6/03/2011

Il tono di Max Frisch


  [Oggi, mio compleanno, esce su Venerdì di Repubblica questo mio corsivo-recensione sul mio scrittore preferito]

   Come può un semplice quaderno di appunti, uno zibaldone, catturare il lettore con effetto quasi di suspense, o almeno di fascinazione? E' uno dei talenti di Max Frisch - tra i massimi scrittori del Novecento non solo di lingua tedesca, autore di romanzi come Homo faber, Stiller, Il mio nome sia Gantenbein - aver fatto del diario un genere di altissima intensità etica e letteraria. Eppure, in un'epoca in cui la pensosità sembra ai più sinonimo di tristezza, anche l’eretico Frisch, sperimentatore di forme e coscienza civile avversa a ogni ideologia, pare a sua volta dimenticato. Per chi invece lo conosce, leggerlo è un po’ come ascoltare Bob Dylan: la grana della voce, il suo tono inconfondibile, è ciò che riconosciamo prima ancora dei contenuti: notizie da un mondo vero che smascherano il nostro come un mondo finto.

   Ora Frammenti di un terzo diario (Casagrande) si aggiunge ai Diari della coscienza degli anni '60 e’70 pubblicati allora da Feltrinelli (è un segno dei tempi che questo editore non abbia siglato anche questo libro?). Risale ai primi anni '80, quelli dell'Urss, di Ronald Reagan e dell’incubo atomico, ma anticipa le nostre incrinature individuali e collettive con vertiginosa attualità. Parla dell’abitare (il suo nomadismo tra New York, che odia e ama, Zurigo e la casa nella campagna ticinese “dove fioriscono le magnolie”), dei dilaganti valori americani (la parola d’ordine è “Power”, ovvero “Liberty”, di cui “Money è il sinonimo con minori pretese” e “la guerra è continuazione degli affari con altri mezzi”); degli amori, come sempre (“Mi aggrappo alla vita? Mi aggrappo a una donna”); della sua narrativa così legata alla vita (“mi lascio guidare dalle esperienze che faccio. Però non riesco a risolverle in concetti, e per questo mi servo della narrazione”). C’è tutta la sua meravigliosa vulnerabilità, e quella sincerità assoluta che avvolge la sua avventura di scrivere di un pudico eroismo: “La vita come oasi – la morte come il deserto tutt’intorno – Cos’è che mi spinge a vederci chiaro?”
   Gli ultimi interventi “civili” di Frisch furono sulle leggi per il diritto d’asilo, la fuga e l'espatrio dei più giovani e creativi per esprimersi, e il corso politico del mondo che definì “rivolta dei ricchi contro i poveri”, denunciando il fallimento dell’Illuminismo e la riduzione della democrazia a folklore. Questo diario che ha la stessa età dei giovani scrittori che da noi scalpitano per ottenere visibilità, come se scrivere fosse una professione qualsiasi, risponde che il compito dello scrittore è viceversa essere opachi, irriducibili al commercio e alla banalizzazione del linguaggio come “comunicazione”. “Esiste oggi uno scrittore che creda che le sue opere verranno lette, che so, tra cent'anni? Scrivere è diventato una cosa diversa: un dialogo con i propri contemporanei. Niente di più. Il compito dello scrittore – comunicare ai propri nipoti qualcosa del proprio tempo – assomiglia sempre più a una mera illusione. Solo quarant’anni fa Brecht si rivolgeva ancora alle generazioni postume”.
(su Venerdì di Repubblica, pag. 126, 3 giugno 2011)

10 commenti:

Rossland ha detto...

Buon compleanno...

Anonimo ha detto...

grazie ross... un abbraccio...
beppe

rossana ha detto...

bon anniverserrrr...

Beppe Sebaste ha detto...

2 rossane con 1 solo colpo!
grazie ross, anzi mersì... a presto...

riccardo de gennaro ha detto...

quanto sono attuali le osservazioni di frisch! il che dimostra che proprio la forma diario (frequentata dai più grandi scrittori, penso anche a kafka, gombrowicz, canetti...) consente di parlare ai nipoti e ai nipoti dei nipoti. perché è protetta dal mercato, dalle mode, dai terribili editor (un diario, per la sua natura, non può essere stravolto o anche solo emendato nel contenuto e/o nello stile). amo i diari, gli epistolari, le autobiografie.

Anonimo ha detto...

mi associo riccardo, sai bene quanto ami i diare eccetera eccetera (e ho fatto un libro sulle lettere). contento di leggerti, ti pensavo. fatti sentire. beppe

Anonimo ha detto...

Tanti auguri Beppe! Volevo anche ricordare che "Il mio nome sia Gantenbein" era stato tradotto dal mio amico e maestro di giardini Ippolito Pizzetti. Ippolito aveva anche tradotto il Marat-Sade di Weiss e il "Vicario" di Hochhuth, che gli valse una clamorosa scomunica con tanto di bolla papale. Un grande bacio augurale Lucilla

Beppe Sebaste ha detto...

grazie lucilla. vero: e la sua traduzione è peraltro magnifica...

Anonimo ha detto...

Caro Beppe, per merito tuo ho comperato e letto "Frammenti di un terzo diario". E' il mio regalo per il tuo compeanno, ma è soprattutto il regalo che tu hai fatto a me (per il tuo compleanno) E' bellissimo! Non riesco a uscirne, non voglio uscirne. Il discorso sull'amore... il discorso sulla morte... la morte di Peter, così uguale a tutte e così diversa, ma non drammatica: è solo la morte. Insomma, questo vecchio signore è riuscito a deliziarmi. Andrò a comperare gli altri diari. Ciao Lucilla

Anonimo ha detto...

la letteratura diaristicsa è la mia preferita . Metto su tutti "le memories " di chateaubriand. Favoloso ?