festival della Fotografia Europea inaugurato il 30 aprile (e visibile fino al 7 giugno). Il testo appare anche nel catalogo Electa della rassegna, intitolato "eternità").

Il linguaggio comune di solito chiama profetico lo sguardo acuto di chi coglie in germe i segni presenti, il dono dell’attenzione che anticipa lo svolgersi futuro del mondo. Come vedere la fine dei luoghi, dell’appartenenza, forse dell’abitare, la liquidazione delle identità legate al territorio. Soprattutto la fine della capacità di vedere. La cecità è oggi un dato comune. Ma da quanto tempo? Che la gente non sapesse più vedere niente era già chiaro a Luigi quando usciva di casa e fotografava lì intorno, o faceva centinaia di chilometri in auto allo stesso scopo. Ed è tutt’altro che strano che nelle chiacchiere d’attualità si parli tanto di luoghi. La regola è che si parli di ciò che non c’è più, come il paesaggio. Luigi parlava di ciò che non c’è ancora.

All’epoca della sua profezia, ma si potrebbe dire della sua fantascienza, io vedevo in Luigi Ghirri, che accompagnavo a volte nei suoi viaggi terrestri, l’esempio più solido dell’appartenenza. Del resto non si paragonava con gli amici a una cipolla, talmente era legato alla terra? Viaggiava di continuo, ma si diceva pigro. Di fianco a lui mi sentivo sempre un viandante. E la definizione di viandante è la stessa dell’esperto di illusioni: provare nostalgia anche a casa. Io provavo nostalgia per il senso di appartenenza di Luigi.

Oggi queste differenze mi sembrano molto sfumate. E’ una delle sue “profezie” avere colto la fine del luogo come fine dell’esperienza del luogo. Avere visto la trasformazione del mondo in un’immensa ininterrotta periferia cosparsa di detriti. L’uso è condivisione. L’uso comune delle cose è ciò che ci separa dalla sfera del sacro, che è la separazione stessa, e che a suo modo è un altro uso. Oggi che del luogo non c’è più uso né condivisione, al limite solo abuso e complicità, e le nostre identità sono sparse in una miriade di non appartenenze, per un artista si tratta, come già in altre epoche, di rappresentare l’irrappresentabile. E mi accorgo che il fotografo concettuale Luigi Ghirri aveva già più volte inaugurato questa soglia.

L’autore di Atlante, di Still life, delle Nuvole, il visitatore incantato dell’atelier di Morandi e delle geometrie di Versailles, non nutriva nessuna illusione quanto al destino dell’appartenenza. Il cantore delle mappe del Mondo sapeva, come pochi altri artisti contemporanei, che oltre la sua cancellazione il mondo è un immenso territorio estetico da disegnare come una tela; che oltre l’oblio che lo ricopre esso chiama un nuovo guardare e un nuovo abitare; e che la periferia, come l'immaginazione, ha propri percorsi, verità e bellezze interstiziali. Quando alla fine degli anni ‘80 gli venne commissionato un lavoro di descrizione del territorio per Real World (progetto di Peter Gabriel di World Music), lavorava già sulla cancellazione del paesaggio -la trasformazione della realtà in un reality, slegata cioè da ogni dinamica naturale. Ma per Luigi, come per i veri maestri, non esiste materiale sterile. Non esiste nemmeno una non-natura...
continua nel sito (nella parte bassa della home page)...

4/26/2009

La poesia non è un gioco, è politica (acchiappafantasmi)

Qualche giorno fa ho partecipato alla presentazione di un piccolo, sorprendente libro: Non è un gioco. Appunti di viaggio sulla poesia in America Latina. Autore il poeta Carlo Bordini, editore Luca Sossella. Assieme a me una docente di letteratura ispanica, la colombiana Martha Canfield. E principalmente di Colombia (oltre che di Argentina ecc.) parla il libro - una raccolta di appunti, dispacci, cronache a partire dal Festival di Poesia di Medellin cui Bordini ha partecipato in rappresentanza dell’Italia. Il nocciolo della questione è questo: in quelle realtà periferiche dove la vita è feroce, dove la crisi finanziaria c’è già stata o è da sempre immanente; in quei Paesi devastati dalla shock economy, dove denaro e scambio economico sono finiti e falliti, si staglia nitido e coinvolgente lo scambio affettivo e caloroso di parole il cui ascolto coinvolge il corpo, e dove “ci si aggrappa a quello che resta di umano nell’umanità”. Il libro di Carlo Bordini ci mostra una realtà in cui poesia è la forma condivisa più alta di comunicazione, o meglio, la comunicazione per essere tale è poesia: che si ascolta alla radio o in raduni da concerto rock. Ai poeti si chiede inoltre (lo fanno anche soldati armati) di raccontare la loro esperienza, come se fossero testimoni e portatori di una comunicazione col sacro, appunto, cioè con la vita vera.
Non so se un visitatore straniero a metà degli anni Settanta in Italia, all’epoca dei reading di poesia sparsi dovunque (prima però di Castelporziano) avvertisse in piccolo qualcosa di simile: una condivisione comunitaria di parole libere e gratuite, un “poeticamente abitare” (Holderlin) agli antipodi dell’alienante regime pubblicitario che grava oggi sui nostri corpi e svilisce ogni parola. La poesia non è un gioco, ma in un programma politico (altri direbbero utopia) lo sarebbe.

