2/14/2008

Minimondi (per un'educazione estetica)

A Parma si apre domani, venerdì 15, una manifestazione particolarmente ricca e simpatica, Minimondi, che è un festival per i ragazzi, quindi per tutti. Quest'anno in particolare intitolato all'arte (ovvero all'educazione estetica, così traduco), con l'apertura di una grande mostra retrospettiva di Bruno Munari, e vari laboratori, tra cui uno di Katsumi Komagata. Ma nel programma linkato trovate tutto. Trovate anche un settore che curo di persona, teen art, incontri - ogni venerdì dal 15 febbraio al 7 marzo - con artisti, scrittori e scienziati, rivolti in prima istanza a studenti adolescenti (non finirò mai di elogiarne la disponibilità e l'intelligenza - almeno dell'avanguardia di essi che avevo incontrato in questi mesi), dove si alterneranno persone che stimo come Wu Ming 1 (stima che si estende a tutto il gruppo degli omonimi anonimi), Gea Casolaro, Simona Vinci, Botto&Bruno, Brian Selznick, Marco Petrella, Vittorio Gallese e altri.
In una cartella stampa della manifestazione si trovano a mio nome, tra le frasi di circostanza, anche queste, che rievocano il mio incontro con Bruno Munari, nome tutelare di questa edizione di Minimondi: "...il piacere e l’emozione di trovarmi nel suo studio, ormai una dozzina d’anni fa, per un incontro-dialogo che riversai nel mio libro sui maestri, Porta senza porta, uscito nel 1997 e nel frattempo esaurito. Mi sembrava di trovarmi nel laboratorio di un mago felice, e Munari stesso mi sembrava a metà tra Archimede Pitagorico e un maestro Zen. Tra esempi di arte e creatività tratta da pressoché ogni cosa immaginabile, e ogni materiale (perché per i veri maestri non esiste materiale sterile, e lui lo mostrava continuamente), la conversazione che si protrasse per un intero pomeriggio di gennaio fu un’esperienza indimenticabile. Esperienza è del resto la parola giusta per dire il suo insegnamento: formatore di autodidatti, inventore e trasmettitore di processi mentali, nel suo passarmi giocoso oggetti – dal tetraedro del cartoccio del latte a una foglia di fico d’India di cui mi mostrava la nervatura, dal disegno dell’albero all’ideogramma giapponese di albero, e così via, Munari mi presentava la sua sostanziale equivalenza con quanto di più avanzato, nel campo delle scienze umane, è stato prodotto negli ultimi decenni: la teoria del deutero-apprendimento, ovvero dell’imparare a imparare, introdotta dal grande filosofo e biologo Gregory Bateson, fondatore e autore della "ecologia della mente". Solo che Munari non ha mai avuto nulla di libresco, né di saccente. Era un osservatore della natura (come Galileo Galilei), da cui traeva e trasmetteva meraviglia (proprio come Galileo Galilei); e trasmetteva come artista una didattica delle forme tratta da questa osservazione-imitazione della natura: imitazione, si badi, non delle forme finite, ma della struttura che le determina, della naturalezza della creazione, delle cose prodotte dalla natura. Anche la natura, in effetti, ha il suo bell’imparare a imparare, che si chiama evoluzione. E forse proprio dalla natura Munari ha imparato anche ad allontanarsi come pochi dal narcisismo intrinseco, forse fisiologico, all’essere artista. Pensate la rarità di un grandissimo artista che non si identificava nella produzione di valore e plus-valore (estetico, economico) delle proprie opere, ma considerava opera la trasmissione stessa del fare arte. Che cioè faceva delle proprie opere d’arte una didattica dell’arte...".
Ci sono abbastanza motivi, credo, per far capire il taglio di questi incontri del venerdì, che debuttano domani 15 febbraio con Wu Ming 1: arte e/o educazione estetica (contro ogni tipo di anestesia e anestetizzazione) intese come salvaguardia della ricchezza narrativa, artistica, estetica, sensoriale, insomma umana, e quindi anche urbanistica e paesaggistica, della nostra vita presente, e della nostra memoria. Arte e narratività non tanto e non solo di cui fruire, ma da abitare.

1 commento:

Anonimo ha detto...

good start