3/05/2008

Etica della prosa (sulla responsabilità dello stile)

(Non è che mi piaccia scrivere così spesso sul blog, senza far decantare le parole come il caffè turco, pero capitano delle cose in questo periodo, che mi suscitano pensieri o interventi, anche solo ricettivi... Beh insomma, incollo di seguito un intervento frettoloso che ho scritto ieri (appare oggi su l'Unità) per supplire la mia assenza a un seminario organizzato presso la casa editrice Laterza, a Roma, dove si discute di responsabilità e di stile a partire da uno scritto di Antonio Pascale ("Il responsabile dello stile", uscito in un libro di minimum fax, Il corpo e il sangue d'Italia, a cura di Ch. Raimo). Il testo di Pascale cita vari esempi di ambiguità nella rappresentazione del dolore e della miseria umana, contro la retorica e l'estetizzazione della sofferenza, ma non solo. Il mio, brevissimo, eccolo qui.)

Un anno fa, mentre collaboravo con l'artista Christian Boltanski alla progettazione e realizzazione del Museo per la memoria di Ustica a Bologna, facemmo visita al deposito in cui dentro a scatole di cartone si conservavano gli oggetti, sommersi e salvati, appartenuti ai passeggeri del Dc9. Boltanski e io, turbati, le chiudemmo subito: troppa vita, e troppo nuda; troppa sensibilità in quegli oggetti che occorreva sottrarre allo sguardo, non confondere con la profanazione della finzione e dell’arte. Poi tutto si è precisato: gli oggetti appartenuti ai passeggeri del Dc9, che il museo conserva, sono riposti in scatole nere di diverse grandezze che costeggiano il relitto dell'aereo. Li abbiamo inventariati in un libro, con fotografie piccole, un po' sfuocate e in bianco e nero, precedute da un mio testo in forma quasi di elenco - poiché elencare significa anche accusare, e anche una litania e un rosario sono elenchi. I visitatori ascoltano, sulla balaustra che gira intorno al relitto, mentre si riflettono in specchi anneriti., voci che sussurrano pensieri ordinari e banali di viaggiatori comuni, fantasmi come tutti noi, su un aereo estivo in volo da Bologna a Palermo. Parole universali come i volti del prossimo, come le foto degli oggetti – vestiti, pinne, oggetti da bagno, borsette - ignoti e famigliari.
Ho citato questo aneddoto per riprendere il tema trattato da Antonio Pascale nel suo Il responsabile dello stile (minimum fax), testo che sarà discusso oggi in un seminario collettivo a Roma, presso la casa editrice Laterza. In breve, Pascale prende le distanze, giustamente, da una parte dall'estetizzazione del dolore (nel suo senso più ampio), dall'altra dalla retorica di chi, per mimesi o malafede, cade nella rete di ciò che vuole denunciare (come un linguaggio mafioso o allusivo per disapprovare la camorra). Oggi la tradizione occidentale – il cui realismo nelle arti e nella letteratura, ci ricordava Auerbach, fu inaugurato dall'inaudita rappresentazione del dolore e del corpo della Passione di Cristo – sembra essersi impantanata in quello spettacolo neutro e anestetizzante della realtà che è la televisione. Letteralmente, essa fa vedere tutto (e contemporaneamente) da lontano, come se scorresse su un nastro scorrevole. E' ovvio che l'anestesia che produce è anche un ottundimento morale. Qualcuno ha ribadito contro Pascale che l'estetica è insopprimibile da una narrazione. Ma l'estetizzazione – che sta all'estetica (cioè la capacità di sentire) come la politica-spettacolo sta all'esercizio della cittadinanza (l'antica politéia) – è tutt'uno con questa anestesia. Come esempio recente di estetizzazione (e di ottundimento morale), cito la differenza tra Romanzo criminale (ottimo romanzo balzacchiano e duro di Giancarlo De Cataldo) e il film omonimo, dove gli stessi personaggi, banditi sanguinari e cocainomani della Magliana, sono belli come eroi cari agli Dei (che li fa morire giovani).
Un evento tutto sommato recente, Auschwitz, che ripudia i commenti ma non le descrizioni, impone da qualche decennio di risvegliare la nostra attenzione allo stile etico di immagini e parole. Da “evento senza testimoni”, il lessico paradossale si è arricchito di formule come “rappresentazione impossibile” (Joseph Beuys), e “immagini malgrado tutto” (Georges Didi-Hubermann). Auschwitz (nome proprio per dire ogni sterminio programmato) fu una esecuzione, nei due sensi della parola, della rappresentazione. Il film Shoah di Claude Lanzmann, nove ore di testimonianze e di primi piani, è diverso di natura da ogni rappresentazione (e da ogni film di Steven Spielberg). Insegna che non tutte le immagini sono lecite, ma solo quelle che fanno identificare nei testimoni (NON nelle vittime o nei carnefici). Riflette sull'atto di testimoniare mentre offre testimonianze. Problematizza l'enunciazione mentre predica enunciati. E' la definizione migliore di responsabilità dello stile.
Oggi nelle arti, nel cinema, nella letteratura, nozioni come testimonianza, documento, archivio, ecc. sono non solo centrali, ma foriere di un rinnovamento dei generi e delle forme. La loro riuscita sta nell'armonizzare storia e memoria, eventi e empatia personale, e la loro soggettività è condizione della loro universalità. Non ci sono facili ricette, né morali né stilistiche, per una tale riuscita. Eppure anni fa riportai in un mio libro sui maestri il "decalogo per un corso scolastico di scrittura creativa" di Giorgio Messori, scrittore appartato e insegnante di lettere alle superiori. Il punto 2 diceva: “Non farti mai condizionare dai sensi di colpa o da ipotetiche minacce di ritorsione”. Il punto 4: “Cerca di essere sincero e preciso”. E il 5: “Non essere mai astratto, scrivi sempre di cose concrete, vere, che ti sono vicine. È più interessante scrivere di una pozzanghera o di ciò che vedi in una passeggiata sotto il sole che non della minaccia nucleare che incombe sul mondo. Tra l'altro fai un miglior servizio alla causa contro il pericolo nucleare scrivendo di cose molto concrete che non ripetendo frasi rimasticate in discorsi fatti da altri”. Penso ancora oggi che questi consigli non siano utili solo per gli allievi delle scuole medie, ma per tutti noi.