(uscito su l'Unità di domenica 26 aprile)

4/21/2009

Agenda...

Periodo denso, andante mosso.
Sabato ero col mio amico artista Andrea Aquilanti presso l'Inart, Piazza di Spagna a Roma: artepensando, una chiacchierata a due. Qualcuno ne ha riportato qui, con qualche refuso (non allegoria, ma "allegria della mente")e qualche lieve imprecisione. Ma ringrazio.
Stamattina ho parlato al Teatro Argentina, primo autore della serie Un'estate da leggere (a cura di Paola Rotunno), di fronte a una platea di studenti liceali: incontro intenso, bello, mediato dal giornalista Paolo Conti. Subito dopo sono andato a registrare in Rai un mio testo, "Fino all'inizio del mondo", che accompagna l'installazione dell'ultima fotografia di Luigi Ghirri, che si inaugurerà il 30 aprile al Festival di Fotografia di Reggio Emilia. Resterò a Reggio fino al 3 maggio, giorno in cui faccio un reading in una piazza del centro.
Domani, però, sono sempre a Roma, dove si presenta il bel libro sulla poesia di Carlo Bordini, Non è un gioco, edito da Luca Sossella. Dopodomani aereo per Brindisi, poi Salento.
Giorni, spero, di vacanza, di campagna e di mare, e di paesi barocchi, e cene con gli amici. Interrotti già lunedì 27, per una conferenza che devo fare a Taranto per le scuole. Poi RE, appunto.
L'8 maggio a Udine (rassegna VicinoLontano), dove parlo a un convegno sulla testimonianza.
L'11 e 12 a Piacenza, al festival del Blues e della letteratura organizzato da Seba Pezzani, Dal Mississipi al Po. Il 13 a un seminario su "La Terra" alla Fondazione Baruchello a Roma, il 16 a Bookstock, Fiera del Libro di Torino, con Gianni Berengo Gardin... Se ne riparla.

4/18/2009

I giovani, i vecchi e il premio Strega (rubrica acchiappafantasmi)

Tra le non-notizie di questi giorni spiccano quelle intorno al premio Strega: Daniele Del Giudice, con grazia e ironica stanchezza, si è defilato dalle voci che lo volevano vincente (tutti gli anni, 6 mesi prima, ci sono voci sul vincitore dello Strega: puntualmente confermate dai fatti), dicendo che il fatto non sussiste: non ha nessuna intenzione di partecipare. Antonio Scurati si è invece autocandidato con baldanza, pur sapendo che devono farlo due giurati tra i 400 cosiddetti “amici della domenica”, di concerto con la sua casa editrice. Nessuno ignora che sia una gara tra editori: allo Strega si candidano libri, ma si fronteggiano apparati, cortigianerie, potenze relazionali. In palio il prestigio, e 200000 copie mediamente vendute.
Lo Strega è lo specchio del Paese. Se la parola d’ordine è che oggi in Italia c’è una gerontocrazia, quale esempio migliore di un premio tra i cui giurati (dice una vecchia battuta) votavano anche i morti? Ma la retorica sui giovani meriterebbe un’analisi più ampia: alibi di ogni crisi economica e della disoccupazione, anche in politica (soprattutto a sinistra) non si parla d’altro: basta coi vecchi. Ma dove comincia la vecchiaia, fino a quando si è giovani? Il criterio non è quello di proporre idee nuove, impensate visioni del mondo? Cosa dire dei “giovani” che vogliono essere al posto dei “vecchi” per fare le stesse identiche cose, però farle loro? (Mi viene in mente - sono abbastanza “vecchio” perché ciò accada - Pietro Maso, colui che per primo uccise i genitori per usare le loro carte di credito e abitare la loro casa). Così, alla frase di Scurati su Del Giudice (“l’ho ammirato da quando ero ragazzo”) ho avuto un sobbalzo. E’ diventato davvero così “vecchio”, Daniele? Ma il tempo è elastico in letteratura: ci sono scrittori oggi trentenni che non ammiro da quando ero ragazzo.

