12/06/2009

La politica e la felicità (frammento di un romanzo che non scriverò)

Frammento di un romanzo che non scriverò, titolo “L’amore al tempo di Berlusconi”, tema: che rapporto c’è tra la propria felicità e il tipo di governo?
... Il governo Berlusconi, il peggiore in Europa dal 1945, permise a noi italiani di mantenere un alibi comodo come una felpa, l’ipocrisia di una speranza a cui potevamo facilmente rinviare. Quando finì, e “i nostri” presero il timone, ci sentimmo come i tedeschi dopo il crollo del muro di Berlino: non c’era più un’altra possibilità, un’alterità. Orfani di un’immaginazione e di una potenza, il mondo tornò piatto. Durante il governo Berlusconi si era creata un’ampia e nebulosa fratellanza: la violazione palese delle regole della democrazia ci indignava senza metterci in discussione, e creò convergenze morali tra persone economicamente, oggettivamente divergenti, come il locatario e il locatore, il datore di lavoro e il salariato, senza intaccare il costo dell’affitto o le ore di lavoro. Manifestavamo insieme in una baldoria contenuta, non la Resistenza, ma l’ossimoro della festa al capezzale del defunto che non muore. E sotto sotto credo che fossimo in tanti a non volere davvero che finisse il governo Berlusconi, quella dittatura di una maggioranza triviale che ci rendeva tutti per incanto più nobili e belli. La nostra opposizione era facile da indossare, un’appartenenza comoda, senza bisogno di ritocchi, nemmeno di essere stirata; un’identità che non si sgualciva e spiegazzava come il lino, ma era solida e liscia come un abito in microfibra; che conteneva l’illusione poco innocente che la politica fosse quella, che riguardasse tutti in forma pulita e ideale, con una parte evidentemente buona con cui stare: senza entrare nel merito delle cose che, nella brevità della vita, nel bagliore sfuggente dell’esistenza, decidono la felicità o infelicità e, en passant, la miseria o l’agio. Onore, giustizia e altre nitide illusioni erano servite, luccicavano sulle nostre tavole imbandite: possibile che non ci rendessimo conto che il talentuoso imbroglione dal sorriso di canaglia che guidava il governo realizzava semplicemente quello che da sempre, da quando esiste il cerimoniale della democrazia parlamentare, realizzano le destre? Lo faceva, però, scoperchiando gli altari e le pentole, togliendo il velo e la presunta sacralità di quelle regole e abitudini che rendono, come per magia, l’insopportabile sopportabile, e l’intollerabile paesaggio consueto - che è esattamente quello che gli Italiani hanno visto e vissuto e sopportato in quasi cinquant’anni di democrazia cristiana filo-americana.
(La magia, in realtà, è la forza dell’abitudine. E quello di cui volevo davvero scrivere era il mio senso di claustrofobia).

(uscito, appena più beve, oggi domenica 6 dicembre nella rubrica "acchiappafantasmi" su l'Unità)

[segnalo che sull'ultimo numero di Nuovi Argomenti, appena uscito, dedicato al tema "Privato /Publico", c'è un altro racconto-descrizione di romanzo (che però continuerò), dal titolo Parlare coi morti, 2006 (anche se sulla rivista, ahimè, manca la data che è essenziale). Descrizioni e riassunti di romanzi non scritti è un genere che coltivo da alcuni anni...]

7 commenti:

Anonimo ha detto...

Un pezzo disperatamente duro, durissimo...

Emanuele ha detto...

Davvero interessante e inquietante la trama della prima parte. Sulla conclusione può, un lettore di questo blog, dissentire dalla tua appassionata presa di posizione politica, anche solo per il semplice piacere di proporre altri punti di vista? "..da quando esiste il cerimoniale della democrazia parlamentare, realizzano le destre?" "..è esattamente quello che gli Italiani hanno visto e vissuto e sopportato in quasi cinquant’anni di democrazia cristiana filo-americana". Mi spiace, ma non riesco proprio a calarmi in questa immagine degli ultimi 50 anni di storia italiana in cui il dibattito critico fosse e sia possibile solo da una parte, perchè proprio una certa fede politica di sinistra ha generato a sua volta pesantezza, errori, incapacità di accettare cose che stavano e stanno accadendo, di leggere autori che raccontavano fatti, visioni. In fondo anche la storia delle principali case editrici e del rapporto con i loro autori ben testimonia le complesse dinamiche politiche e sociali del nostro paese.
E se la situazione in cui siamo finiti fosse anche la conseguenza di quella stessa pesantezza? Me lo domando talvolta.
Magari non sarà un libro di tuo gradimento, ma a me ha chiarito molte cose la lettura del Provinciale di Giorgio Bocca. Quante cose si capiscono sulla recente storia di Italia, dei suoi schieramenti, dei suoi blocchi, delle sue contraddizioni..
Due giorni fa, la figlia di Albert Camus raccontava(su La Domenica di Repubblica) la solitudine in cui fu lasciato suo padre dopo la pubblicazione dell'Uomo in Rivolta, semplicemente perchè aveva osato intaccare una certa fede di sinistra. "Per mio padre", racconta la figlia, "ciò che contava era la dignità umana, indipendentemente dagli schieramenti politici. Si poneva sempre dal punto di vista dell'uomo e non dell'ideologia". Mi ritrovo tantissimo in questo pensiero e penso, forse ingenuamente, che anche la letteratura fallirà il suo compito se cercherà ancora il bisogno di schierarsi con gli schemi politici che da più di cinquant'anni immobilizzano questo paese.


