Sono sull’autobus, guardo la città dal finestrino: le strade, i negozi, i bar, il solito traffico di auto. E’ quasi ora di pranzo, la gente si accalca per tornare a casa, donne e studenti soprattutto. Io sono un ricercato, terrorista in clandestinità, uno di quelli che per rapire il presidente della Democrazia Cristiana ha sparato e ucciso cinque persone della scorta. Vado in via Montalcini, strada di una periferia residenziale. Lì, al piano rialzato di una palazzina di tre piani, teniamo prigioniero in un bugigattolo Aldo Moro. Tutti parlano di noi, le Brigate Rosse, anche sull’autobus. Come mi sento? E che cos’è la gente per me, le persone comuni che ho a fianco? Non è facile essere uno di loro, vestirsi con anonima cura, né troppo dimesso né elegante. Specchio la mia riuscita nell’indifferenza degli altri. Ma mi accorgo dei confini tra quello che recito e quello che sono divenuto? [continua a leggere].
Quello sopra è l'inizio della versione "reportage" di un mio articolo apparso ieri su la Repubblica, sul paradosso dell'equazione BR=fantasmi. Qualche giorno fa su Venerdì è uscito invece un mio articolo su Bruno Munari, di cui evoco l'incontro a dieci anni dalla scomparsa (e la mostra che è in corso a Parma). Sempre venerdì ho avuto piacere a presentare a Roma il bel libro di Brunella Antomarini, Pensare con l'errore. Il bersaglio mobile della conoscenza, con Giacomo Marramao, Domenico Parisi e Franco Voltaggio (io mi sentivo un pesce fuor d'acqua, tutto sbagliato, ma per un libro sugli errori, mi hanno detto, che io fossi tutto sbagliato era molto chic). Un libro sulla conoscenza come bersaglio, che si stupisce dell'indovinare giusto e non degli errori, oltre che dire la verità è nella propria ombra, non è così distante da mio pensare col fantasma di cui ho scritto spesso, no? (posterò il pezzo che ho scritto sul libro di Brunella).
7 commenti:
Caro Beppe, stimolata dal tuo articolo di ieri, hai aperto il varco tra normalità e fantasmi, mi viene voglia di dirti delle cose. Rispetto al concetto di normalità e anonimato, lo scomparire, cosa ci coinvolge in questi anni, io che mi occupo di dove non ci sono “le cose” - quelle cose che anche oggi non si vedono: non si vede la mafia, né il bullismo, né la pedofilia, non si vede la fame, né la povertà, tutto rientra nel sentire, sentire presenza. Mi occupo della sedimentazione di queste presenze. La cosa che scandalizza delle mense della caritas non è che ci vadano i poveri ma i normali, quelli insospettabili, oppure i delitti, quando vengono compiuti da persone normali, quasi come se ciò mini alla base le certezze di quella normalità concetto vaghissimo, a cui noi ci ribelliamo e sappiamo cosa non ci interessa di questo. Quei normali che hanno combattuto durante il nazi-fascismo. Quegli insospettabili che continuano a combattere perché nessuno li ostacola non ritenendoli pericolosi, nella loro assenza.
