Volentieri pubblico qui la recensione di Alessandra Sarchi (autrice che molto stimo), apparsa oggi su Alias (il manifesto). Titolo: "Il Novecento degli oggetti perduti" (Ah, buon natale e voi e a me).
Oggetti smarriti e altre apparizioni di Beppe Sebaste, pubblicato da Laterza nella collana di ricognizioni geografico-antropologiche Contromano (2009, 9,50 euro), parla di oggetti persi, trovati e dati a pegno, di persone intraviste nello spazio di un breve incontro, nell’approssimazione di situazioni di precarietà - la strada, il campo rom, l’alloggio abusivo in mezzo a una pineta, il monte dei pegni - di tracce lasciate più o meno consapevolmente che l’autore interroga come indizi, come gusci esistenziali in cui la vita ha preso forma e poi è stata in qualche modo abbandonata, per proseguire altrove, o tramutarsi in altro. Gli oggetti smarriti sono innanzitutto sintomo, in senso psicanalitico, dello smarrimento individuale e collettivo di un Occidente oppresso da merci e ‘cose,’ raccontato con presenza critica ed emotiva, alternando scene schiettamente narrative a brani di vero e proprio réportage letterario, in un equilibrio sottile tra autoriflessività della scrittura e neutralità descrittiva. Colpiscono i dati: l’impressionante numero di carte di identità perse - che l’autore legge come desiderio di fuga e cambiamento della popolazione, il ritmo dei verbali di consegna all’ufficio oggetti smarriti di Milano, più di 1500 al mese, una cinquantina al giorno. La lettura di questi verbali e la visione degli oggetti traccia una mappa sociologica della popolazione, dei suoi costumi, della composizione demografica. Ma lo sguardo dell’autore va oltre il dato sociologico, attratto dal potere evocativo e fantasmatico di tutto ciò che si perde, o lascia traccia. Fantasma è ciò che ci manca, ciò che abbiamo intravisto e subito perso, proiezione di un’interiorità che si nutre di assenza più che di presenza.
Il filo rosso che lega momenti e contesti molto diversi fra di loro è costituito dalla predilezione per ciò che sta ai margini, scartato, rimosso, perduto; una marginalità intesa come limite che (ci) definisce, come linea in continuo movimento. L’attenzione letteraria e umana di Sebaste rivela di aver profondamente assimilato la lezione di Derrida - Nulla di meno marginale della questione dei margini - e di Godard - É il margine che fa la pagina - . Emerge una poetica del frammento che non si compiace di mera nostalgia - anche se la nostalgia come essere altrove è sempre presente - ma è soprattutto stupore, interrogazione e riflessione sulla dialettica tra significanza e insignificanza dei gesti e delle cose, tra il permanere delle tracce e il disfarsi delle civiltà, il venire meno delle persone. Per Sebaste è il frammento che può dare l’idea del tutto, un tutto che è inafferrabile per definizione. Ne risulta un’archeologia del contemporaneo, in cui si sente l’eco dei moralisti francesi del Sei-Settecento (ma anche di Leopardi), solo che alla rovina, al resto delle civiltà passate come scaturigine di riflessione sul tempo e sul senso delle cose, si sostituisce qui l’oggetto smarrito, il frammento di quel vaso rotto che come metafora di una precisa poetica era già stato indicato dall’autore nel suo romanzo Tolbiac. Tuttavia l’inseguimento di luoghi e oggetti apparentemente banali non si risolve mai in intimismo, piuttosto attinge a una dimensione che si potrebbe definire di resistenza culturale, di memoria come coscienza rispetto alle tante forme di disumanità e immoralità che passano principalmente attraverso il canale della rimozione, della dimenticanza, dell’occultamento. Questo lavoro di ricognizione tra le macerie e gli interstizi dello spreco e del presente attuale che non conosce passato né futuro, è prima di tutto un lavoro linguistico: l’autore ci ricorda come l’ufficio degli oggetti smarriti, abbia in Francia il suo corrispettivo in un luogo che, all’opposto, si chiama Bureau des objets trouvés, al quale se fosse possibile l’autore preferirebbe addirittura il vecchio fermoposta che consentiva di ritirare in qualsiasi città la propria corrispondenza; in francese si dice poste en souffrance, ed è la sofferenza dei gesti e dei messaggi che non trovano una destinazione, delle persone e dei luoghi che vengono cancellati. E ancora: la visita a una fabbrica che produce palloncini gonfiabili - oggetto per definizione effimero e per questo molto in consonanza con gli intenti di certa arte contemporanea da Piero Manzoni a Jeff Koons - dipana una riflessione non solo sull’uso propagandistico di questi oggetti - nelle campagne elettorali ad esempio - ma anche sul paradosso insito nell’affidare a poco più che fiato le proprie sorti, sapendo che ciò che si gonfia e si gonfia è prima o poi destinato a scoppiare, lo dice la parola inglese boom, così temerariamente associata all’economia.
Se gli oggetti e i luoghi si lasciano percorrere nei loro multi-strati linguisitici e funzionali, perché sempre provvisoria è la loro aggregazione, anche le persone tendono a dissolversi o meglio a vivere in osmosi con l’ambiente che le circonda, come nelle fotografie di Francesca Woodman che Sebaste mette in ardita e inedita consonanza con la fotografia di uno dei covi delle Brigate Rosse, inconsapevoli (forse) portatori di una estetica della sparizione, dell’essere altro, del fare perdere le tracce che se avesse avuto il coraggio di essere gesto umano e artistico, anziché idiozia politica, avrebbe forse impresso una svolta diversa alla storia del nostro paese. Il libro si conclude con il catalogo degli oggetti del volo IH 870 Bologna-Palermo abbattuto su Ustica, i cui resti sono stati allestiti in un progetto di grande impatto dall’artista Christian Boltanski per il Museo della Memoria di Ustica a Bologna. Elenchi di oggetti, di passeggeri, il bagaglio, gli effetti personali riportati alla loro radice etimologica e universale - poiché ciò che è rimasto è una terrificante carcassa vuota - le parole hanno il pudore di fermarsi, di lasciare parlare il silenzio. E a chi si domanda per quale ragione esista un simile museo Sebaste risponde con Derrida: “L’archivio non riguarda il passato, riguarda l’avvenire”.
(Alessandra Sarchi, da Alias (il manifesto) del 24 dicembre 2009)
Post scriptum: http://www.radiocittafutura.it/ViewMedia.aspx?mediaID=4cbed0e4f5174c1fbf3d5cf9df3bcd4e&s=0
1 commento:
molto intiresno, grazie
Posta un commento