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Giorgio Messori è stato, rimarrà sempre, il migliore dei miei amici, dei miei compagni di vita. Ho tanto condiviso con lui, per anni siamo stati così vicini, in una comunicazione così immediata e fluida, che non riesco a parlarne. E del resto potevamo restare a lungo in silenzio, insieme. E' morto l'anno scorso, per un tumore al cervello. Aveva quattro anni più di me. Negli ultimi anni ci siamo visti meno, molto meno. Aveva realizzato molto: aveva appena avuto un bambino dalla donna amata, pubblicato un romanzo, un bellissimo reportage dalla coscienza, e dall'Uzbekistan (Tashkent): Il paese del pane e dei postini (ediz. Diabasis 2005), che ha avuto successo e premi. Poi la malattia. La sua scomparsa mi ha ammutolito. Non posso parlarne. Non ancora. E' troppo di me che è coinvolto, dalla fine degli anni Settanta in poi. Siamo stati insieme studenti a Bologna, insieme abbiamo cominciato a scrivere testi in prosa, abbiamo fatto una piccola casa editrice (Aelia Laelia), siamo andati a vivere in Svizzera (lui Zurigo e Basilea, io Ginevra e Losanna) dopo la laurea a Bologna (lo stesso giorno), insieme ci siamo ubriacati, abbiamo sognato, abbiamo amato film e libri, e luoghi, e persone, e incanti di ogni tipo. Abbiamo letto e condiviso Benjamin e Walser, V. Holan e Th. Bernhard, Emmanuel Bove e naturalmente Kafka. Abbiamo riso molto. Ci siamo detti più volte la nostra paura della morte. Ieri ho visto con degli studenti, dopo vent'anni, Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders: ecco, mi sono detto, condividevamo un mondo così, una poetica e una meraviglia per l'umano, per tutto l'umano, come le persone vive osservati dagli angeli mentre soffrono e provano piacere - e gli angeli ne sono invidiosi... Insieme abbiamo scritto un libro, L'ultimo buco nell'acqua (il nostro primo) uscito nel 1983, e lo stesso anno un film, Questo periodo non finisce mai. Basta, ho detto anche troppo. I ricordi sono per forza egoisti, e io non faccio eccezione. Domani sera, venerdì, andrò a questa commemorazione festosa vicino a Reggio Emilia, ci saranno i tanti che lo hanno amato dopo averlo conosciuto. Ho molta apprensione ad andarci, non so cosa dire, o meglio, ho paura che non mi va di parlare. La nostra intimità la ricordo con questa fotografia che ci fece Luigi Ghirri in mezzo agli anni '80, Giorgio e io a quattro mani.