In attesa di sapere, tra poche ore, se Roma, dove abito, sarà ancora - almeno - una "città aperta", o se sarà governata da un fascista (sono tra quelli che vedono ancora nettissima la differenza), vorrei, per così dire, distrarmi un po'. In realtà è il contrario - è quell'altra cosa la distrazione - e sulla "politica" nei giorni scorsi ho fatto un po' di ragionamenti dialogando con un'amica di lunga data, che ammiro molto e che si chiama Giulia Niccolai. E' una poetessa e una monaca (tibetana), e per sapere qualcosa di lei si può leggere questo pezzo trovato su Internet (che ne cita uno mio più vecchio). Uscirà sul prossimo Venerdì di Repubblica un'intervista che le ho fatto sul Tibet, sulla simbiosi di politica e compassione, che è già un bel paradosso. La anticipo qui, nella sua versione integrale:
“Mi chiedi: come può un buddista lottare? Non posso risponderti con una frase fatta, il discorso è troppo complesso. Come buddista, fin dall’inizio di questo cammino spirituale ho avuto la sensazione di nuotare controcorrente come un salmone. Già questo fatto potrebbe essere considerato di per sé ‘lotta’, ma la parola non sarebbe corretta per il Dharma (cioè gli insegnamenti). Poiché la prima fase del cammino è la ‘Rinuncia’, si rinuncia alle mete, agli scopi, alle ambizioni che si potevano avere in precedenza. Se effettivamente riesco a rinunciare a ogni cosa, non avrò più nemici, perché nessuno mi può impedire di raggiungere ciò che desidero (dato che non desidero più niente). Se non ho più nemici, non sto nemmeno più lottando”.
“Questo però non vuol dire che io non tenti di difendermi se qualcuno cerca di sopraffarmi. Prendi per esempio il Dalai Lama e il governo cinese. Sono anni che il Dalai Lama non pretende l'indipendenza del Tibet (ne chiede l'autonomia). Ma Pechino continua a dire che accetterà di discutere col Dalai Lama quando smetterà di chiedere l'indipendenza! E’ come se i due giocassero con un diverso mazzo di carte. L’uno pratica la buona fede, l'altro ne è talmente distante da non capire nemmeno le parole che il primo dice. E allora? Si potrà fare politica se anche gli altri praticano la meditazione e la compassione. Ma se gli altri hanno il solo scopo di fregarti, non sarà possibile. Tuttavia anche queste situazioni di stallo e di impossibilità danno i loro frutti. Per esempio, per la prima volta il Primo Ministro inglese è disposto ad accogliere il Dalai Lama. E per il resto ci vuole pazienza, una pazienza inimmaginabile, dato che la sua definizione è: ‘pensiero non turbato’”.
A parlare è Giulia Niccolai, poetessa italiana e monaca tibetana. Per molti fu la Gertrude Stein italiana (a cui peraltro lei ha dedicato un saggio). Perfettamente bilingue (con l’inglese), dotata di un fantastico umorismo, la poetessa Giulia Niccolai, già appartenente al Gruppo ’63 e direttrice per anni con Adriano Spatola della rivista “Tam Tam”, è autrice tra l’altro dei meravigliosi Fresbees (poesie da lanciare) e della celebre Harry’s Bar Ballad. Ascoltare i suoi reading era (è) un’esperienza entusiasmante, pari alla sua conversazione ricca e imprevedibile. Se la poetessa è nata a Milano nel 1934, la monaca è nata negli anni Ottanta. In un libro che fa il trait d’union con la sua vita precedente (Esoterico biliardo, edito da Archinto) racconta come la legge del karma, così simile a volte a quella del contrappasso di Dante, fece sì che un ictus le colpisse soprattutto la parola, da lei recuperata faticosamente nel corso degli anni. Fu questo evento a darle l’occasione della vita, quella di consacrarsi monaca, con anni di meditazione e di rinuncia trascorsi anche in un monastero buddista del Sud dell’India. Tutto questo lo racconta lei stessa con sincerità e grazia nel libro citato sopra. Due anni fa Giulia, già lontana dalle nevrosi del mondo culturale e forse dal mondo tout court, fu insignita al Quirinale dal presidente Ciampi del titolo di Grand’Ufficiale della Repubblica Italiana.
Giulia mi cita due articoli apparsi sulla stampa italiana, che rivelano alcuni retroscena sconvolgenti della protesta (e della repressione). Come il fatto, poi ampiamente confermato, che alle origini delle proteste violente ci fossero infiltrati cinesi, e che a fomentare la violenza sono i seguaci di un'altra guida spirituale, quella che Raimondo Bultrini ha descritto in un articolo su la Repubblica come “lo spirito diabolico alleato della Cina”. E' paragonabile al Voldemort di Harry Potter, ed è da sempre avverso al Dalai Lama.
“Da dieci anni il Dalai Lama rifiuta di impartire i suoi insegnamenti a chi segue quell'antico guru degenerato, Dorje Shugden, che invece gode della legittimazione del governo cinese. L’atteggiamento aggressivo di molti giovani monaci viene da qui – dice Giulia Niccolai - e questo spiega il fatto che il Dalai Lama non riesce più a controllare i monaci della terza generazione. E' particolarmente rattristante la minaccia, annunciata su un giornale, di futuri possibili kamikaze, seguaci del Dorje Shugden. Può infatti avere raggiunto monaci in Tibet, e i più giovani seguaci pensano che il pacifismo del Dalai Lama li abbia portati nel dimenticatoio del mondo. Il Dalai Lama ha cominciato col dire che devono smettere di praticare la rivolta: in una mappatura dei centri religiosi, quelli che seguono quello “spirito diabolico” hanno la dicitura ‘New Kadampa’.”
