11/20/2008

Ritorno alle panchine

Su l'Unità di oggi c'è un bell'articolo di Luigi Ciotti (don Ciotti) dedicato alla socialità delle panchine: lui deve la propria formazione (o educazione sentimentale) a una panchina; ma anche il Gruppo Abele da lui fondato a Torino si riuniva su una panchina; e, tra l'altro, costruisce panchine. Lo accompagna un mio breve scritto (troppo breve, in effetti), il primo dopo l'uscita del mio libro Panchine. Lo propongo qui sotto (la fotografia riportata sopra, con lo sfondo del gazometro, è invece di Maria Andreozzi. A Roma, naturalmente).

Per rendere pubbliche le lettere, gli incontri, le testimonianze, le fotografie e i progetti di cui sono stato destinatario nei pochi mesi seguiti all'uscita del mio libro Panchine, occorrerebbe forse un altro libro. Il bel testo di don Ciotti – con cui, insieme allo scrittore Pino Roveredo, ho dialogato a Torino alla festa del libro “Portici di carta” - è uno di questi incontri.
Su Internet sono perfino sorti siti di immagini e gruppio di lettura dedicati alle panchine. L'adesione a questo “magico oggetto” (come ha scritto un giovane architetto, Mauro Tarsetti), alla “luminescenza dell'attesa”, a volte “rassegnata ma felice” (Roberto Carvelli, un lettore), della panchina, viene dal riconoscere in essa un pezzo vivo e pulsante della propria vita. Non c'è luogo, dai paesini della Valle d'Aosta a quelli del Salento, in cui parlare di panchine non mi abbia procurato scoperte, complicità, incontri – con artigiani, artisti, inventori di panchine, ma soprattutto persone che non sono disposte a perdere il proprio tempo di vita e lo spazio pubblico. Mi ha emozionato condividere con tanti qualcosa di così intimo e sociale insieme: stare seduti, guardare il mondo, pensare i fatti propri, leggere un libro, compiere quel lavoro invisibile che nessun emulo di Brunetta elargirà mai ai propri dipendenti. Come i due speciali lettori che ho incontrato al Festivaletteratura di Mantova, i ragazzi di Vicenza (li ricordate?) multati perché “sorpresi a leggere” un libro nel parco.
Le panchine sono un simbolo di libertà e gratuità che, come tante altre cose un tempo evidenti (perfino la scuola e l'educazione) rischiano l'estinzione in nome di un profitto a breve termine, o per l'ordine totalitario cui si vuole giungere dopo avere indotto paura e insicurezza. Nonostante la loro aura poetica, per molti le panchine sono il contrassegno degli indesiderabili e dei perdenti, e teatro di rappresaglie sociali. A parte quei sindaci che sconsideratamente sono disposti a sacrificarle nella loro guerra contro i poveri (poveri, oggi, si dice “extracomunitari”), penso alla panchina di Rimini pubblicata pochi giorni fa dai giornali (e forse oggi già dimenticata): vi dormiva un senza casa a cui è stato dato fuoco, per crudeltà o disprezzo, lo stesso giorno in cui il governo annunciava di voler schedare i senza tetto (e non per dar loro una casa, ma perché i poveri sono pericolosi).
Tra tutte le lettere che ho ricevuto, di una almeno vorrei rendere conto. Quella, drammatica, di Antonio, un ragazzo di Napoli che non sa conciliare la propria vita, fatta di “scambio di tempo col salario”, coll'umanistico lusso di sedersi su una panchina, e contemplare il mondo e se stessi. Parla delle soste di chi non ha il tempo di farle, perché “scrittore non è”.
Sul supplemento domenicale del giornale di Confindustria c'è una pagina dal titolo “Il tempo liberato”. Finisce così, in una vetrina del lusso, un programma di pensiero (non un'utopia) di quando la politica abbracciava davvero gli orizzonti di senso e di vita delle persone? Tra la deriva del senza casa e il presunto privilegio degli “scrittori”, le panchine ci ricordano che siamo tutti dei potenziali clandestini, degli esiliati, dei rifugiati politici.

8 commenti:

Anonimo ha detto...

