10/24/2010

"Poi"

  
Se col termine stakeholder si intendono i soggetti “portatori di interessi” nei confronti di un’impresa economica (clienti, fornitori, finanziatori, collaboratori ecc.), Roberto Saviano nell’ultimo capitolo di Gomorra forniva un quadro differente: gli stakeholder, laurea in economia e master all’estero, sono i mediatori tra la camorra e le aziende, “geni criminali dell’imprenditoria dello smaltimento illegale dei rifiuti pericolosi, figure d’impresa coinvolte nel progetto economico e che con la loro attività sono direttamente o indirettamente in grado di influenzarne gli esiti”. Mi turba descrivere con termini tecnocratici un crimine contro l’umanità come la trasformazione della Campania felix, la terra più feconda del pianeta, in una discarica che irradia veleni e tumori, ma lo stesso Saviano spiega che per il camorrista la vita è cosa di breve durata, importa solo il presente, al massimo un futuro prossimo. Non c’è un futuro, non c’è un poi. Ora, è la stessa mentalità del tipo antropologico creato del berlusconismo, con la sostituzione ad esempio dell’idea di comunità in quella di immunità, la pretesa di non morire (mai), l’annullamento del passato e del futuro nel perpetuo presente sul modello della tv. Il fascismo mediatico, impropriamente detto soft, è esso stesso un crimine contro l’umanità dell’uomo.
   Io mi occupo di estetica, e sono a Bari per parlare di una mostra, tra le più belle e commoventi che abbia mai visto, del fotografo Gianni Leone, già amico e sodale di Luigi Ghirri. Si chiama “Poi”, avverbio e deittico (dopo, in seguito) ma anche sostantivo (il poi). La mostra (catalogo Diabasis) racconta un viaggio intensivo tra gli oggetti di una casa, esplora uno spazio chiuso dilatando con esso il tempo, ci insegna l’infinità dei mondi racchiusi in una vita, e che non esiste “io” senza “l’altro”, né senza un “poi”. Vi prego, fatela girare.

(rubrica "acchiappafantasmi" di oggi, su l'Unità)

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