Anni fa sui muri delle case di Parigi si videro targhe celebrative che dicevano così (per esempio): Il 17 ottobre del 1977 / qui / non è successo / nulla. La prima reazione, oltre al sorriso, era dedurre che siano false, perché celebravano eventi inesistenti. Ma perché “false”, o allora perché “inesistenti”? Sono false secondo la deontologia celebrativa ufficiale, e sono forse false perché ovunque, in ogni palazzo, in ogni luogo, qualche evento è successo, ma non viene celebrato. Per darne notizia occorre raccontarlo, farne una “novella” (ossia “storia rimessa a nuovo”), ciò di cui erano maestri gli anonimi narratori medievali, o più recentemente il giocoso Georges Perec, geniale autore di Specie di spazi e di La vita: istruzioni per l’uso.
La rivista L’accalappiacani, animata dallo scrittore Paolo Nori & suoi amici, ha anche un sito. In esso c’è una rubrica che si chiama Radiogiornali liberi . E’ fatta di brevi storie, “novelle” che chiunque può inviare indicando luogo e data. Sono la giusta risposta a quelle (false) targhe. Per esempio: “A Bologna, in località Santaviola, alle ore 20,39 di martedì 29 luglio 2008, un uomo dall’età apparente di 45, o 46, o 47 anni, si è alzato dal tavolo del soggiorno, dov’era seduto, si è avvicinato alla radio, l’ha spenta e ha pensato: Non la riaccendo mai più”. “Alla biblioteca Sormani, intorno alle ore tredici (ora locale), una ragazza che voleva salire al secondo piano, ha preso l’ascensore e ha sentito dentro odor di cloro”. Oppure: “A Lucca hanno rubato dei salami”.
Sono tante, e gustose. In tempi di dibattito sul presunto ritorno alla realtà della letteratura narrativa, dove ci si scorda o si confonde che la realtà è un’invenzione del linguaggio, e che il linguaggio è parte integrante della cosiddetta realtà, occorrerebbe meditarci su.
11 commenti:
Zavattini contro De Martino; cronaca contro Storia. Quando lessi dell'iniziativa di Zavattini del '55, se non sbaglio, di fondare un giornale dove non vi sarebbero stati altro che fatti (denunce, incontri, "nulla") e subito dopo la risposta di De Martino circa il bisogno di mediare l'esperienza multiforme per la via di una coscienza che dispone parteggiai per De Martino. Se adesso ripenso alla dispersione di immagini di cui si perdono contorni e intenzioni, se penso che l'immagine é materna, che é un ricettaclo e non un dispersorio, e mi guardo in giro quando esco per strada, di nuovo do ragione a De Martino. Marco, da Parigi, appunto dove oggi sono successe tante ma tante di quelle cose che ci vuole un tu perché non diventino delle cose e basta.
Se mi consentite, con riferimento all'ultima frase dell'articolo, che mi trova completamente d'accordo, copio qui lacerti di una discussione che sto avendo via mail.
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[..] In Francia l'eco del dibattito sul New Italian Epic sta arrivando confusa, per via di vari "intorbidamenti" e veri e propri tentativi di contro-dibattito (ma pensa te che roba...). Si veda questo articolo:
http://www.magazine-litteraire.com/content/recherche/article?id=11631
Da cui sembra che il nuovo romanzo italiano possa riassumersi nell'uso politico della paraletteratura e soprattutto del giallo, ultima e aggiornata versione del romanzo-che-descrive-il-reale. Uff...
In buona sostanza, qualcuno ha provato a banalizzare il discorso, guardando a quanto succede con le lenti di un ritorno al realismo sociale d'antan e alla letteratura "impegnata" (impegno che sembra avere a che fare soprattutto con la
scelta dei contenuti e con un presunto modo "oggettivo" di trattarli). In questo quadro, la fine del postmodernismo avverebbe sotto l'egida di un salutare riaffermarsi del moderno [...], "Gomorra" sarebbe un reportage puro [...], l'io narrante di "Gomorra" corrisponderebbe sempre all'autore implicito che a sua volta corrisponderebbe in toto all'autore reale cioè a un Saviano eroico e onnipresente [...], finalmente c'è un ritorno alla realtà e all'impegno e via di questo passo. Anche chi non è d'accordo con quest'impostazione vi partecipa controbattendo sull'ontologia del realismo, cos'è il realismo, dov'è il realismo etc. e così si parla del sesso degli angeli [...]