Concordo: troppo breve. Su questi argomenti passerei ore a leggerti. Forse perché non si può fare a meno di sentirsi parte di una suggestione che fatico a localizzare: ma le panchine, sono un simbolo dell'immaginario, appartengono al mondo delle fiabe? O sono simbolo di un programma di vita che ci stanno togliendo da sotto il sedere? Lo so, sono entrambe le cose. Forse, le panchine, sono un esercizio d'equilibrio fra ciò che è e ciò che dovrebbe/potrebbe essere. La prossima volta voterò solo se trovo un Partito della Panchina. Rossana.

Anonimo ha detto...

heheh, bellissimo. grazie rossana. beppe

Anonimo ha detto...

caro beppe, a proposito del fatto che "per molti le panchine sono il contrassegno degli indesiderabili e dei perdenti", volevo segnalarti un episodio che mi ha riguardato. tempo fa, recandomi per lavoro da un artigiano in brianza, mi fu chiesto da quest'ultimo di tornare dopo una mezz'ora perché il suo lavoro non era ancora terminato. l'invito fu di andarmi a prendere un caffè al bar, ma sarà che non bevo caffè, e che vicino al laboratorio di questo artigiano c'era una scuola elementare, preferii aspettare seduto su una panchina di fronte alla scuola, guardando i ragazzini che giocavano a 1-2-3 stella e a nascondino. mi resi conto presto che ero l'unico maschio in età da lavoro seduto lì, sulle altre panchine infatti c'erano giovani madri con la carrozzina e qualche pensionato. gli sguardi nei miei confronti non erano benevoli, ero un forestiero la cui condizione anagrafica stonava in quel posto, avrei dovuto essere a lavorare, a correre, e insomma mi si guardava con sospetto, come se fossi uno spacciatore o chissà cosa. l'imbarazzo è stato tale che a un certo pnto mi sono alzato e me sono andato al bar prima del tempo. a tanto siamo arrivati, con questa mentalità pseudoproduttiva, da considerare un disvalore l'attesa e le pause. ma è così per tante cose. sei strano se fai il bagno anziché la doccia, oppure se leggi molto ti viene detto di partecipare a qualche quiz, così tutto quel sapere avrà una contropartita. quando penso a berlusconi che disse all'associazione dei commercianti che votare a sinistra era da coglioni perché significava non fare i propri interessi, io mi sento in un mondo rovesciato, dove i valori dominanti sono il contrario dei miei. gli amici più cari, le persone che stimo, hanno una cosa fondamentale in comune, sono persone disinteressate, ossia capaci di azioni e comportamenti privi di calcoli. ergo sono un coglione.

Anonimo ha detto...

caro anonimo, hai detto benissimo. ti è andata anche bene che n on ti hanno preso per un pedofilo (e forse sì, e equesto è un altro discorso). la parola "disinteressato" mi pare quella giusta: niente di più sospetto, di più anomalo, firse addirittura di più pericoloso. anche per ché quella parolina potrebbe scardinare tutto un sistema di incastri, di ruoli, di inter-esse, appunto, su cui si basa tutto l'andazzo del nostro mondo in questo momento... beppe

Anonimo ha detto...

non mi ero firmato prima, scusa.

ciao beppe
sergio garufi

Anonimo ha detto...

domanda:in genere di che legno son fatte le panchine? perché mi sono accorto che le panchine di una volta duravano di piú. Ora usano quel materiale che sembra uscito da ikea e alle prime piogge - magari son le piogge che son acide - il legno si corrode. in liguria, nell'entroterra, ci sono addirittura i cimiteri di panchine.
vai lí e guardi le panchine dove ti sedevi da ragazzo, leggi le incisioni, le albe lasciate da soldato in licenza. La liguria conserva, come i rovi liguri che conservano un territorio, una sorta di archeologia botanica.
marino

Anonimo ha detto...

molto intiresno, grazie

elisam ha detto...

l'ho ricevuto in regalo, l'ho realato a parecchie persone. è bellissimo, un modo meraviglioso di guardare il mondo. vorrei avere quegli occhi. la panchina del secondo capitolo la vedo tutti gli anni.
graz e.m.