Segnalato da vari media, e nell'ambito di RomaPoesia, dovevo partecipare ieri pomeriggio a questo evento, "Viaggio in tempo reale", organizzato da Carla Subrizi e Achille Bonito Oliva con la Fondazione Baruchello. Insomma, due/tre pullman che partono dal Colosseo carichi di poeti, artisti e gente strana - io dovevo addirittura guidarne con la voce uno, almeno per un tratto, e al microfono lanciare fuori parole, parole in movimento ovviamente, di modo che chi sente le prime non sente le seconde e così via, a meno di non essere sul pullmann o di corrergli dietro...
Dire è fare (dicono i linguisti; ma prima di loro, sicuramente, i poeti) e anche se non ci sono andato è come se ci fosse andato. Io immagino. Ed essendo Internet qualcosa di più complesso di un intrico di autostrade di Los Angeles, o di una città, e un blog qualcosa di più donchisciottesco di un pullman di poeti, posso benissimo - ho pensato - dire qui quello che in movimento avrei detto dal pullman. La mia idea era di leggere brani di un antico sutra, il Satipatthana Sutta. A dire il vero, per semplicità avrei detto (e qui lo posto) un montaggio abbreviato, che dà l'idea della infinita ripetizione, con poche varianti, di questo Sutra, così come l'avevo pubblicato a intervellare dei racconti nel mio vecchio feltrinelliano Niente di tutto questo mi appartiene (pagg.103-4). Avessi potuto orientare le tappe dell'evento, avrei scelto alcuni cimiteri della città, primo dei quali il cimitero acattolico del Testaccio, detto anche cimitero dei poeti. Spero che questo testo, un esercizio zen, una meditazione sulla vita, cioè sulla morte, non vi stupisca né vi turbi troppo. Io lo trovo sublime. [E naturalmente, sempre in tema, segnalo il mio pezzo uscito oggi su l'Unità, leggibile già nel sito, sui fantasmi, l'after life, il cinema, la letteratura e brani di una conversazione con Enrico Ghezzi. Si parla anche dell'immortalità dei corpi, e dell'arte contemporanea]
(...) Inoltre il praticante paragona il proprio corpo a un cadavere che immagina di vedere abbandonato in un cimitero, da uno a due giorni, gonfio e illividito, in putrefazione, e osserva: "Il mio corpo ha la stessa natura, subirà la stessa fine, non può evitarlo in nessun modo".
Inoltre il praticante paragona il proprio corpo a un cadavere che immagina di vedere abbandonato in un cimitero, beccato dai corvi, dilaniato dai falchi, avvoltoi, sciacalli, infestato di larve e vermi (...) e osserva: [...]
Inoltre il praticante paragona il proprio corpo a un cadavere che immagina di vedere abbandonato in un cimitero, è uno scheletro con residue macchie di sangue, ma senza più carne, le ossa tenute ancora insieme dai legamenti [...]
Inoltre il praticante paragona il proprio corpo a un cadavere che immagina di vedere abbandonato in un cimitero, tutto ciò che è rimasto è un cumulo di ossa sbiancate, color conchiglia [...]
Inoltre il praticante paragona il proprio corpo a un cadavere che immagina di vedere abbandonato in un cimitero, è passato molto più di un anno, tutto ciò che è rimasto è la polvere delle ossa sbriciolate, e osserva: "Il mio corpo ha la stessa natura, subirà la stessa fine, non può evitarlo in nessun modo".
Così il praticante si radica nell'osservazione del corpo nel corpo, dall'interno e dall'esterno del corpo, o da entrambi l'interno e l'esterno del corpo. Si radica nell'osservazione del processo di originazione e del processo di dissoluzione nel corpo, o in entrambi i processi di originazione e dissoluzione. E' consapevole del fatto: "Qui c'è un corpo", fino al raggiungimento della comprensione e della piena consapevolezza. Egli mantiene l'osservazione, libero, non intrappolato in nessuna considerazione mondana. Così si pratica l'osservazione del corpo nel corpo.