(pubblicato anche su l'Unità del 19 aprile 2009)

P.S. : segnalo su nazionendiana la candidatura serissima e ufficiale di Franz Krauspenhaar al Premio Strega, e le numerose adesioni. Assolutamente da leggere e guardare...

4/16/2009

Elenco disordinato e vero delle mie ultime letture (quasi una classifica)

Questo è probabilmente un post noioso. Non so se è per insonnia, o per influenza del dibattito seguito alla prima tornata delle classifiche Dedalus (i 100 lettori di cui faccio parte, visibile qui: http://dedalus.pordenonelegge.it/), ma ho stilato, a memoria, e quindi sicuramente con molti buchi e lacune (per esempio i libri da treno, ma anche molte riletture per lavoro), l’Elenco dei libri che ricordo con certezza di avere letto da gennaio (2009) a oggi (15 aprile). Narrativa, poesie, saggi sono mischiati. Ho tralasciato tutti i cataloghi (pure per me importanti: come Vides, mostra di Parigi, e Cy Twombly, mostra di Roma). Ho poi messo in neretto i libri che ho letto con particolare entusiasmo - magari per motivi diversi. Nessun cenno a quelli ancora inediti, e a quelli che pur avendoli cominciati li ho lasciati perdere; nessun cenno ovviamente neppure a quelli che ho a portata di mano ma non li ho ancora letti, o finiti. Leggere, per me, è già promuovere.

Ermanno Bencivenga, Il pensiero come stile, Bruno Mondadori
Stieg Larsson, La regina dei castelli di carta, Marsilio
Richard Yates, Revolutionary Road, minimum fax
Gian Carlo Fusco, A Roma con Bubù, Sellerio
Arthur C. Danto, La trasfigurazione del banale. Una filosofia dell’arte, Laterza

Ludwig Wittgenstein, Ricerche filosofiche (e altri libri di W.), Einaudi (riletture)
Jacques Derrida, Limited Inc., Raffaello Cortina (rilettura)
Roland Barthes, Oeuvres complètes, Tome 3, 1974-1980, Seuil (rilettura)
Arnaldur Indridason, Un corpo nel lago, Marsilio

Wu Ming, New italian epic, Einaudi
Fred Vargas, Un lieu incertain, (Un luogo incerto), Vivian Hamy, tr. it. Einaudi
Giorgio Agamben, Nudità, nottetempo
Lidia Colleoni, L’assedio del male, Baldin Castoldi Dalai
Fred Vargas, Petit traité de toutes vérités sur l’existence, V. Hamy
Michèle Lesbre, Il canapè rosso, Sellerio
Michel Foucault, Le courage de la vérité (cours 1984), Gallimard-Seuil
Adriano Sofri, La notte che Pinelli, Sellerio
Tommaso Ariemma, L’estensione dell’anima, ombre corte
A. Dal Lago-S. Giordano, Fuori cornice. L’arte oltre l’arte, Einaudi
Roberto Roversi, Tre poesie e alcune prose, Luca Sossella
Anna Negri, Con un piede impigliato nella storia, Feltrinelli

G. De Cataldo-M. Rafele, La forma della paura, Einaudi
Luigi Trucillo, Darwin, quodlibet
Jacqueline Risset, Le potenze del sonno, nottetempo
Ugo Riccarelli, Comallamore, Mondadori
Sandra Petrignani, Dolorose considerazioni del cuore, nottetempo
Vito Bruno, Il ragazzo che credeva in Dio, Fazi
Valerio Magrelli, La vicevita, Laterza
Blue Angy, Come fare del bene agli uomni. Vita e consigli di una puttana perfetta, Einaudi
Andrew Pyper, Il ladro di sogni, Piemme
Olen Steinhauer, Il turista, Giano (in uscita)


del mese di dicembre 2008 ricordo soprattutto:
Silvana la Spina, La bambina pericolosa, Mondadori
Giorgio Messori, Storie invisibili, Diabasis (lettura ripetuta)

