2/12/2008
Identità, stato in luogo, ecc. (ancora su Israele e poi basta)
Linko qui un articolo che parla anche di Israele, in realtà un breve intervento in forma di lettera, che uscì su l'Unità in aprile 2002. Rileggerlo mi rende evidente l'ingenuità che affiora qui e là, soprattutto alla luce degli accanimenti di questi ultimi anni, da ogni parte. E' un intervento in cui provavo forse a essere didattico, col rischio di risultare stucchevole. Oggi sono più pessimista, eppure la sostanza non cambia. Il dibattito on line, anche su questo blog (con alcuni commenti che mi sono piaciuti molto, che ammiro anche quando si allontanano dai miei orizzonti o dalle mie pulsioni), o su nazioneindiana a seguito dell'intervento di Gianni Biondillo, su lipperatura e altrove, mi sembra confermi alcuni punti: la costante dell'antisemitismo, anche nella forma politicamente "accettabile" dell'antisionismo, si compone di alcune parole d'ordine e operative, come l'idea ricorrente del "complotto" (ebraico), la vivisezione di ogni aspetto negativo di Israele come indice di un'immagine generale (come quando si dice che gli Italiani sono tutti mafiosi, e come se anche in Israele non ci fossero fascisti - e ci sono, hanno perfino ammazzato un Premier, non è un Paese marziano), la negazione, sotto sempre nuove spoglie o nuove maschere o nuove provocazioni, dell'identità ebraica e/o israeliana (l'antisemitismo è sempre stato il tentativo di eliminare l'ebreo, spesso nella forma di un invito a essere come noi, a sbarazzarsi della sua identità, senza minimamente mettere in discussione la nostra). Uno dei più diffusi e orrendi cliché è la disinvoltura con cui si rovesciano sugli israeliani formule come vittime che si trasformano in oppressori (o carnefici), per ulteriormente colpevolizzarli visto che sono stati perseguitati, o come se proprio per questo dovrebbero essere quasi dei santi, in perpetua osservazione e libertà vigilata. Ho ancora nelle orecchie il malcelato disprezzo che nell'adolescenza circolava (e che condividevo inconsapevolmente) sulla presunta rassegnazione e passività con cui gli Ebrei in Europa si sarebbero consegnati alla morte in milioni (luogo comune smentito da ricostruzioni di rivolte nei lager nazisti, come quella di Sobibor - si veda il film omonimo di Lanzmann). Mi fermo. C'è un'ampia letteratura, ma nulla serve se non ci si dà il tempo di indugiare un po', di ascoltare, di lavorare su di sé e sui propri giudizi, di placarli quando troppo rapidamente vengono alla bocca (al limite mordersi la lingua come faceva Palomar di Calvino).
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15 commenti:
Condivido pienamente le tue parole Beppe. Te lo dico da convinto comunista sempre più isolato su questo argomento. Non c'è bisogno per criticare la politica dei vari governi israeliani di far man bassa dei peggiori luoghi comuni della reazionaria tradizione giudeofoba ed antisemita. La storia del sionismo politico e la questione arabo_israeliana è di una tale complessità che partendo da stereotipi (Labriola diceva l'antisemitismo è la reazione!)si finisce sempre per trovarsi con compagnie sicuramente peggiori (Hezbollah, Hamas, Talebani ecc.).
mi fai respirare un po'... grazie.
Un momento, però. Come ricordo sull'ultimo Giap, a far notare la remissività con cui masse di ebrei andarono verso lo sterminio non sono stati biechi antisemiti, bensì:
- Raul Hilberg, ebreo austriaco-americano, decano degli studi sull'Olocausto, autore di una autentica pietra miliare della storiografia sulla Shoah come "La distruzione degli ebrei d'Europa";
- Bruno Bettelheim, ebreo austriaco-americano, psicologo infantile e studioso delle mentalità, amico di Israele autore del saggio "Liberarsi della mentalità del ghetto" (1962).
Le rivolte nei ghetti e nei lager ci furono, ma purtroppo furono pochissime, e spesso la resistenza fu sabotata e denunciata proprio dalle comunità che intendeva difendere.
Insomma, Beppe, non è che si possa vedere antisemitismo dappertutto, dai...
Riguardo a Israele, su un altro blog ho avuto occasione di formulare meglio la mia "teoria" dei 3 motivi per cui un non-antisemita possa denunciare i crimini israeliani con maggiore enfasi di quella riservata ad altri crimini. Riposto qui, nel commento successivo.
