4/10/2011

Precari di ieri e di oggi

   Abito vicino a una mensa dei poveri, dove la tragedia umana sono le vite già rotte a 50anni di chi fa la fila per entrare. «Il nostro tempo è adesso. La vita non aspetta», era lo slogan della manifestazione di ieri contro la precarietà, di cui propongo alcune varianti: il tempo non aspetta la vita è adesso; il nostro adesso è vita non aspetta tempo. La vera precarietà non è la perdita del senso (narrativo) dell'esistenza, la frantumazione dell'esperienza che rende impossibili la dedizione, l'impegno, una relazione duratura, di cui il lavoro è solo punta dell'iceberg? Mettiamo che l'Italia, liberata dall'attuale governo fascistissimo, raggiunga i civili standard europei del salario minimo garantito per i giovani disoccupati. Va bene così? Nella rappresentazione della precarietà manca l'aspetto più profondo: l'incapacità di immaginare la propria vita. Negli anni '70 i ragazzi non erano né più garantiti né più ricchi, se non di sogni. Andare all'estero, oggi additato come ripiego, era un'ambizione difficile e desiderata. Prima ancora Luciano Bianciardi, l'unico scrittore beat italiano, descriveva la «società del benessere» inizio anni '60: «La gente che corre, che si dibatte, che ti ignora, che deve arrivare», e che per di più «si sentono privilegiati (…). Sgobbano, corrono come allucinati dalla mattina alla sera per comprarsi quello che credono di desiderare...». Fu tra i primi precari intellettuali, i collaboratori esterni, lavoratori «cognitivi» occasionali, terziari, anzi «quartari», scriveva, «non strumenti di produzione, nemmeno cinghie di trasmissione... lubrificante, vaselina pura».
   Un'occasione per confrontare precarietà di ieri e di oggi è il libro (lo si presenta a Roma, Auditorium ore 18) Per amore o per odio (Manni editore) di Maria Jatosti, comunista non pentita e innamorata della vita, l'Anna dell'indimenticabile La vita agra di Bianciardi.


(rubrica "acchiappafantasmi", l'Unità del 10/4/2011)

1 commento:

Anonimo ha detto...

...una relazione duratura: già, nessuno è indenne dal virus.
condivido la tua scelta di scrivere con la testa voltata avanti. se lo facessero anche i dirigenti della "destra ipocrita" ne avremmo tutti da guadagnare
ma per loro i poeti e i filosofi sono soltanto un fastidio
un abbraccio
sergio