Come è possibile che oggi il concetto di normalità, non poi così rassicurante, offra ancora una garanzia da curriculum generico, perché non è vissuto con sospetto, data l’esperienza? Perché chi difende la famiglia, convive con i fantasmi, le puttane, la coca senza dare un impressione da mostro, ma soltanto la sensazione che la sua è una debolezza, un po’ come sono stati visti i brigatisti da sinistra; cioè la sensazione che io ho è sempre quella di un moralismo di fondo che rifiuta democraticamente come loro hanno agito, ma dall’altro canto li considera come dei fratelli un po’ scemi che non hanno capito qualcosa. In fondo però hanno fatto cose e volevano cose che avevano qualcosa in comune con la rivoluzione. Di cui i veri normali di allora, quelli con l’eskimo e le clark, parlavano, agivano nelle piazze, da pavidi, i figlioli della piccola borghesia normale. Diventano yuppie nella seconda metà degli anni ottanta, erano gli stessi? Oppure no, forse erano altri normali, oppure silenziosamente riescono a lottare, in quegli anni strani. Conosco qualcuno che silenziosamente aiuta a fare le televisioni di quartiere, solo perché lo ritiene giusto, collaborando contemporaneamente alla nostra vita e alla nostra morte. In fondo quella macchina infernale che è stato il nazismo possibile che abbia avuto chi lavorava contemporaneamente pro e contro. Non era per dei piccoli interessi personali? Quale aspetto squallido di noi agisce per i bassi istinti e quale per gli alti ideali. Mi posso domandare come si fa ad uscire di casa la mattina per sparare a qualcuno e contemporaneamente timbrare un cartellino il giorno dopo, se non ci fosse stata questa normalità garante, non ci sarebbero stati un sacco di orrori, la normalità non è mai una, si muove si sposta, quale lavoro è normale, quale famiglia è normale, quale parametro utilizzare, quello con cui si sceglie il presidente della repubblica? Qualcuno moralmente a posto, sopra le parti, anche se deve venire da qualche parte. La neutralità è il parametro principe con cui qualcosa è giudicato normale, abbiamo assistito alla commuovente dichiarazione di D’Alema che tanto tempo fa parlava di un “Paese Normale”. Lui intendeva: mafia, corruzione ecc. ma noi sappiamo che anche gli altri paesi non è che sono tanto normali fanno solo finta di esserlo. Sono normali quelli che non hanno mai tradito la moglie, sono normali quelli che non bevono, non si drogano, non fumano, non stanno male, non usano prodotti biologici, non parcheggiano nei posti per invalidi, non fanno la differenziata, non fanno abusi edilizi, non vanno al cinema, non vanno a teatro, quelli che hanno una vita piatta tutta dedita al lavoro, fanno un lavoro dignitoso, quelli che hanno un lavoro, non si occupano di politica, leggono il giornale senza farsi un’idea, consumano, non giocano, non godono, non esagerano su niente, non vedono, non sentono, non toccano, non giudicano, vanno in autobus ma anche in macchina, meglio in macchina. Non osano.
Laura Palmieri
P.S. Questo commento l'ho scritto lunedì, doveva essere una lettera e lo ieri a cui fa riferimento era il tuo articolo di domenica su la Repubblica, ma anche le nostre chiacchiere a cena a Trastevere... ciao,
Laura P.
prima di tutto grazie, laura, della tua lettera commento [Laura Palmieri è un'artista di roma che amo e stimo molto, N.d.R.). pensa che proprio ieri, o lunedì, un amico fotografo, gianni leone (bari) che ha letto il mio pezzo, mi chiama per parlarmi delle stesse cose, e cioè del baratro apparentemente innocuo in cui stiamo tutti scivolando, e mi cita Veltroni, che pare abbia detto che vuole un'italia "semplice semplice semplice". e aggiunge: dal paese normale di d'alema a quello di veltroni. subito dopo leggo su carmilla un'anticipazione di un intervento di Wu Ming 2 come editoriale di Giap (http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/giap21), "contro il paese semplice", che parla proprio di queste cose...
E' bello quando si vede che stiamo pensando le sgtesse cose, un tessuto connettivo di idee (quindi di resistenze in atto) esiste e resiste...
La cosa strana è che io non vedevbo i nessi tra il mio pezzo sui brigatisti che giovano ai fantasmi (pessimi artisti e pessimi attori) e questo tema: ma l'ho pensato DOMENICA andando al mare con gli amici, noin guiidandfo ma perdendomi nel paesaggio, e ascoltando rino gaetano sullo stereo della macchina degli amici e commuovendomi, confesso, alle asperità disgraziate e disperate di "Mio fatello è figlio unico", nella sua voce aspra e disgraziata, e pensando: dio mio (oppure: cazzo), ma tutto questo lo stiamo liquidando, questo irriducibile (questo non semplice), qui bisogna dire e scrivere qualcosa (e stavo formulando un opensiero-racconto che ora devo, difficilmente ma ci riuscirò, a riformulare - trovare le parole di quella sensazione fortissima e anche dolorosa che ho sentito - in macchina, verso il mare di ostia.
caro beppe avrei voluto scrivere di più e meglio ma poi ho pensato che non è giusto essere sempre bravi e buoni, meglio grazie laura palmieri
good start
good start
Si, probabilmente lo e
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