[Dedico questo evento di parola, ripetibile in qualsiasi luogo, agli organizzatori di "Viaggio in tempo reale", e a tutti i passanti (in ogni senso della parola) delle strade di Roma di ieri pomeriggio, domenica 30 settembre, cui era destinato. Da alternare, forse, con brani delle pagg. 171-2 di H.P. L'ultimo autista di lady Diana, là dove si descrivono i corpi viventi, pazienti e umili delle persone che aspettano l'autobus al mattino presto a Roma, e il narratore che arriva dall'aeroporto li vede da finestrini e piange senza capire perché].
17 commenti:
Grazie intanto dell'incredibile testo.
Grazie a Thich Nhat Hanh, che lo ha ritradotto.
i corpi hanno bisogno di parole, hanno fame di parole, anche se non lo sanno, anche quando non lo sanno.
i poeti, per fortuna, lo sanno.
brioche
Ecco perché mi piace venirti a trovare: è sempre interessante, ma alcune volte è commovente.Ci credi che fra i miei preferiti, ho un paio di video di Thich Nhat Hanh? Dimmi tu se le strade e i poeti e i blog e il mondo, la vita, le idee, i pensieri...non son cose strane..
da anni pratico lo yoga kundalini, e la posizione "cadavere" è tra quelle che sempre mi hanno lasciato dentro maggiori risonanze: la pesantezza immane del corpo, la cui esperienza, una volta finita, è capace di rilanciarci, leggeri come piume. E, coincidenza, in "H.P.", tra gli echi più immediatamente risonanti, quelle comparse (figure di artisti in via di estinzione) tra Piramide e San Paolo. Risonanza per risonanza, il tuo tour sarebbe sato (ed è lo stesso) un viaggio negli abissi del vero.
Non avrei voluto aggiungere nulla a quello che seguirà.
Dico solo che intuirete perchè ho riproposto la poesia in fondo: ciò che spesso ci appare convenzionale è in realtà, dopo inedite letture e di fronte a nuovi eventi, nuovi 'accadimenti', del tutto nuovo e come se 'non fosse mai accaduto'. In questo caso posso sinceramente dire che è proprio: "come se questo, non lo avessi mai letto prima".
Ma allora che cosa ho creduto di leggere e di sapere in precedenza?
Di quella conoscenza e di quell'IO rimarrebbe solo il fantasma, ciò che ero e non sono più. Oppure è vero il contrario: io sono già morto, e di me è rimasto solo un 'fantasma' pensante e ragionevole. Allora è un lento morire il 'sapere'? Di conseguenza dovrei chiedermi se a me piace morire lentamente. In tutto ciò non si parla ancora di corpi e carogne. Perchè?
In principio ero partito con le migliori intenzioni: quelle di ringraziare Beppe Sebaste, il cui testo, mi ha fatto riconoscere la verità delle teorie sull'arte moderna e contemporanea di Maurice Merleau Ponty, (che lo stesso Sebaste mi ha fatto conoscere) che non appaiono per nulla superate, ma sempre chiare, limpide, entusiasmanti e che continuo a scoprire e a riscoprire di giorno in giorno, anche dopo aver letto testi zen.
Ma tutto ciò ha il suo tormento: l'esercizio quotidiano di distinguere le persone dai fantasmi, come si fa con i fatti reali e quelli immaginari. Mi spaventa soprattutto che questo 'ragionare' possa divenire col passare degli anni sempre più pesante, fino al sopraggiungere della malattia. Chiaramente è più difficile distinguere persone da fantasmi, mentre è semplice riconoscere la differenza tra persone e corpi in decomposizione.
Per questo si spiega perchè continuo a leggere Merleau Ponty, anche se ‘ho finito di studiare'. Non dovrei come si suol dire, velocemente vivere, anziché lentamente morire? Io combatto contro i fantasmi.
