10/27/2010

Torna "Pesca alla trota in America" di Richard Brautigan

di: Rock Reynolds & Beppe Sebaste    

   Qualcuno ha pensato che tutte le speculazioni fatte in vita (e soprattutto in morte) sulla personalità di Richard Brautigan non si avvicinassero neppure lontanamente all’intima verità, e ha pensato di costruire un archivio online che rendesse giustizia allo scrittore e, soprattutto, all'uomo (http://www.brautigan.net). Le foto che lo ritraggono nelle varie fasi della sua vita ce lo tramandando nei panni di uno studentello, di un bohémien scherzoso, di una specie di intellettuale da Far West, di un uomo dall'animo tormentato. C'è un’immagine splendida che ha fatto il giro del mondo ed è così che ci piace ricordarlo: con gli immancabili baffoni, l’eleganza di un dandy di frontiera, il cappellaccio e una vecchia macchina da scrivere.

   Nato nel 1935 a Tacoma sulle coste settentrionali del Pacifico statunitense - l’ambiente impervio e selvaggio che trasmise energia primordiale ad altre personalità travagliate come quelle di David Lynch, Jimi Hendrix e Kurt Cobain, per citarne solo alcuni - Richard Brautigan incarnò appieno il travaglio del classico “white trash”, la frangia più diseredata della società americana bianca, quella costretta (ma siamo sicuri che si tratti di una forzatura?) a vivere tra roulotte e rimorchi. Non ebbe una vera famiglia, non menzionò quasi mai parenti nelle rare interviste concesse, ed entrò a 19 anni in un ospedale psichiatrico, ironicamente lo stesso in cui anni dopo Milos Forman avrebbe girato Qualcuno volò sul nido del cuculo, dal romanzo di Ken Kasey. Quando uscì, tre mesi dopo partì per San Francisco, dove conobbe Ferlinghetti e gli altri poeti beat, ma legandosi in amicizia soprattutto col grande poeta Jack Spicer, forse colui che gli assomigliava di più, e a cui Pesca alla trota in America è dedicato.
   Ecco il ritratto esclusivo che di Brautigan ci dà Peter Beagle, un altro grande interprete misconosciuto del sogno a stelle e strisce, un sogno di vite errabonde, di motel da quattro soldi, compagnie occasionali, armonie cosmiche e cadenza blues, quello narrato in Una lunga strada da fare: “Era un uomo strano, triste, dall’infanzia terribile, segnata da povertà e fame, una madre che passava da un uomo all’altro, un padre biologico conosciuto poco prima di morire, una vita sentimentale travagliata, pochi anni di popolarità per essersi trovato nel posto giusto quando il suo stile era quello giusto, prima di finire nuovamente in un anonimato sancito ancor più dalle circostanze della sua morte: il rinvenimento del suo cadavere parecchio tempo dopo il suicidio. Pesca alla trota in America è la sua opera migliore. C’è un gruppo rock che porta quel titolo e conosco almeno due persone che sono state chiamate in quel modo. Non sono un fan delle sue poesie, così come non vado pazzo per quelle di Raymond Carver – malgrado lo adori – ma quando era sobrio e in giornata (Brautigan è stato alcolista quasi tutta la vita), sapeva scrivere ai massimi livelli. C’è un aneddoto su Richard – o meglio sulla sua assenza – che mi va di raccontare. Sul finire degli anni ‘60, quando lui era ai massimi della fama, venni invitato a tenere un seminario di scrittura a Boulder, Colorado, insieme a Brautigan, la star dell’evento. Non feci in tempo ad assistere alla sua lettura, ma l0’indomani lui, io e un poeta che si chiamava Charles Wright saremmo dovuti apparire insieme a una tavola rotonda, però Richard non si presentò: prese i soldi e si eclissò. Il posto era zeppo di persone intervenute solo per lui e il rischio era di venire massacrati, ma mi venne un'idea geniale... Mi misi d’accordo con Wright. Salimmo sul palco e dicemmo al pubblico che era venuto il momento di svelare la verità: non esisteva nessun Richard Brautigan e noi due ci eravamo inventati la sua personalità artistica per scrivere sotto falso nome, creando un mito. Risero tutti e io e Charles ci rivolgemmo l'uno all'altro con il nome di Richard. Mi domando se il vero Richard lo sia mai venuto a sapere...”
   Brautigan ottenne la consacrazione e il successo con la pubblicazione di Pesca alla trota in America (1967), che da domani torna in libreria nella traduzione di Riccardo Duranti. E’ un libro jazz fatto di variazioni sul tema, associazioni di idee, memorie, aneddoti e storie che incantano e producono nel lettore uno stato di beatitudine. Non parla di canne da pesca, né di mulinelli, né di trote, ma di amori e di solitudine, di bar e di strade, e di alcool, e soprattutto dell’America. La sua America, come disse il suo amico e collega Jim Harrison, era quella del centro degli Stati Uniti, quella cioè che si rischia di non vedere mai, di sorvolarla, presi come si è dalla smania di passare da una parte all’altra del paese. Il modo di raccontare di Brautigan come sempre rompe e deborda le cornici del racconto. Maestro riconosciuto delle short stories, ha attraversato la letteratura americana come una meteora, sperimentando forme letterarie libere e nomadi, irriducibili ai canoni e ai generi. Un’opera forse paragonabile, in Europa, a quella di Georges Perec, ma liberata dal peso della Storia e della cultura.
   Che gli amanti di Brautigan siano una grande famiglia lo si prova riconoscendosi quasi a pelle, come quando al festival blues di Piacenza ci ritrovammo sullo stesso palco noi, Ronald Everett Capps e suo figlio Grayson, Joe Cottonwood e altri. Ci si commuove e si ride delle sue pagine che dicono la vita così com’è, delle sue frasi così sorprendentemente ricche di inventiva e poesia, delle sue trame narrative bislacche e sfilacciate, delle sue divagazioni, gag strampalate, battute di spirito fulminanti, risate, sogni, attese. In Brautigan la vita è stramba e dolorosa, e fa decisamente ridere anche quando sembra spezzarci il cuore.

(su l'Unità di giovedì 28 ottobre 2010)

4 commenti:

rossana ha detto...

Ciao! Bello il nuovo template...

Beppe Sebaste ha detto...

grazie! è una sorpresa anche per me... :-)

Joe Cottonwood ha detto...

Greetings, Beppe! And you too, Rock Reynolds! I miss you and think fondly of you.

In person when I knew him in San Francisco, Richard could be smiling and witty while maintaining a shield that I could never penetrate. In his writing, he seemed to let down the shield - or perhaps it was just another shield, a deft and delightful shield. I love his books. To me he is similar to Mark Twain.

His writing was a perfect expression of the Sixties. Today he is unfashionable.

By the way, I have just finished writing a novel in which one character has a hobby of collecting waterfalls. My homage to Mr. Brautigan...

Anonimo ha detto...

Thank you Joe: I'm impatient to read your new novel. (And I hope to see you, in Italy or in States)...
beppe