Lidia Riviello, Neon 80, Zona
Alessandra Sarchi, Segni sottili e clandestini, Diabasis
Christian De Sica, Figlio di papà, Mondadori
Marc Lazar, L’Italia sul filo del rasoio. La democrazia nel paese di Berlusconi, Rizzoli

4/11/2009

Moti (rubrica acchiappafantasmi)

Ascolto una canzone corale tradizionale che mi commuove, J’Abruzzo di Carlo Perrone: “So’ sajitu aju Gran Sassu / so’ remastu ammutulitu / me parea che passu, passu / se sajesse a j’infinitu...” E’ una delle tante testimonianze, insieme agli appelli, arrivate via Internet dagli amici abruzzesi. E’ naturale che mi evochi il poeta dell’Infinito e del “sedendo e mirando”, il marchigiano Giacomo Leopardi. Ma ci sono altre ragioni.
L’ultima volta parlavo qui del fantasma dell’immunità assoluta, quella dalla morte, riattualizzato dal nostro primo ministro a riprova di quanto arcaica sia la vanità odierna del potere. Subito dopo uno di quei moti della Terra capaci di sbriciolare, oltre le case, “il secol superbo e sciocco”, ha istillato forse anche al “corpo del capo” un po’ di pietas e di umiltà (humus, terra). Oltre ai moti della terra (della Terra), ai moti della società (quando il sopruso e l’ingiustizia sono intollerabili), ci sono i naturali moti dell’animo e del cuore. A ciascuno i propri moti (o emozioni). Difficile non leggere, nel primo pensiero del primo ministro - le new town – l’istinto della speculazione edilizia. Ma passi: prendiamo per buona la sua commozione ai funerali. La Ginestra, si sa, parla della presunzione umana, della vanità dell’egoismo, di quella che un secolo dopo si sarebbe chiamata alienazione. Basta un niente, scriveva Leopardi contemplando il Vesuvio e Pompei, per far sparire i sogni di grandezza e di elezione. Nella tragedia dell’Abruzzo, assieme al dolore, abbiamo visto una non esibità solidarietà dal basso, una bontà comunitaria e condivisa, quella “social catena” di cui ancora parlava La Ginestra con accenti che anticipano di vent’anni la dirompente prosa del Manifesto del Partito comunista (1848) di Marx. Rileggete quella poesia: c’è tutto, anche il programma etico e politico di un partito.

(in uscita su l'Unità, domenica 12 aprile 2009)

4/06/2009

Il prefetto che non ama gli scrittori (un articolo di Riccardo De Gennaro)

Per gentile concessione dell'autore, Riccardo De Gennaro, scrittore e giornalista.
Il prefetto che non ama gli scrittori

