12/31/2008

"Io e mio padre". Incontro con Christian De Sica

(In attesa di metterlo nell'apposita sezione del mio sito, ecco l'incontro- intervista con Christian De Sica che appare oggi su l'Unità. E con questo, buon anno, buon passaggio 2008-2009 - soprattutto non cascateci dentro, nella fessura tra i due anni).

“Mio padre era comunista, e andava a dirigere Umberto D. col panama bianco come Puccini, le ghette e il principe di Galles. Aveva un enorme carisma, come quando a Napoli girando un film con la Loren e Mastroianni chiese silenzio col megafono alla folla vociante. Alla fine disse “Grazie”, e centinaia di voci risposero “Prego”. Un altro lo avrebbero preso a pernacchie, lui no. La gente sentiva che era uno in buona fede, una persona seria. La verità vince sempre. Ora siamo un popolo di rincoglioniti”.
“Cesare Zavattini è stato il mio padrino. Quando da ragazzo gli chiesi che libri leggere, mi disse: Il Capitale. Era il più grande sceneggiatore di cinema, e viveva in due camerette vicino alla Nomentana. Il 50% del denaro che guadagnava lo dava al Pci. Mi portò una volta a Luzzara a casa di Ligabue, i bambini uscivano dalla sua casa gridando: “Ha mangiato il topo!”, dentro c’era lui, aveva appena dipinto una delle sue famose motociclette rosse. A Parigi andavamo di notte con una lampadina a illuminare le vetrine delle librerie. Ma Zavattini si vergognava delle commesse, e mandò mia madre a comprargli una cravatta che gli piaceva. Era un uomo eccezionale, ogni volta che uscivo da casa sua pieno di entusiasmo”.
Sono seduto con Christian De Sica nella casa che fu già del padre Vittorio. Parla in modo così affettivo che viene il dubbio stia recitando. Ma importa? “L’attore è una puttana”, dirà lui stesso, soprattutto il comico. Resta che far stare in un articolo un’intervista a De Sica, e la lettura del suo libro di ricordi e aneddoti Figlio di papà, così ricco che ubriaca, è come per un cavallo pisciare in un bicchierino da liquore (questa è una citazione da Gadda, non da De Sica).
Christian parla di quando “la sinistra era meravigliosa: gli uomini di quell’epoca sono in estinzione. Gli italiani sono cambiati anche fisicamente, il nostro è ormai un paese cafone. Ricordo mio padre con la carrozzella comprare la treccia in via del Corso la domenica, e i fiori per mia madre, perché a quei tempi si offrivano i fiori alle donne. Ricordo Aldo Fabrizi esclamare: “Aho, è domenica, oggi c’è il pollo!” Pensa che ottimismo c’era nel nostro paese!”.
“Sono un uomo di sinistra. In un articolo su l’Espresso scrissero che la pubblicità era in genere di sinistra, tranne quella del vigile Persichetti interpretato da me, quella è di destra. Perché si tratta di un vigile urbano? Quanto ai soldi che fanno i “cinepanettoni”, sono quelli che permettono poi di fare film bellissimi come Gomorra. In Italia la sinistra ha il complesso del padreterno, è incapace di prendersi per il culo, e dimostra solo che siamo fragili. E’ un’Italia disastrata, infantile”.
Se i personaggi dei suoi film “di Natale” sono misogini, mascalzoni, puttanieri, un teatro di burattini che ricorda la galleria di italiani interpretati da Alberto Sordi (e su cui manca una vera analisi), confesso di essere stato spettatore ammirato del musical di Christian De Sica Parlami di me, omaggio al padre e agli autori del varietà italiano, come Garinei e Giovannini. Guardandolo pensavo al provincialismo italiano che ci porta ad applaudire i musical americani e a snobbare i nostri. “Quello spettacolo”, mi dice Christian, “aveva il santo protettore di papà che mi guardava dall’alto. Il momento più bello è quando mi siedo