Dire che la sinistra ce l’ha più con Israele che con altri perché è antisemita non tiene conto di un fatto: prima del ‘67 la sinistra internazionale in quasi tutte le sue sfumature era pro-israeliana e pro-sionista. Il problema palestinese era pochissimo preso in considerazione. Le cose cominciarono a cambiare, e drasticamente, dopo la Guerra dei Sei Giorni. Pochi anni dopo, gran parte della sinistra simpatizzava con l’OLP. E questo secondo me non si può spiegare con un’improvvisa conversione di massa all’antisemitismo, ma con una grande delusione, un collettivo svegliarsi dal sogno. Il processo si è compiuto dopo l’invasione del Libano, Beirut ‘82, Sabra e Chatila. Quando scoppiò l’Intifada dell’89, la sinistra internazionale era quasi tutta filo-palestinese. Ora, è chiaro che nel grande mare dell’opposizione alle politiche israeliane nuotano anche banchi di pesci antisemiti, anzi, sono in aumento. Costoro condannano a gran voce i crimini sionisti ma non spendono una parola per altri crimini commessi dove non vedono la mano invisibile del giudaismo internazionale. Tuttavia, - ed è questo che contestavo a Beppe - questo non implica affatto che tutte le volte che si denuncia Israele con enfasi maggiore di quella riservata ad altri questo sia dovuto all’antisemitismo. A sinistra credo prevalgano - ripeto, storicamente - almeno altri 3 motivi:
1) COMPENSAZIONE. I media dipingono Israele soltanto come vittima. “Cerco un paese / innocente”, scriveva Ungaretti. L’establishment occidentale lo ha trovato: nella narrazione ufficiale, Israele non ha colpe, subisce il terrorismo senza mai praticarlo, fa la guerra solo perché costretto, è “l’unica democrazia del Medio Oriente” e questo dovrebbe chiudere ogni discussione prima ancora che sia aperta. E’ chiaro dunque perché chi denuncia i crimini di stato israeliani lo faccia con foga e veemenza.
2) FASTIDIO PROVOCATO DALL’ANTIFRASI. Questo è sempre il motivo 1, in realtà, ma visto da un’altra angolazione. Ripetendo che Israele è una grande, grandissima democrazia, gli opinion-makers de noantri fissano aspettative molto alte. Da una democrazia come quella che descrivono loro, sarebbe lecito attendersi tutt’altro che apartheid, vessazioni continue, internamenti di massa, bombardamenti a tappeto etc. Guardacaso la Birmania, che è (correttamente) descritta come una dittatura militare, non suscita aspettative di questo tipo. E’ la vecchia storia del predicare bene e razzolare male. E’ innegabile che Israele predichi benissimo.
3) DELUSIONE DI LUNGA DATA. E’ quello che ho provato a ribadire sopra. Per molto tempo Israele ha avuto un’immagine socialista e tenuto nel ripostiglio un “ritratto di Dorian Gray” che, non visto da nessuno, si sporcava del sangue versato e del male compiuto. A un certo punto, come se l’Enterprise avesse azionato il teletrasporto, l’immagine socialista è finita nello sgabuzzino e il ritratto deteriorato è apparso in pubblico.
Grazie wu ming 1, finalmente un ottimo livello di discussione! Sulla questione della "remissività". Mi pare un osservazione "salottiera" a cui non manca un pizzico di Judische Selbsthass, il delicato e doloroso tasto dell'autofobia ebraica.Si ricorda Anna Frank ma mai Mordecaj Anjelewicz. Mi spiego, a parte il caso della rivolta del Ghetto di Varsavia, che non è stata poca cosa ed aveva visto la formazione di una "governo operaio di tutta sinistra ebraica (sionisti di sinistra, comunisti staliniani, trozkisti, Bund)gli altri casi di resistenza europea sono stati efficaci solo dove era stato predisposto, soprattutto dai partiti comunisti, una forte organizzazzione clandestina. Un organizzazione tale da permettersi lo scontro con uno dei regimi più selvaggiamente reazionari che la storia occidentale abbia conosciuto, sovradeterminato dall'apparato militare più aggressivo e strutturato, nonché da un efficacissimo apparato burocrativo ed amministrativo. Non bisogna essere necessariamente materialisti per capire che dimenticando questi "dettagli" si finisce su di un piano metastorico, se non irreale.Comunque le disorganizzatissime masse semiproletarie dell'Yddishland hanno saputo in casi ragguardevoli costituire brigate ebraiche e non associate alla resistenza. Non c' è solo "Se non ora quando?" come fonte.