Il risultato è che anche il memorandum [sul New Italian Epic] viene a volte descritto come un'apologia del ritorno al reale, all'impegno, e "New italian epic" diventa sinonimo di "neo-neo-realismo" (cioè la nebulosa viene fatta coincidere con una delle tante soluzioni espressive praticabili).
Questa descrizione è banale e prescinde quasi totalmente da quel che si scrive, perché lascia fuori tutto l'elemento allucinato, visionario, ucronico, "controfattuale", oltranzistico, *perturbante* tipico di molte delle opere che pure vengono nominate in queste oziose discussioni, in primis lo stesso
"Gomorra", che viene ridotto a una coraggiosa descrizione della camorra [...]
Sarebbe auspicabile non separare tra loro in modo rigido le questioni di fondo, e anche nel memorandum tento di distinguere senza contrapporre, in un
modo che spero produttivo. Credo esistano romanzi NIE che sono al contempo epici e realistici, perché sono due piani diversi (denotazione e connotazione) che possono convivere. Pure Fenoglio era sia epico sia realistico, per non dire di "Furore" di Steinbeck. L'importante è non avere un'idea asfittica e obsoleta della realtà. Il nostro reale è anche creato dal linguaggio e il linguaggio è parte del reale. Nel momento in cui racconto di una cosa che ho immaginato, quel mio raccontare è parte del reale. Il reale non è una dimensione oggettiva che necessita di un linguaggio mimeticamente vicino alla "cosa in sé". Il concetto di "reale testualizzato" ripreso da Dimitri [Chimenti] è molto adatto a far
capire questo.
Il problema è che l'idea asfittica di realtà descritta sopra è proprio quella su cui si basa questo dibattito avviato di recente. C'è da parte di alcuni la
tendenza a banalizzare, a ridurre la complessità e la ricchezza di quel che si scrive oggi in Italia, mediante formule che vengono proposte e dibattute nel vuoto, cioè basandosi non sulle opere, ma sulle *chiacchiere* che circondano le opere. Tutto quello che eccede, che potrebbe mettere in crisi lo schemino, viene ignorato.
[...]
Se ci fate caso, l'unica opera che viene continuamente menzionata è sempre e solo "Gomorra", di cui viene data una lettura frettolosa e davvero, davvero povera. Una lettura sociologizzante e cronachistica. Dove sono tutti gli altri libri scritti negli ultimi anni? Dov'è il "realismo" in Sappiano le mie parole di sangue? Dov'è il "realismo" in Dies irae, o nel Signor Figlio, o nei Viaggi
di Mel etc. etc.?
La confusione tra la discussione diffusa sul NIE e questo chiacchiericcio sul realismo mi pare foriera di equivoci madornali. Ad esempio, in alcuni
"riassuntini" apparsi dentro articoli-carrellata, l'assunzione di responsabilità etica su cui sto cercando di riflettere viene
equivocata come presa di posizione politica nell'accezione più bassa. Da qualche parte ho letto che il nocciolo della riflessione sul NIE (che, come sapete, è l'allegoria) è che "finalmente gli scrittori non hanno più paura di intervenire
politicamente e raccontare il marcio dell'Italia". Converrete che è una banalizzazione molto infeconda...
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WM1
la lettura del post di Wu Ming mi spinge a proporre un'opposizione non già tra realismo e perturbante, dove il primo sarebbe da intendere come una copia bella e buona del reale che non direbbe la sua allucinata deriva e il secondo con il tentativo di derivare la realtà dalle sue superposizioni (sopratutto inconscie), quanto tra una ipertrofia del reale, sia esso reale sia esso fittizio, e il bisogno di giocare al ribasso. Forse si dovrebbe ragionare sull'economia della prosa e contrapporla a quella della poesia. Allora si vedrebbe come La Bufera di Montale vale e un reportage di guerra e un romanzo storico sulla seconda guerra mondiale come, mettiamo, Kaputt di Malaparte visto che lo hanno appena ripubblicato in Francia. Cosa non dicono 10 pagine di Malaparte sulla morte dei cavalli in un lago ucraino che un verso di Montale non dica in molto meno ? Il problema é che non si può chiedere a nessuno scrittore di fare economie a meno che non lo si paghi a tanto al carattere. E ora che esiste questo luogo in cui si parla gratis, e per piacere (la letterature come puro piacere sembra di essere tornati ai tempi dell'Arcadia!) il gioco diventa infinito (senza la siepe ahinoi!). Forse in me parla il tribuno della plebe che vorrebbe la plebe tutta per se.