e parlo con lui. E’ lui mi ha insegnato il mestiere, e soprattutto ad amare le persone umili, la dignità della gente per bene”. Il figlio Brando, 25 anni, laurea in regia a Los Angeles, ne ha tratto un film, più fresco e stringato, e Rod Marshall, l’erede di Bob Fosse, autore di Chicago e ora di Nine, musical ispirato a Fellini, dopo averne visto uno spezzone voleva Christian nel cast con Nicole Kidman e Daniel Day Lewis. “Non ho potuto accettare perché le riprese coincidevano con Natale a Rio. Mi è rimasta la soddisfazione di essere chiamato da quel grande coreografo”.
Anche il libro Figlio di papà (Mondadori) è montato come un varietà. “Non è una sòla, il solito libro del comicone, non dice solo cose spiritose, ma alcune verità sul ‘come eravamo’. Gli amici che ascoltavano le mie storie a tavola dicevano: non ti rendi conto, sei una miniera, queste cose non le sa nessuno, devi scriverle. L’ho fatto. Sono stato figlio di un vecchio, nato nel 1901, perso a 23 anni, pensa quante cose potevo chiedergli e non ho fatto in tempo. Ma ho avuto la fortuna di avere un padre speciale che mi ha raccontato quello che un nonno avrebbe raccontato al nipote”.
Certi racconti sul padre hanno un valore esemplare. “La realtà è sempre più affascinante della menzogna. Fare film di fantascienza, parlare del passato o del futuro è più facile che raccontare il presente, la verità. Mio padre e i suoi amici erano bravi perché hanno sentito il bisogno di dire la verità. Nel libro - quando racconto del whisky con ghiaccio che mio padre beve mentre sta per morire, mi dice le bugie, ma fa capire la tristezza di lasciare i figli così giovani, poi aggiunge: “soprattutto guarda il culo di quell’infermiera” - io dico la verità, è andata proprio così. Era un attore comico, ha voluto darmi l’ultimo sorriso morendo. E’ una delle pagine più toccanti perché racconto la verità”. Il libro restituisce una memoria non solo individuale ma del Paese, estirpata da una certa tv. Christian dice con sua moglie Silvia che “il disastro in Italia è cominciato con una trasmissione che si chiamava Non è la Rai, dove le ragazze per la prima volta sbattevano le chiappe davanti alle telecamere per fare carriera. Oggi in Italia o diventi un calciatore, un cantante, un attore o un ballerino. Se non sei una di queste cose sei una merda, come diceva Andy Warhol. Nessuno vuol fare più il giornalista, il tabaccaio, l’avvocato, l’operaio. Ma dove vanno a ballare tutti questi ballerini, se in Italia si fa un musical ogni dieci anni?”
Dopo l’esordio a 18 anni con Rossellini in Blaise Pascal, il successo con Sapore di mare dei Vanzina, e 90 film (prima ancora del primo film natalizio), Christian De Sica è il numero 1 del cinema comico nazional-popolare, genere che nel libro analizza con disincanto. “Ho continuato a prendere la metropolitana, andare per strada, non rinchiudermi in questa casa scintillante che era di mio padre. Ricordo che Visconti disse a mio padre: ‘siamo vecchi, due grandi registi, ma tu Ladri di biciclette non lo puoi più fare, né io La terra trema, meglio fare film tratti da libri”. Lui fece Morte a Venezia, papà Il giardino dei Finzi Contini. Il presente, dicevano, non lo conosciamo più, perché non prendiamo più il tram”.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

mi piace molto laura p

Anonimo ha detto...

scusate "Il problema non è mentire, così come la soluzione non è la verità. Il problema è come ci si sente..." sono andata a prendere una citazione da te sulla tua home page, ci sono andata materialmente come si va di là. Ci vediamo domani laura

Anonimo ha detto...

grazie laura... b.