Scusami, Mordecaj, ma le eccezioni purtroppo non fanno la regola, e l'aneddoto non fa la storia, e la questione posta da Hilberg è: "Perché la STRAGRANDE MAGGIORANZA degli ebrei d'Europa non oppose resistenza?". Se si cita quel che fece la minoranza si elude la questione, è un fatto di logica minima. Conosco bene la storia del Hashomer Hatzair, del Bund, della rivolta di Varsavia (a cui presero parte 1500 ebrei sui 70.000 che assurdamente erano rimasti nel ghetto dopo l'invasione tedesca pur avendo svariate vie di fuga aperte). E allora perché non ricordare i casi in cui vi fu conflitto tra maggioranza remissiva e minoranza resistente, cf. il caso paradigmatico della rivolta del ghetto di Vilnius, il cui leader (comunista) Yitzhak Wittenberg fu consegnato alle SS dalla comunità ebraica medesima?
Cito Hilberg (e ricordo che stiamo parlando del più importante storico dell'Olocausto, figlio di ebrei scappati dall'Austria nel '38 per evitare la deportazione):
"Misurata in base alle perdite subite dai tedeschi, l'opposizione ebraica risulta pressoché insignificante. Gli scontri più importanti si ebbero nel ghetto di Varsavia. [Da parte tedesca si contarono] sedici morti e ottantacinque feriti, compresi i collaborazionisti. In Galizia le sporadiche rivolte causarono alle SS e alla polizia le seguenti perdite: otto morti, dodici feriti. E' dubbio che tedeschi e collaborazionisti abbiano perduto più di un centinaio di uomini, tra morti e feriti, durante tutto il processo di sterminio."
E Bettelheim commenta amaramente (vado a memoria):
"Meno di un centinaio di tedeschi per sei milioni di ebrei: ecco le proporzioni di quanto accaduto."
QUESTO a me sembra materialismo, mentre il culto dell'aneddoto mi sembra idealismo, cioè si parte dall'idea di resistenza e poi si presta attenzione soltanto ai casi in cui la si trova messa in pratica.
Capire come questo possa essere successo è importante non per gli ebrei, ma per l'umanità tutta. E porsi la questione non è antisemitismo.
caro roberto, non penserei mai che quello che scrivi è antisemita e sono d'accordo sull'importanza universale di queste considerazioni (d'altronde mi sembra che nel pezzo che ho linkato scrivessi proprio che l'ebreo è paradigma dell'uomo - e probabilmente un ebreo ortodosso contesterebbe questa espansione come una limitazione al suo concetto di ebreo, ma tant'è...).
Resta allertata la mia soglia d'attenzione quand queste considerazioni si dispiegano politicamente oggi, sull'oggi, resta insomma qualcosa di residuale, sempre, quanta agl effetti illcutori e/o perlocutori delle affernazioni anche ragionevolissime che tematizzano (o prendono a bersaglio) Israele e la questione ebraica, o la questione sionista, eccetera. Come se una qualunque accettazione anche provvisoria dei "fatti" (storici, e participio passato plurale) fosse impossibile, e comunque sempre da rimettere in discussione, senza requie. Questo è antipacifismo concettuale, sistematico.
In una lettera a Helena ieri le ho confidato una cosa drastica: che penso in fondo che chiunque sia europeo, nato cattolico o cristiano, o comunque cresciuto con questo nel dna, è antisemita per forza di cose, e chi è allergico epidermicamente a questa che non è neanche un'accusa, ma una constatazione, un effetto..., forse deve ancora capire di cosa si parla quando si parla di antisemitismo. (bada bene, non lo sto minimamente riferendomi a te, ma a moltissimi commentatori coi nickname dei vari dibattiti on line, che non conosco, sì). i quali, ne sono persuaso, adottano l'antisionismo come alibi o spauracchio superficiale, senza conosceenemmeno il sionismo. per giudicare israele basterebbero il diritto internazionale, l'etica, la pace e altre parolette così, valori così, e giudicare la politica israeliana così come facciamo con quella americana, francese, inglese, italiana (ognuna delle quali ha aspetti fascisti o ultrafascisti), ecc.