"Tutti gli uomini sono eroi, nei sogni." (Freud)
Sogni, fantasmi. Beppe Sebaste e l'Accademia di Belle Arti. Riprendere in mano i vecchi libri. Rivedere le persone che 'non vedo da tanto tempo'. Passare in certi posti di Roma. Ho paura di vedere vecchie foto. Foto di mia madre. Ritagli di giornale sulla Galleria, che ho chiuso. L’Automobile della mia ex, modello molto circolante. Stanze. Case. Strade che ho percorso per Lei e per le Altre. Il telefono. Le rubriche telefoniche con i loro nomi e numeri che non so più di chi sono. Giornali sui quali aveva scritto A. I suoi ex colleghi. Amici e amiche comuni.
Tutto ciò mi frena, da più di un anno. E si capisce come tutto ciò non abbia senso.
Per esorcizzare il maligno, durante le supplenze svolte al Liceo, sottoposi alla classe terza la richiesta di 'fare un disegno' in seguito alla lettura di tale osservazione: “999. Il fenomeno dell’aspetto è forse il più strano del ricordarmi una determinata persona reale di cui ho un’immagine mnestica? Anzi, c’è addirittura una certa somiglianza fra le due cose. Infatti anche qui ci si chiede: come è possibile che abbia di Lui (o Lei, ndr) un’immagine mentale, e non vi sia alcun dubbio che si tratti della sua immagine?” (Wittgestein, Ludwig, Osservazioni sulla filosofia della psicologia, Adelphi, 2003.)
Il risultato fu notevole: la studentessa B.L. di 17 anni, prese la fototessera del suo ex e, sbarrandola come si fa col divieto di sosta, vi pose affianco, indicata da una freccia, la fototessera del nuovo 'amore'. E questo ci ha fatto un pò paura, sia a me che a lei.
I Santi, dicono che appena si ha una immagine del male, bisogna immediatamente levarsela dalla testa. Come chi ascolta voci maligne, e non sa come allontanarle, dovrebbe assolutamente pensare a ad altro. Così come i divieti di sosta sulle facce degli ex.
Un tempo dei libri non avevo paura. Oggi è un altro il mio problema. A me fanno paura i fantasmi, oppure fanno paura i vivi, quelle vie di mezzo di cui nutro un momentaneo disprezzo. Per la loro coerenza, le carogne nutrono tutto il mio rispetto.
Io rievoco in continuazione un passato mitico che non tornerà più e non solo. In verità io ho dei sentimenti che conservano, come dice un poeta:
“[…] la forma e l'essenza divina di tutti i miei decomposti amori” che vorrei fossero qui in questo momento, ma senza voler fare nulla.
Spero sempre nel miracolo che ciò avvenga, continuando a confondere realtà e fantasia.
Se solo fossi più furbo, offrirei le mie sofferenze al Signore, cercando di vendere l'indolenza per disgrazia.
Ma non so se nella sua enorme giustizia, il Signore avrà pietà di tanta codardia. Se così non fosse, mi affiderò alla sua bontà che dicono sia ‘infinita’, ma con alcune cautele:
non bisogna farsi ingannare dal fatto che non sembri essere più il corpo - sia esso sano o in decomposizione – a giudicare, ma lo spirito, in veste divina.
Inoltre non è solo la sofferenza dell’anima che si sottopone a questo giudizio: sebbene sia difficile dividere le persone dai fantasmi, cioè i corpi dallo spirito, la carne dalla vita, noi non conosciamo anime, né spiriti né fantasmi se non come espressione di fatti avvenuti nella nostra vita, che tornano a vivere o come aspirazioni di quello che sarà.
I recenti fatti di cronaca che descrivono i più efferati delitti e le più infami aggressioni, come avvenute all’interno del nucleo familiare, testimoniano la presenza concreta di persecutori, che diverranno ‘fantasmi’. Ma anche gli innamoramenti avvenuti nell’adolescenza, in spazi e luoghi diversi possono sembrare qualcosa o qualcuno, contro i quali o per i quali combattere, scagliarsi, o vivere, confondendo cose, persone, e situazioni a distanza di tempo.