Emanuele

Beppe Sebaste ha detto...

caro emanuele certo che si può dissentire. non solo gli altri, ma anch'io dissento spesso dai miei pensieri. oa, quella citazione della democrazia cristiana che riporti in effetti nella versione della mia rubrica sul gornale non c'era, ed è invece qui, per va un copia-incolla non riflesso. ma nella versione originale, primordiale, in effetti c'era. ma regge benissimo senza.
ora, non ho le idee precise, e non so se voglio averle. con camus sento di andare comunque molto d'accordo. sono solo uno scrittote, non un ideologo. qui ho indossato il punto di vista - sicuramente fondato - di chi vede in berlusconi una continuità, con lo strappo delle regole (del consenso democristiano, ce oeraltro civilmene rimpiango) a scoperchiare gli altarini. parlando di umano, di esistenza e non di ideologia, io so, non perché c'ero ma lo so, che il gaullismo in francia, e il resto negli altri paesi, era ben lontano dalla libertà che rivendichiamo, e che le lotte dalla fine degli anni sessanta in poi nascevano da un disagio e una consapevolezza (un'utopia, anche) che occorrerebbe ripensare. mi è capitato di rileggere con ammirazione i testi di marcuse (ideologizzati in passato, cioè consumati, ma di enorme spessore e intelligenza propositiva). mi chiedo anche come mai gli amici francesi, quando si parla di berlusconi, mi dicono che in francia non è diverso, che sarkozy, pur non essendo miliardario, non è diverso (io lo trovo diversissimo). e quindi questa presunta diversità italiana, questo laboratorio italiano (come già nel secolo scorso) cosa significa? me lo chiedo. con disincanto, a volte, come in questo pezzo, in realtà un frammento di una cosa più lunga scritta quando aveva vinto prodi (e da capo di governo sembrava più un direttore di dipartimento del ministero della pubblica istruzione, quando a capacità di decisionale e orizzonti), poi fatta uscire in versione scarna il giorno della manifestazione viola... (il mio gusto di fare la Cassandra).
grazie della tua riflessione e della tua sollecitazione, davvero.
beppe

Anonimo ha detto...

Deliziosamente vero, e che dice teneramente, invece.
Non mi spaventa affatto si racconti questa semplice verità..che sia infinita, deriva poi dalla condivisione dei tanti: Tutto qui.
Bravo Beppe!
Maria Pia Quintavalla

Anonimo ha detto...

(è bello il tuo sguardo sintetico e intenso, cara maria pia) (b.)

Anonimo ha detto...

...a leggere ciò che ha scritto e anche i commenti a seguire (splendida la citazione di Camus, che non avevo letto. Grazie a Emanuele) mi vengono in mente alcune considerazioni...anche alla luce delle recenti cose successe.
Credo che la politica per poter veramente influire sulla felicità delle persone dovrebbe riappropriarsi di alcuni suoi caratteri fondanti: soprattutto essere dalla parte delle persone, prima che di se stessa come attualmente accade... E' vero, a volte usiamo noi stessi la politica come alibi per giustificare la nostra infelicità e magari desideriamo di essere altrove o di speriamo di avere capi di governo diversi, migliori... ma una nostra vera opposizione a tanto sfacelo e "schifo" è oggi possibile? Cercavo parole nuove a commento della manifestazione di sabato, ad esempio, che credo abbia dato un forte segnale di disgusto...ma nulla. Pare che nulla sia cambiato. Tutto tace e tutto è immoto, ovunque di qua e di là...
Caro Beppe, cosa possiamo fare noi persone comuni, per riconquistare qui e ora la nostra felicità e sopravvivere a tanto delirio? So che è una domanda retorica...
Federica

Beppe Sebaste ha detto...

cara federica, sono d'accordo con le tue considerazioni e le tue domande. la risposta è vivere, testimoniare. in fondo, il nuovo post è una quasi rispopsta ("retorica" come la domanda, ma non è un difetto, è solo l'apertura e il non occultamento di uno spazio...)