Chiedo a Giulia come viva la drammaticità della situazione presente.
“E’ chiaro che tutto si gioca tra l’adesso e le Olimpiadi. Il Dalai Lama è contrario al boicottaggio. E le notizie contraddittorie, non permettono di capire cosa succede. I Cinesi avevano detto a Bush che erano disposti a parlare col Dalai Lama. Che cosa è vero? Ci sono i simboli. La tv ha fatto vedere che il Dalai Lama è andato a pregare con gli induisti dove Gandhi è stato cremato: immagini che significano un invito alla pace. Chiede l’aiuto dell’Occidente, ai governi, perché facciano pressione sulla Cina. E’ stato importantissimo che Nancy Pelosi sia andata da Dalai Lama, anche se il suo gesto è stato poi contraddetto dalle dichiarazioni di Bush”. Nel frattempo anche l'inglese Brown e il francese Sarkozy hanno espresso proteste. “Ma la comunicazione col Tibet, prosegue Giulia Niccolai, è molto difficile o impossibile. Quello che succederà è un interrogativo tremendo, siamo in attesa, ci aspettano mesi di attesa e paura.”
Che cosa rispondi a chi cita l'arretratezza teocratica del Tibet, all'epoca dell'invasione cinese?
“Che sicuramente il Tibet era medievale: nel senso che non avevano nemmeno le ambasciate, nessuna sede diplomatica. Per questo quando la Cina li ha invasi nessuno ha fatto niente. La loro storia non sapevano farla sapere a nessuno, non avevano rapporti col mondo. E neanche adesso. E per quanto riguarda l’arretratezza, le carenze del Tibet sopravvivono anche in molte parti della Cina, dove tuttora non ci sono gabinetti privati, ma soltanto pubblici, e fai i tuoi escrementi in un buco dall’alto, in pubblico. Come in certe parti della Cina, in Tibet non c’erano strade, niente di niente, e una corriera potevi aspettarla anche tre giorni. Il fatto che il tempo era, è, una cosa incomprensibile. Per i buddisti questo nostro passaggio sulla Terra è un inconveniente doloroso. La vera natura della mente si ha quando non ha con sé il corpo. La vera natura è l’eternità.
“Il fatto che il Dalai Lama avesse un potere totale, religioso e politico, che fosse una dittatura totale, con lotte di potere interne di cui non ho idea, è vero. Non c’era elettricità. Ma anche nel cinese Li Thang, nella regione chiamata Kam, c'è una situazione simile, di un'epoca remota: un immenso altopiano in cui tutti sono nomadi e non è possibile coltivare niente a causa del forte vento e dell’altezza. Anche i monasteri sono nomadi, sotto le tende. I Cinesi vi hanno costruito una lunga fila di case per nomadi, in quella pianura pazzesca e ventosa, che sono ormai diroccate, e che nessuno ha mai voluto abitare. Ma vorrei dirti un'altra cosa sulla legge del karma e la Storia.” Quale?
“In breve, quando subisci un torto forse in qualche modo te lo meriti. Il Dalai Lama ha elaborato l'invasione cinese avvenuta nel 1959, quando il Tibet teneva per sé una religione che non condivideva col mondo. E' grazie all'invasione cinese che il buddismo tibetano si è globalizzato, che appartiene a tutta l'umanità. Io stessa non potrei essere monaca senza quell'evento”.
Torniamo al paradosso di una lotta che predica e comporta la compassione. Che cosa significa?
“Che cosa è la compassione? Una formuletta toglie le sfumature, quando tutto è fatto di sfumature. In sostanza, se qualcuno mi fa un torto, non reagisco ma questo perché ho perso ogni interesse a farlo, non sto mirando a qualcosa, non ho scopi da raggiungere, e da qui nasce la mia indifferenza (al torto subìto). Posso accusare la malevolenza di qualcuno, ma non avendo scopi da raggiungere, non mi muovo. Se una persona che considero disturbata mi fa richieste importune, io non do corda, come si dice.
“Quando a un certo momento avevano tutti le bandiere della pace alla finestra, all’inizio della guerra in Irak, io non l’ho messa. Era troppo facile esporla, quando la pace è una cosa talmente complessa e difficile. Mi sembrava un gesto troppo superficiale per qualcosa, come la pace, che si dovrebbe fare in ogni momento della giornata, in tutte le situazioni che viviamo, con tutte le persone che incontriamo. La pace è un esercizio di consapevolezza costante, molto faticoso. E’ faticoso farlo senza diventare contraddittori, compiaciuti di sé, esibizionisti. E’ una cosa difficilissima non avere pensieri malevoli, non avere amarezze, rancori, e, quando se ne ha, lasciarli dissolvere.
1 commento:
Come l'acqua quando hai davvero sete; e l'aria respirata senza paura e a pieni polmoni. Speriamo che l'apertura al dialogo fra Dalai Lama e Cina sia più di un bluff a scopo propagandistico, giusto per arrivare alle Olimpiadi con una promessa. Ogni giorno è un giorno buono per iniziare, speriamo...Dovrò conoscere meglio Giulia Niccolai, grazie.
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