In conclusione non è affatto sicuro, che i fantasmi come gli spiriti siano eterei e privi di sostanza: è molto più probabile, invece come affermerebbe Merleau Ponty che anche i fantasmi come le cose, "trasudino sangue" e che siano fatti di carne, come appunto le carogne o i corpi in decomposizione.
Ringrazio Beppe Sebaste,
per lo spazio concessomi e
lo saluto cordialmente,
D. T.
***
UNA CAROGNA
Ricordi tu l’oggetto, anima mia, che vedemmo quel mattino d’estate così dolce? Alla svolta d’un sentiero un’infame carogna sopra un letto di sassi,
le gambe all'aria, come una femmina impudica, bruciando e sudando i suoi veleni, spalancava, con noncuranza e cinismo, il suo ventre pieno d'esalazioni.
Il sole dardeggiava su quel marciume come volendolo cuocere interamente, rendendo centuplicato alla Natura quanto essa aveva insieme mischiato;
e il cielo contemplava la carcassa superba sbocciare come un fiore. Il puzzo era tale che tu fosti per venir meno sull'erba.
Le mosche ronzavano sul ventre putrido donde uscivano neri battaglioni di larve colanti come un liquame denso lungo gli stracci della carne.
Tutto discendeva e risaliva come un' onda, o si slanciava brulicando: si sarebbe detto che il corpo gonfio d'un vuoto soffio, vivesse moltiplicandosi.
E tutto esalava una strana musica, simile all'acqua corrente o al vento, o al grano che il vagliatore con ritmico movimento agita e volge nel vaglio.
Le forme si cancellavano riducendosi a puro sogno: schizzo, lento a compiersi, sulla tela (dimenticata) che l'artista condurrà a termine a memoria.
Dietro le rocce una cagna inquieta ci guardava con occhio offeso, spiando il momento in cui riprendere allo scheletro il brano abbandonato.
- Eppure tu sarai simile a quell'immondizia, a quell'orribile peste, stella degli occhi miei, sole della mia natura, mia passione, mio angelo!
Sì, tu, regina delle grazie, sarai tale dopo l'estremo sacramento, allora che, sotto l'erba e i fiori grassi, andrai a marcire fra le ossa.
Allora, o bella, dillo, ai vermi che ti mangeranno di baci, che io ho conservato la forma e l'essenza divina di tutti i miei decomposti amori.
***
Tratto da: Charles Baudelaire, I fiori del male, con traduzione di A.B., Garzanti, 1992.
ringrazio lisa, rossana, tutti, e davide t. a quest'ultimo (che fino a un certo punto sembra kafka spiegato ai bambini (nel miglior senso), cioè kafka spiegato a tutti), chiedo: ma non è un po' troppo lungo? non si può tagliare, come faccio sempre io, per esempio (quando scrivo)?
un saluto, beppe s.
Scarnificare il pensiero. Arrivare a una considerazione di sé, senza l’io di mezzo. Ingombrante. Sempre troppo ingombrante. Com’è che diceva Gadda? Il più squallido dei pronomi. O qualcosa del genere. Togliere l’inutile io. Difficile, ma credo sia l’unica via possibile per raggiungere un po’ di equilibrio con sé e provare a conoscersi. E sapere che si sta espirando se si espira, inspirando se si inspira. Riconoscerlo senza maschere. Né proiezioni, ché sono pure peggio delle maschere e ci portano a essere inutili frammenti di pensieri “altri”.
Bel post. Mi piace il rimando ai fantasmi [presenze di assenze] che, di primo acchito, sembra contrastare con il senso di corpo=corpo. In realtà, in quell’osservazione dei fantasmi, scorgo la sottile differenza che spesso sfugge fra il riflettere e il rimuginare. Non credi?