È probabile che il prefetto di Parma, Paolo Scarpis, non ami gli scrittori. Forse non legge, forse ha un romanzo nel cassetto che nessuno gli pubblica, forse è uno di quelli che quando sente la parola cultura mette mano alla pistola. Sta di fatto che ogni qualvolta uno scrittore si permette di esprimere un’opinione sulla “sua” città Scarpis lo bacchetta immediatamente sulle colonne compiaciute di questo o quell’altro giornale locale. L’ha fatto nei giorni scorsi con Roberto Saviano, reo di aver ricordato in tv che l’economia parmense ha conosciuto e conosce infiltrazioni camorristiche, l’aveva fatto, nell’ottobre 2008, con Beppe Sebaste, che in un reportage su Parma, pubblicato da “Il Venerdì di Repubblica”, ricordava l’esistenza di un certo sottobosco cittadino, confortato peraltro – nei suoi giudizi – da un terzo scrittore, Carlo Lucarelli.
Aver definito “sparate” le dichiarazioni dell’autore di Gomorra è particolarmente singolare: non solo per la scelta del sostantivo, che andrebbe utilizzato con più cautela nel caso di una persona minacciata dalla camorra e sotto scorta, ma anche perché Saviano si limitava a riportare i risultati di un’indagine di un magistrato, Raffaele Cantone, sul boss Pasquale Zagaria. Perché quando Cantone, un mese fa, intervistato da Stefania Parmeggiani di Repubblica, ha spiegato i motivi che hanno spinto i casalesi a scegliere Parma come terreno fertile per i loro affari, il prefetto non ha replicato a mezzo stampa? Forse gli scrittori, che in Italia contano poco o nulla, sono bersagli più facili? Certamente sì. L’ha riconosciuto lo stesso Saviano, che non nasconde i propri timori di delegittimazione e isolamento. “Sono ‘sparate' di una persona che sta a 800 chilometri di distanza”, ha detto Scarpis, che è forse più informato di altri su dove si trovi esattamente Saviano.
Nei confronti di Sebaste, da lui mai citato, il prefetto aveva osservato: “Ho letto l’articolo, si tratta di argomenti triti e affrontati con spirito molto fazioso da parte di qualcuno che, a quanto ne so, è un parmigiano pieno di livore nei confronti della sua città e non capisco il perché, avrà i suoi motivi”. Ci si chiede che cosa volesse insinuare. Nel suo pezzo Sebaste, accusato di faziosità, si rifaceva soprattutto alle cronache e ricordava, in particolare, il fallimento Parmalat, lo scandalo della Guru di Matteo Cambi, fatti di nera, i cantieri aperti. Toccava poi il tema della “tolleranza zero” e, naturalmente, richiamava il caso del ragazzo di colore pestato a sangue dai vigili urbani. Quanto alla camorra, Sebaste riferiva un commento di Lucarelli: “Parma è bellissima, ma deve riconoscere i suoi problemi: come altre città ricche del Nord è permeabile ai capitali della mafia. L’unico vero antidoto è la cultura, la socialità, la sua tradizione”. Significa essere faziosi? Forse essere faziosi, viceversa, è proprio non riconoscere quei problemi. Non c’è nulla di male nel farlo, non è ledere il prestigio della città. È difenderlo, semmai. Anche perché quei problemi esistono, come fa spesso notare Saviano, anche in molti altri capoluoghi del Nord. Lo diceva lo stesso Cantone nell’intervista sopra citata: “La storia di Parma è paradigmatica, perché disegna uno scenario che è applicabile ovunque, esportabile in qualunque città abbia grandi ricchezze e scarsa attenzione ai fenomeni malavitosi”. È una fortuna, evidentemente non accettata da Scarpis, che gli scrittori oggi scrivano anche di queste cose.
Riccardo De Gennaro

(Nota: su la Repubblica.it, pagine di Parma, si era sviluppato un ampio dibattito tra i lettori e cittadini indignati: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2009/03/28/sulla-camorra-parma-saviano-fa-solo-sparate.html ; il mio pezzo su Parma per Venerdì dell'ottobre scorso è leggibile qui nel blog: http://beppesebaste.blogspot.com/2008/10/giallo-parma-e-cielo-azzurro.html

4/05/2009

Il corpo del capo (e quello dei puttanieri) (rubrica acchiappafantasmi)

“Dove c’è un lavoratore, un disoccupato, un povero non può non esserci un progressista”, ha dichiarato Dario Fanceschini. Ottima formula (a parte la vetustà della parola ‘progressista’) per definire una sensibilità di sinistra. Nell’appiattimento cinico di questi anni sono andato anch’io in cerca di nuovi contrassegni per dire “destra” e “sinistra”. Per esempio è destra l’ottocentesco “darwinismo sociale”, teoria della selezione delle specie che ancora oggi pretende di giustificare, come se fossero naturali, le ingiustizie sociali, versione patinata della legge del più forte. Ma la cancellazione del pensiero incalza così forte che ho ridotto la questione all’osso: è di destra chi pensa di non morire, di sinistra chi non se lo nasconde. Parlo naturalmente del narcisismo estremo del Potere, il neofascismo italiano intinto di belletti, sorrisi&canzoni, culto di sé. “Sono sempre gli altri che muoiono”, fece scrivere Marcel Duchamp sulla propria lapide. Berlusconi ha preso questa battuta alla lettera. Un ottimo libro su questo feticcio italiano, Il corpo del capo (Guanda) di Marco Belpoliti, ne analizza con coraggio e talento l’importanza antropologica. L’ultimo capitolo è dedicato al fantasma della morte, alla “immunità” (contrario di comunità) che lo caratterizza. L’ossessione – ridicola, patetica – di essere immortale. E’ questo il segreto del suo successo? E’ noto il nesso profondo tra il sesso e la morte. Il libro appena uscito di Blue Angy, Come fare del bene agli uomini (Einaudi Stile Libero), è la storia di una moderna cortigiana (una prostituta di lusso) alle prese coi desideri dei clienti, a loro volta ricchi cortigiani. “Sono sempre gli altri che vanno a puttane”, pensano i clienti di Blue Angy. Convinti, pur pagandola, che lei faccia l’amore con loro perché belli, seducenti, immortali. Come “il corpo del capo”.
(uscito su l'Unità, domenica 5 aprile)