caro marco, e varo roberto (wm1), se avete ancora un po' di pazienza, metto a posto i miei appiunti sulla qwuestione (solo parzialmente usciti su l'Unità di sabato scorso) - sull'idiota dibattito a proposoito di frealismo n(nessuna parola è al suo posto, come la solito) e anche per dire, dopo tanto, la mia, sull'epica italiana (e non). grazie, a presto (sono appena tornato da cetona, bellissimo posto, con una bellissima piazza metafisica; ho fatto una lettura- poresentazione, ma ho anche visitato le grotte preistoriche...
beppe
(varo roberto voleva dire, ovvio, caro roberto)
allora aspettiamo. intanto qui a Pargi nevica davvero, altro che cavalli di Malaparte.
Ok, comunque, Marco, se hai letto nel mio taglia-e-cuci una proposta di dicotomia tra realismo e perturbante, allora mi sono spiegato male. Queste cose le ho sicuramente dette meglio nel memorandum sul NIE, versione 2.0. L'effetto perturbante di un testo letterario è legato alla connotazione, risultato di un lavoro sulla connotazione delle parole, sul *come* si scrive cosa. Anche la dimensione epica è il risultato di come connotiamo la narrazione, è una questione di "tono". Un'opera può essere al contempo perturbante ed epica sul piano della connotazione, e realistica sul piano della denotazione (per dirla in modo crudo: raccontare cose di cui si sa che accadono, cose che la maggioranza dei lettori percepisce come aderenti al reale).
"Epica" e "perturbante" sono un *di più*, sono le eccedenze rispetto ai significati basilari condivisi. "Moby Dick" è molto realistico nel descrivere la tecnica della caccia alla balena e la quotidianità della vita per mare, ma poi c'è l'eccedenza, troviamo il perturbante, l'allegorico, l'epico, e tutto questo fa sì che "Moby Dick" non sia *soltanto* un romanzo sulla caccia alla balena.
Purtroppo questi che cianciano di "ritorno al realismo" l'eccedenza la rimuovono, o comunque la sottovalutano, si concentrano su un'idea povera del reale, ad esempio non tengono conto che in letteratura il reale può inserirsi e innestarsi solamente in forma di testo. La letteratura "testualizza" il reale, anzi, il reale è già testualizzato di suo e la letteratura affronta questa testualizzazione. Invece a sentire certi discorsi pare che il reale sia "il vero", insieme di dati oggettivi indiscutibili che stanno "là fuori" e che la letteratura deve descrivere *tali e quali come sono*, con un linguaggio denotativo, "pane al pane e vino al vino". E' così che "Gomorra" diventa soltanto un reportage scritto in lingua letteraria sulla criminalità organizzata campana. Una riduzione di complessità che non ci fa capire niente.
WM1
Benissimo per la precisazione. Mi ritiro anch'io per scrivere qualcosa di meno impreciso. Intanto queste poche righe. "Col freddo i vecchi se ne vanno. Quagliano qui dicono. Quagliare vuol dire cagliare, l'inavvertito cagliare della vita, la morte che lentamente si coaugula nel corpo dell'uomo, si fa gelida forma. È un espressione che viene usata per coloro che giungono senza strazio alla morte, ma a me piace estrarne un senso pirandelliano e universale". Chi é ? E di quando sono quste parole ? Credo che tu intendessi questo per realismo del perturbante, tanto per chiudere perché mi aspetta un gruppo di cinque debuttanti a cui devo insegnare l'italiano, appunto. Grazie, e a presto. Marco
Sciascia.
caro beppe, complimenti, post molto interessante e pieno di spunti da sviluppare. solo un appunto circa la frase: "la prima impressione era dedurre che siano false", che io correggerei con "era dedurre che fossero false".
ciao sergio garufi
caro sergio, ci ho pensato assai anch'io. beppe
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