Da ragazzina, mi nutrivo di fantasmi. Non dovevo cercarli se non nelle grotte che pullulavano di leggende: latitanti e briganti vi marcivano, lontani dalla realtà eppure ad essa così legati da farne miti popolari e da nutrire faide che ancora oggi sparpagliano sangue. Forse non c’entra. Forse sì, ché, in fondo, l’arte si nutre di miti e mitizza a sua volta creando fantasmi. Non so. Divago.
Ti saluto Beppe, e ti ringrazio per l’invito e per avermi mandato il tuo bellissimo racconto “In viaggio verso Bologna sulla strada di Damasco” che ho pubblicato sul terzo numero di Randagi.
Forse sto approfittando dell’ospitalità, ma ormai che ci sono aggiungo una mia profonda convinzione: il rapporto vita/morte deve essere disoccidentalizzato.
Penso che solo la consapevolezza di ogni nostro istante di vita possa esorcizzare la paura della morte. Da bambina, mentre stavo al “feudo” da sola, ho maturato la convinzione che solo una persona in grado di morire adesso è una persona. È un po’ criptico, lo so, ma ho già scritto troppo e lascio a voi l’interpretazione.
grazie assunta. secondo me è chiarisimo.
ma vorrei ancora ringraziare davide t., per quello che ha scritto (il nesso con l'arte e la filosofia è importante) e per la poesia di baudelaire. che importa se hai scritto troppo?
Grazie, lo stavo rileggendo e tagliando...alla prossima farò più attenzione. Ho capito quello che intendi dire. Sto leggendo molte altre cose, adesso. Prima o poi emergeranno, se il caso lo chiederà, cioè verranno 'postate'. (grazie al tuo blog)
ciao, Davide
io fotografo le fantasme, la parola che odio di più in assoluto? "fantasmini" che poi la gente intende dei calzini piccolissimi. Saluti da Laura Palmer ovviamente
grazie per il sutra, un testo che dovremmo pronunciare ogni giorno come un rosario che curi l'illusione di onnipotenza della nostra civiltà, quindi nostra illusione. negli ultimi cinque giorni ho visto, idealmente e realmente, 700 tombe etrusche, alcune delle quali con affreschi stupefacenti, forme e colori al di là (sic) del moderno, e non mi sono mai sentita così bene come dentro quelle tombe. una pace (sic) come quella che mi abbracciava quando sedevo sulle panchine del cimitero acattolico di roma mentre mio figlio giocava con i gatti vicino alle tombe. la morte è fatta della nostra materia, che importanza ha l'essere vivi o fantasmi? meglio mettersi l'anima in pace.
Caro Beppe, è una domenica di ottobre (dell'anno 2007). Stamattina siamo andati a vedere la mostra di Rothko (fantasma anche lui, di chissà quale disperazione spirituale), poi siamo andati a pranzo (con Stefania, Marco e Martino) in un ristorante dalle parti di via dei Serpenti. Mentre mangiavamo spaghetti al rosmarino, abbiamo litigato per via della politica (sognatore-fantasma tu, riformista-fantasma io). Poi abbiamo fatto pace, e abbiamo fumato tantissime sigarette, parlando di arte, di libri, dei nostri malanni un po' inventati (dei tuoi infarti-fantasma, dei miei tumori-fantasmi). Infine ci siamo seduti per un'oretta su una panchina di Trastevere, e abbiamo parlato delle panchine, dei fantasmi, del periodo che stiamo vivendo (pieno di fantasmi: anche di fantasmi belli). Infine, a casa di Stefania, ho letto alcune pagine di H.P. e ho letto la bella paginata che hai fatto su Repubblica. E dopo abbiamo ancora fumato, e abbiamo bevuto un buon caffé che hai fatto tu. Infine è venuta la notte. E io ho attraversato con la macchina i fantasmi delle strade di Roma, e sono felice di essere tuo amico, di vederti arrossire quando ti arrabbi, di chiamare i miei amici medici per farti fare l'elettrocardiogramma. Ti voglio bene, grande scrittore.
necessita di verificare:)
leggere l'intero blog, pretty good
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