(oggi su l'Unità la mia recensione, scritta molto frettolosamente, in viaggio, di The Dome di Stephen King, appena uscito anche in italiano da Sperling & Kupfer)
La situazione romanzesca, al limite del cliché fantascientifico, da cui prende le mosse The Dome, l’ultimo romanzo di Stephen King, richiama la celebre fulminante definizione di Ludwig Wittgenstein: “Filosofia è insegnare alla mosca a uscire dal bicchiere”. Sotto al “bicchiere”, una cupola trasparente e infrangibile (the Dome, appunto) di materiale ignoto, sorta improvvisamente un mattino d’estate terso e soleggiato, ci sono gli abitanti di una cittadina del Maine, Chester’s Mill. L’autore confessa di averne avuto l’idea nel 1976, ma di avervi rinunciato per incapacità dopo il primo capitolo – una formidabile descrizione narrativa al rallentatore degli effetti della cupola, come lo schianto contro il nulla trasparente di un aereo e la contemporanea decapitazione di una marmotta. Aggiunge di averne ripreso la scrittura solo nel 2007 - e il lettore non può evitare di pensare al film I Simpson, uscito quell’anno, che narra una storia simile, quella di un misterioso globo che isola e rinchiude la città. Ma questa idea, per quanto pazzesca o suggestiva, non è qui che il pretesto, la cornice. Il McGuffin, direbbe Hitchkock. Perché The Dome di Stephen King è uno dei più importanti romanzi etico-politici degli ultimi decenni.
Come in tutti i romanzi di King, qualunque grado di suspense e di horror si propongano di svolgere e comunicare, in The Dome è la descrizione corale e sociale della realtà ad avere il sopravvento, anche se è più estesa del solito la pluralità dei personaggi, un’intera comunità descritta con minuzioso realismo. La novità è che l’orrore che fa fatalmente irruzione è tutto umano e, inteso come genere narrativo, l’horror si conferma il più adatto a descrivere la realtà politica della nostra epoca.
La misteriosa cupola, il cui materiale si rivelerà di natura extraterrestre, è in grado di resistere perfino alle bombe atomiche e ai più sofisticati acidi corrosivi della tecnologia americana. Divide un fuori e un dentro, anche se nei pressi della parete trasparente le persone possono ancora comunicare a voce. Il mondo di fuori continua la vita di sempre, con le regole e i rituali della democrazia, dello scambio, della circolazione di notizie, del controllo reciproco dei poteri. Il mondo dentro (o meglio sotto) la cupola perde invece in pochi giorni i propri connotati. Il ricco e corrotto consigliere comunale detto Big Jim, già divorato da smodate ambizioni di potere personale, occulto fabbricante e spacciatore di metanfetamina, vede nella cupola la formidabile occasione per mettersi da una parte al riparo di imminenti guai giudiziari, dall’altra per rafforzare smisuratamente il proprio potere. Il romanzo descrive così in modo quasi didascalico e impietoso la formazione di una dittatura nelle sue varie tappe: grazie all’isolamento, certo (le comunicazioni col mondo esterno sono cessate), alternando paura e protezione, simpatia e violenza, e mettendo in atto ogni manipolazione e falsificazione della verità. Apologo iperreale, la storia assume a tratti una valenza quasi documentaria. C’è l’invenzione del nemico e del capro espiatorio (le solite Cassandre, o “comunisti”); ci sono le tecniche di fabbricazione del consenso, in accordo col rappresentante locale del fondamentalismo religioso; ci sono le “ronde” e le squadracce fasciste, e provocazioni di ogni tipo per rafforzare e legittimare il potere e l’eliminazione delle libertà; c’è naturalmente la chiusura dell’unico giornale, e infine quella dei negozi, perché anche il razionamento del cibo (come della luce elettrica) serve al controllo della popolazione. Ogni tessuto connettivo democratico salta e, tassello dopo tassello si compie l’assoggettamento della città al potere del Capo, fino al delirio di contrapporsi al resto del mondo, per esempio contro quel comunista del nuovo presidente (l’allusione è a Obama). Naturalmente, “Dio” è dalla parte di questo potere.
Intanto la cupola trasparente diventa sempre più opaca, l’inquinamento atmosferico all’interno raggiunge tassi allarmanti, la stessa luce del sole è filtrata da nuvole di smog, e i colori e le forme di ciò che prima era naturale sfumano in una terra desolata, un’alienazione priva di vita. Niente di tutto questo importa al consigliere comunale detto Big Jim, per il quale la fine del mondo come tutte le chiacchiere ecologiche è una favole buonista messa in circolazione da comunisti e froci.
Naturalmente, come in ogni romanzo di Stephen King, al Male si contrappone il Bene, incarnato solitamente da un’umanità eterogenea, spesso disabile o fricchettona (né mancano mai i bambini), alla cui lotta “partigiana” si aggiunge la ricerca di una soluzione al mistero della Cupola. Il tono e l’orizzonte etico-narrativo ricordano qui i romanzi di Philip K. Dick, soprattutto per due formidabili spunti. Il primo è l’idea della paranoia come resistenza, ovvero che “se la realtà è un gigantesco complotto, la paranoia è il modo migliore per raggiungere la verità”. Il secondo, più teologico-trascendentale, di una teologia ludica e per nulla rassicurante, è l’idea che l’immensa cupola di materiale non identificato sia il gioco di un bambino alieno che guarda alla Terra come un bambino umano guarderebbe a un formicaio: e che smette di uccidere le formiche solo se una comunicazione ineffabile, un sentire, affiora al suo cuore (o alla sua mente) fino a farlo desistere da quel gioco crudele. La speculazione sull’istinto al bene raggiungerebbe qui finezze filosofiche cui King si limita ad alludere poeticamente. C’è un terzo elemento che ricorda Dick, ma che a ben vedere ricorda anche molto, e intimamente, Stephen King: la potenza, distruttiva o edificante a seconda dell’uso, delle droghe. Ma questo lo scoprirà meglio il lettore.
4 commenti:
non ho letto il libro ma il soggetto mi ricorda "la parete" di marlen haushofer, che secondo me è un capolavoro misconosciuto. l'hai letto?
ciao ciao
luigi
no, non l'ho letto. grazie del suggerimento. b.
proprio poco fa ho risentito (ieri in treno e oggi con mia moglie) la vostra conversazione su the dome, registrata su rai3
già il pedagogista antonio faeti aveva compreso che stephen king parla di pedagogia, di età adulta, di destino, di storia presente
e tiziano sclavi (forse con esagerazione) dice che king è il dante alighieri del nostro tempo
complimenti per il tuo lavoro culturale
la felice coincidenza della registrazione e dei nazione indiana (ti ho intercettatlo lì) mi consentirà di rintracciarti
buoni giorni
Se però evitavi di scrivere che la cupola è di origine extraterrestre era meglio...
Dario
Posta un commento