Leggo oggi su Repubblica che il mio amato Amos Oz, avverso all'assedio d Gaza da sempre, propone come irreversibile di trattare con Hamas. A seconda di dove ci si situa è un'affermazione ovvia, oppure scandalosa. Mi chiedo da quanto tempo lui lo pensi, lo sappia e l'abbia detto (inseme a molti altri Israeliani), e quali cautele illocutorie e perlocutorie abbianmo agito prima che questa affermazione arrivasse a noi attraverso la Repubblica.
Ma in genere si giudica ogni cosa che concerne Israele come se fosse facile ed evidente, mentre lì non è facile nemmeno prendere l'autobus (soprattutto prendere l'autobus)(e lo so che a Gaza non facile nemmeno prendere l'aspirina mangiare un pezzo d pane arabo).
a presto, buona giornata, beppe s.
Beppe, questa discussione è preziosa e non vorrei "ingolfarla" di ripetizioni, per cui non rifaccio tutto il discorso su come, a mio avviso, estendere ad libitum il concetto di "antisemitismo" fino a fargli invadere tutto il campo semantico del "parlare di ebrei da parte di non-ebrei" equivalga ad annacquarlo e poi dissolverlo. Se tutti i non-ebrei sono al fondo antisemiti, come per "peccato originale", allora tutte le vacche sono nere, e perde peso specifico la denuncia circostanziata di qualunque atto/esempio/episodio *preciso* di antisemitismo intenzionale.
Non era mia intenzione irritarti Wu e la mia discussione si svolge serena, non considerando le tue argomentazioni come antisemite, come non lo sono le critiche in sé ad Israele. Dipende dalle argomentazioni, se analiticamente fondate o basate su stereotipiti più o meno mascherati. Considero la Rivolta di Varsavia un eccezione poco eccezionale come avrebbe detto Alfred Jarry, ed in ogni caso ripeto che al di fuori di un organizzazione clandestina, preparata e consolidata negli anni, ogni forma di resistenza europea risulta come marginale o poco efficace. Perché dagli ebrei disorganizzati si deve pretendere di più quando sono sotto il tallone di ferro delle peggior reazione? In Italia le cose che tu elenchi non sono forse successe? Al di fuori delle strutture organizzate: remissività, collaborazionismo sino alle porcherie della Brigata Osoppo che preferisce convergere con la xmas piuttosto che assecondare Tito. Forse non mi spiego bene non essendo io un intellettuale bensì un lavoratore/comunista che da autodidatta ritiene lo studio essenziale all’azione! Come ritengo Israele strumentalizzato dalla politica estera Usa, ritengo tale l’Italia ed altre nazioni, ma ad Israele si chiede sempre di più e la si demonizza in aggiunta. Dimmi se non sono stato chiaro? Grazie per l’attenzione..
Sei stato chiaro, Mordecaj, e sul perché a Israele si chieda di più ho provato a dire qualcosa più sopra.
Se l'argomento è "cosa si può pretendere da persone povere e disorganizzate?", non mi convince. Povertà e disorganizzazione erano ovunque, in Grecia, in Italia, nei Balcani, nella Russia piallata dal rullo compressore nazista, eppure la resistenza fu di massa, o comunque portata avanti da minoranze *consistenti*.
Se su sei milioni di sterminati soltanto poche migliaia azzardarono una qualche resistenza la causa va cercata altrove, in una specificità, dopodiché - se vogliamo che l'analisi sia utile a tutti - in quella specificità va cercato il senso universale, cioè: può capitare ancora? può capitare ad altri?
Aggiungo poi che molti ebrei non erano poveri, e le comunità ebraiche non erano particolarmente disorganizzate: avevano le loro classi dirigenti, e - se non ricordo male - a dire di Hannah Arendt fu proprio responsabilità di queste ultime se non vi fu una resistenza di qualche peso, perché i leader (rabbini o comunque persone di spicco nelle comunità) predicarono pazienza e sottomissione, scoraggiarono la fuga e sovente denunciarono tentativi di opporsi con forza alla forza. Tutto questo fino all'ultimo secondo prima della partenza dei treni... e anche dopo, a dire il vero.
