Nel frattempo, qui da noi, in Tv un leader di destra e uno di sinistra hanno fatto l’elenco pericolosamente simile dei loro valori. Ma il vice di quello di sinistra, a Milano, si è dimesso perché alle primarie il popolo di sinistra ha preferito il candidato di sinistra. Il dimissionario del Pd è colui che anni fa invitò a sbarazzarsi della vocazione pedagogica del Pci per andare incontro alle aspettative della gente (stile Lega). Disastrosa stima degli orizzonti della “gente”, i cui valori sono sradicati, diserbati, da decenni di diseducazione televisiva, pubblicità che ha fagocitato la politica, vendita all’asta delle idee (le idee sottoposte ai sondaggi: se hanno successo si dichiarano, se no, no). La verità semplice che un partito di sinistra vince se è di sinistra (come uno di destra se è di destra), invece di dar gioia imbarazza. E mi dispera che non sia colta la vera differenza: che tutto è politica, il linguaggio, le battaglie culturali, l’educazione, il difendere le proprie scelte, il fare opposizione alla destra, non concorrenza: un diverso “social network”, ecco.
(rubrica acchiappafantasmi, su l'Unità di domenica 21 novembre 2010)
6 commenti:
Bellissime considerazioni, come sempre. Del resto che questo paese intenda i partiti come le "squadre del cuore" era già evidente ai tempi della Democrazia Cristiana, quando il partito si votava perchè era il partito e basta. Una cosa che ci caratterizza profondamente a noi italiani è la totale incapacità di affermare le proprie idee con coraggio. Se non trovo qualcuno che la pensa come me non dico nulla e se qualcuno non fa qualcosa io non faccio nulla. Affermiamo il nostro individualismo solo quando c'è da curare i nostri interessi più basilari e lo facciamo di nascosto e in maniera meschina. Con queste premesse era inevitabile finire così. Concordo con tv spazzatura e tutto il resto, ma il fatto che tutto questo abbia trovato terreno fertile, è colpa nostra.
caro beppe
che i due leaders si siano messi a fare le liste e che soprattutto fazio imposti la trasmissione sulla trovata delle liste mi irrita un po', e dovrebbe irritare anche te, visto che noi spesso affidiamo la nostra cifra poetica alle liste e ci piacciono tanto, ma solo le nostre eh.
insomma, sono disposto a sopportare fini e bersani soltanto se il loro versificare fosse un listare a lutto il governo.
parli come badi, direbbe totò
ciao
piumalarga
da terra borbonica
hai ragione. peraòtro, col titolo "parli come badi", inventato da compianto paolo bagni, feci innpropoito una serie di conversazioni di ecologia del linguaggio (alcune rinvenibili nel mio sito). un abbraccio,
beppe
Questo commento era nato proprio su Facebook, pubblicato sotto il link al post, e come tale aveva, credo comprensibilmente, un incipit più confidenziale. Pubblicandolo qui sembra prendere un'aria forse troppo arrogante, come se lo considerassi degno di qualche attenzione, quando in realtà credo sia soltanto un tentativo di interpretazione di quello che osserviamo, un tentativo perseguito provando a rovesciare le considerazioni che per tutta l'infanzia ho sentito accostare al sistema che mi è parso sotteso a tutto l'articolo di Beppe. Il sistema basato sulla concorrenza.
Nel commento su Facebook non avevo precisato che ho la tentazione di credere che i casi patologici cui Beppe fa riferimento siano stati parzialmente ingenerati (o perlomeno portati alla degenerazione funzionale al successo imprenditoriale) dallo stesso sistema della concorrenza. I loro successi sembrano far loro spiccare un balzo sopra i "concorrenti", ma solo apparentemente, perché hanno come esito il rafforzamento del sistema che li reinghiotte. È così che mi si è snodata e riannodata sotto gli occhi una concatenazione come quella che segue e che provo a proporre, di cui non posso dirmi completamente convinta, ma che mi permette una lettura di quello che vediamo capitare, e per questo soltanto mi sembra verosimile. Sarà così? Non ho risposte.
[segue]
La concorrenza porta all'omologazione, alla diffidenza (al disprezzo) per tutto ciò che non corrisponde allo stereotipo abbastanza da essere... concorrenziale.
La concorrenza inibisce il libero arbitrio e imbibisce di ansia da prestazione; inocula l'ossessione per il confronto con il simile e il rifiuto del confronto con il dissimile (per definizione non concorrenziale, quindi non contemplato, disprezzato e/o destabilizzante).
La concorrenza induce (così) anche al formalismo e all'ossessione per il "medium", trascurando il contenuto. Il contenuto è e resta a lungo lo stesso fino a dissolversi.
La concorrenza (di conseguenza) omologa anche la forma, fa perdere alla forma la sua funzione di "veicolo" appropriato, su misura per un contenuto. Se il contenuto è sempre lo stesso, la forma diventa una pelle separata (magari seduttiva), fino a che il contenuto si dissolve.
La concorrenza maschera (con quella pelle separata) la mancanza di innovazione e anzitutto di fantasia. Induce in un loop.
Nel sistema dominato dalla concorrenza non rimangono che delle forme, rese indegne di tale nome, ma più spesso mere apparenze (non veicolano altro che se stesse, dure e fragili copie di una memoria dispersa), sostenute da fragili superfetazioni, da restauri maldestri di restauri obsoleti...
Talvolta le mere apparenze vengono temporaneamente riempite d'altro, secondo l'utilità del momento.
Anche i social network sono grandi gusci luccicanti, in particolare Facebook sembra davvero replicare virtualmente una sorta di modello disfunzionale, ottenendo il risultato di diffonderlo come un virus in modo diretto e indiretto. Con l'aggravante che chi lo ha ideato ha proiettato fuori di sé la propria disfunzione, mentre gli utenti la introiettano dapprima passivamente per poi diventarne attori e diffusori attivi quanto inconsapevoli.
La concorrenza, in senso lato, sembra essere il motore più o meno esplicito sia dell'ideazione sia della fruizione di un social network: la concorrenza "epidermica", immediata che si instaura al suo interno, amplifica e universalizza trasversalmente le dinamiche di un sistema che già conoscevamo, rendendoci (per essere concorrenziali o forse "rincorrenziali") sempre più mirabilmente omologati, pessimi replicanti di noi stessi e infine di un modello unico: nella formidabile illusione di autopromuoverci, promuoviamo il modello unico a cui ci uniformiamo nello stordimento da "visibilità", nell'oblio di una scelta che non sappiamo più fare, o peggio... che se ancora sappiamo fare abbiamo paura di perseguire.
Accanto a tutto questo osserviamo la desertificazione della didattica, l'oblio della maieutica e lo spregio della faticosa conoscenza di sé... fino alla devastante contemplazione del paradosso rappresentato dalla compresenza di competenze inutilizzabili e incompetenti concorrenziali.
Ecco: cosa c'è di meglio per poi far passare in tv, in tempo di campagna elettorale, pubblicità di prodotti politicamente innocenti (qualcuno ancora crede che esistano?) in cui campeggia un bel «pensa di poter scegliere» (non è una battuta è successo giusto quest'anno).
Chiedo scusa anche questa volta per la lunghezza e ringrazio nuovamente Beppe.
PS
... Poi... ieri sera, dopo aver preso questi appunti ho aperto a caso Panchine e ho trovato il riferimento alla «vetrinizzazione sociale». E mi sono convinta a scrivere anche qui.
Ti ringrazio, Laura, per le tue parole dense, che ci fanno pensare. Grazie davvero.
(beppe)
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