5/11/2011

Gita in dirigibile ("a spasso per l'azzurrità")

    L'ombra del dirigibile (mercoledì mattina) sulla moschea. Fotografia di Mimmo Frassineti

Gita in dirigibile sul cielo di Roma ("a spasso per l'azzurrità" come un palloncino)

   Mentre mi dirigo all’Aeroporto dell’Urbe per fare un volo col dirigibile Goodyear, ormeggiato lì per un giorno, chissà perché mi viene in mente Franz Kafka e la sua cronaca dello spettacolo aeronautico che vide proprio un secolo fa (1909) nel cielo di Brescia: c’erano Giacomo Puccini e il vate D’Annunzio, che naturalmente declamò una poesia su Icaro al pubblico. Forse perché il dirigibile è in fondo un pallone gonfiato (di elio), e l’epica dei palloncini è imparentata dalla nascita con le avanguardie artistiche e letterarie, Duchamp compreso. E forse perché c’è qualcosa di irresistibilmente ludico nello spettacolo di un dirigibile, fin dai fratelli Montgolfier: chi non si è mai incantato a guardare, col famoso naso all’in su, la grande forma allungata Goodyear, che sembra fatta per essere vista, e che si sposta elegantemente nel cielo come un cigno seduto sull’aria? Piuttosto, si fa fatica ad immaginare che ci sia qualcuno lassù a guardare noi in basso. Ecco, io sarò tra breve una di quelle poche, invisibili persone (3 passeggeri più il pilota) sedute in una cabina di poco più di 2 metri, abbarbicata al pallone lungo 40 come una cozza a uno scoglio.
   Prima di salire, il nome di questo aerostato che da decenni sorvola l’Italia nel suo Safety Tour – “Spirit of Safety” – mi ricorda che oggi (ieri per chi legge) è il giorno in cui a Roma era stato fissato il più terribilmente mondano degli eventi: un terremoto. Sorrido all’idea che la casualità del destino mi abbia regalato un momento aereo di immunità. La giornata è splendida, l’aria tersa, e una volta a bordo – lasciate le funi che uomini vestiti di scuro tendevano per trattenere il pallone come una balena insabbiata sul campo d’erba - il dirigibile prende quota e in pochi secondi sono “a spasso per l’azzurrità”, come cantava Renato Rascel in “Dove vanno a finire i palloncini”.
   Sorvoliamo i tanti campi sportivi a ridosso della Salaria (che sembra una pista per automobiline), le morbide anse del Tevere, che dall’alto pare un canaletto in un plastico. Va veloce, il dirigibile. Per un attimo mi tolgo le cuffie di comunicazione e resto ipnotizzato dal rumore del vento. Voliamo perché siamo più leggeri dell’aria, mi dico riassumendo il miracolo fisico che ci tiene su. Poi, la fronte incollata al vetro, la terra che vedo giù, a picco, così lontana, e il vuoto da cui mi separa la parete sottile della cabina, mi fanno improvvisamente paura. Il fotografo che è con me sporge giustamente dal finestrino la macchina fotografica, e se c’è una vertigine che io provo è proprio quella degli oggetti che, incuranti, si affacciano sul vuoto... Per distrarmi mi guardo i piedi per un attimo, e quando li riapro già stiamo oltrepassando il parallelepipedo della Farnesina, lo stadio olimpico, i grandi petali o foglie che costituiscono l’Auditorium, e sono incantato dalla quantità di alberi che fanno di Roma una delle città più verdi d’Europa. E anche da una strana impressione: che quel disordine spesso insopportabile in cui ci appare Roma quando siamo per strada, dall’alto miracolosamente si ricomponga in un ordine dove tutto sembra al suo posto - le vie oblique, i palazzi di sbieco, i tanti spigoli architettonici, il traffico.
   Prendo confidenza con la volatilità e l’altezza: sorvoliamo il centro, vedo San Pietro che sembra fatto col Lego, il Panteon e la sua cupola che assomigliano a una pentola marocchina di terracotta col coperchio; Palazzo Chigi e Montecitorio con sul tetto una pista d’atterraggio per elicotteri, il Foro romano che sembra un tappeto di giochi lasciati lì dai bambini, la macchina da scrivere di Piazza Venezia, i ponti percorsi da automobili lente, le piazze; dall’altra parte, la lunga distesa di binari dietro la Stazione Termini che sembrano piste per biglie, la corona a forma d’ellisse del Colosseo cui affluiscono lunghe file di formiche-persone. Vista dall’azzurrità, la città è una distesa bianca e ocra come da nessun aereo è possibile vedere. E dove tutto in fondo risulta equivalente: l’altezza è una “livella”, direbbe Totò, che azzera le gerarchie; sia i palazzi del Potere che le magnificenze architettoniche non spiccano nell’insieme se non perché già li conosciamo, perché li riconosciamo. Sono gli spazi vuoti che interrompono il brulichio di palazzi che più consolano la vista: le piazze, i parchi, i Fori, e ancora i verdi campi da calcio e quelli da tennis, e, al ritorno, un circolo d’equitazione coi cavalli che trottano, il rassicurante e indolente corso del Tevere, la campagna.
   Il dirigibile scende in picchiata, punta il campo dorato d’erba tagliata dove volteggiano le rondini, e quando la ruota tocca la terra, e accorrono gli uomini vestiti di nero a tirare le funi per immobilizzarlo come un animale preistorico volante, mi accorgo dai loro gesti naturali e primitivi che è questo l’aspetto esteticamente più bello del volo, un’esperienza fisica e percettiva che nessuna astratta visione del mondo con Google Earth può uguagliare. Dall’automobile che mi riporta a casa, a un semaforo scorgo tra i tetti la sagoma del dirigibile. Io ero lassù, sorrido.
                                                                                                          (reportage scritto per la Repubblica di giovedì 12 maggio 2011)


4 commenti:

Anonimo ha detto...

caro beppe
all'ingresso di in un salone aeronautico c'era questa frase "prendete sempre l'aereo, ma avete mai volato?" tu l'hai fatto oggi, a me è capitato spesso nei trenta anni di professione aviatoria.
Il dirigibile come dici tu suscita subito un effetto ludico, il pericolo è quello di affezionarsi troppo e di non voler tornare più a terra, il barone rampante di calvino ne sa qualcosa.
Io sono stato testimone del terremoto dell'80 da un aereo, ero esattamente sulla verticale di napoli, sembravano i9 botti di piedigrotta invece erano le sottostazioni elettriche che saltavano. Ecco, la vita e la letteratura dipende molto dai punti di vista. Il tuo, lo sai già, mi piace e lo condivido, e ti ricordo quello che diceva leopardi: chi sa che l'aeronautica non debba un giorno sommamente influire sullo stato degli uomini? E da che cosa ella deriva? Dal caso.
Un abbraccio
sergio

rossana ha detto...

Una sensazione di leggerezza e libertà, leggere di questa tua gita "nell'azzurrità".
Bello anche il commento di Sergio, quasi una bandierina tibetana che svemtola in coda al dirigibile...

Giuseppe Delli Colli ha detto...

Complementi per il racconto che abbiamo potuto leggere oggi; immaginifico (a proposito del Vate), colorito e scorrevole

Anonimo ha detto...

grazie a voi e alle vostre parole...
(beppe)