P.S. Non so bene dove tu abbia letto irritazione, comunque - lo dico amichevolmente - lasciamo perdere la diminutio auctoris del discorso "io sono un lavoratore, non un intellettuale", perché anch'io sono figlio di un metalmeccanico comunista e di una bracciante, e sono nipote di braccianti per parte di entrambi i genitori, e mio fratello fa tuttora l'operaio al tornio però non sto sempre a tirarla fuori, questa cosa. Gli argomenti sono argomenti e valgono o non valgono per se stessi, non in base al pedigree sociale di chi li propone, quindi discutiamo senza chiamare in causa - esplicitamente o implicitamente - gli antenati, le radici etc. Ok?
Un saluto.
roberto, non fraintendermi e non ripetiamoci. d'accordo che è prezios questo parlare. ma non dico "antisemitismo" in senso così banale. dico che è banale accantonare la questione come se non ci appartenesse, o pertinesse: il determinismo delle nostre determinazioni -linguistiche, semantiche, à la foucault, o come diavolo vogliamo dirlo - ci impedisce di accantonare supeficialmente la formazione (geologico-morale, o culturale) del nostro antisemitismo europeo. ma questa è una questione A LATO di quello che ho sostenuto politicamente fino ad ora su israele. non ripetiamoci. ho fatto male a citare quel brano intimo di una lettera? forse sì.
(e ora devo scappare fuori - ciao)
Ciao Beppe,
tu mi conosci e sai che mi fa male sentir parlare di antisemitismo, così come degli orrori a cui sono sottoposte le donne nei paesi musulmani, a causa di una pilotata interpretazione del Corano, o dei bambini che in molti paesi africani vengono costretti a imbracciare il fucile. Credo che l'errore sia alla base. Non esistono popoli buoni e popoli cattivi, ma solo cattivi governanti che per scopi personali portano le loro nazioni sull'orlo del baratro. Quando Rabin fu ucciso provai un grande dolore, così come ad ascoltare le parole della vedova che si è battuta fino alla morte per far si che la giustizia e il buon governo rendessero a Israele quella dignità che gli è da sempre negata. Smettiamola di additare e condannare come diversi coloro che non corrispondono ai nostri canoni e ricordiamoci, invece, che siamo tutti uguali e abbiamo diritto al rispetto e alla dignità qualunque sia il credo politico, religioso, il colore della pelle o la scelta sessuale. Non ci dividiamo, perché il bastardo di turno, che è sempre in agguato, non aspetta altro per approfittarne. Forse le mie parole possono sembrare semplicistiche, ma sarebbe così bello che tutto fosse più semplice!
Perché, Beppe, ho la pessima sensazione che la caccia alle streghe ci farà ritrovare tutti quanti nella m.? Ciao Ilaria
per Roberto:
rileggendo quell che ha scritto, mi è venuto il sospeto che stiamo dicendo la stessa cosa, con accentuazioni ritmiche diverse, ovvero con pre-occupazioni diverse (il pezzo sull'antifrasi ecc.), e questo secondo me fa pare delle differenziazioni ilocutorie deg enunicati (ah, c0me è vero che non esistono enuciati neutri), e mi torna in mente la mia ossessione sulle enunciazioni e la loro fisicità - il contesto, ecc.
per Iaria: sì, certo, ma la semplificazione pure è a volte una bella trappola. ciao, come stai? a presto.
beppe
lo riscrivo per essere un po' meno sgrammaticato e sciatto (uso una tastiera impossibile):
roberto, rileggendo quello che hai scritto, mi è venuto il sospetto che stiamo dicendo la stessa cosa, con accentuazioni ritmiche diverse, ovvero con pre-occupazioni diverse (il pezzo sull'antifrasi ecc.), e questo secondo me fa parte delle differenziazioni illocutorie degli enunciati (proprio vero che non esistono enunciati neutri), e mi torna in mente la mia ossessione sulle enunciazioni e la loro fisicità - il contesto, ecc.
beppe
Ciao Beppe,
è vero che la semplicità può essere una trappola, ma la complessità, passibile di molteplici interpretazioni e quindi di discussioni tendenti alla distruzione-costruzione, sta diventando sempre più un campo per eletti. E parlo di eletti, con dispiacere, perché non è una discriminazione sottile, ma una constatazione di fatto: secondo gli ultimi sondaggi l'alfabetizzazione degli Italiani, e non solo, sta raggiungendo sottolivelli preoccupanti. Vogliamo aprire una discussione su come sia più facile governare i popoli ignoranti e manovrarli a piacimento? Purtroppo lo sappiamo e per questo parlo di semplicità, in modo che tutti possano capire il concetto. Almeno spero! Baci, Ilaria
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