Che esistano sacralità laiche lo mostra già il silenzio che osserviamo al cospetto di realtà più grandi del nostro ego, fossero solo musei o biblioteche. La festa del Primo Maggio, vecchia di 150 anni, è una di esse, e prevede l’ovvia astensione dal lavoro. L’idea tanto più sciagurata quanto in apparenza “leggera” di tenere aperti i negozi in deroga alla festa (e far lavorare quindi i dipendenti, spesso precari, degli ipermercati), non ricorda solo l’archetipo della profanazione dei “mercanti nel tempio”, ma anche cosa unisca i tagli alla cultura e all’educazione, a tutto ciò che è “inutile” perché non comporta utili immediati, con l’infelicità cieca di un Paese i cui cittadini siano trasformati in consumatori e clienti: tristezza delle domeniche sui parcheggi asfaltati degli outlet. E non siamo più solo noi sfaccendati (da Petrarca in poi) a perorare il valore dell’ozio contro il neg-ozio; sono i maggiori economisti a usare tra gli indicatori di benessere di un Paese la quantità di tempo libero dei cittadini.
Su queste pagine ho tenuto per anni una rubrica, “I lunedì al sole”, omaggio al film spagnolo
Las lunes al sol. Racconta le giornate di neo-disoccupati che scoprono l’ozio forzato, ma anche la capacità di immaginare. Al sole anche di lunedì, magari su una panchina, la loro disperazione diventa tempo e spazio liberato, porto franco della verità e del linguaggio, dove ci si può confessare che “tutto quello che ci raccontavano del comunismo era una bugia, ma la cosa peggiore è che tutto quello che ci raccontavano del capitalismo era vero”. Il film dice il bisogno vitale di affermare idee, sogni, progetti di felicità non negoziabile, non in vendita. Riscrivere la favola della cicala e la formica. Chi ha più coraggio? Sono pari: è nella loro convivenza il segreto della buona politica. Il pane e le rose, si diceva una volta. Las lunes al sol.
(corsivo per l'Unità del 28 aprile 2011)
Nessun commento:
Posta un commento