7 commenti:

Anonimo ha detto...

Guarda caso, qualche giorno fa ho visto il film "La querra di Charly Wilson" dove il problema dello stile fa riemergere con evidenza la retorica di chi cade nella rete di chi vuole denunciare (né in malafede né in buonafede ma spesso nei casi che hai citato, solo per incapacità). Nei film di propaganda politica questo accade in malafede : è prassi tentare di appropriarsi di argomenti altrui, con cambio di codici, di stile, di immagini, al fine di “rimescolare le carte”, confondere la storia, le origini di un problema, infine appropriarsene e rivendicarne soluzioni. In una parola: mistificazione.
In quel film Tom Hanks si cala nel ruolo di un deputato dai facili costumi che negli anni '80 ha finanziato l'invio di armi ai mujahidin, per respingere l'invasione sovietica dell'Aghanistan. Amante di donne, alcol e cocaina, Wilson riuscì attraverso un'improbabile alleanza tra il Mossad israeliano, l'Egitto e il Pakistan a far avere alla ‘resistenza afgana’ ciò di cui aveva più bisogno: armi e bazooka per abbattere gli elicotteri russi, spesso avvalendosi di una ‘politica’ e di una ‘comunicazione’ comprendente di “guerra santa” e quindi, chiara da capirsi ai mujahidin.
Il regista ha la preoccupazione che lo spettatore non afferri da solo certe evidenze, finendo per smussare la carica satirica mentre di quella drammatica relativa ai fatti che ne seguirono, non ve ne è traccia.
Si impantana invece in un'elegia umanitaria un po' ‘ottusa’ nei confronti del deputato, trasformato in una nuova sorta di eroe guerrafondaio, abbandonato dal Congresso quando chiede i fondi per la ricostruzione postbellica. Fascismo o incapacità dell'autore?
Una percezione che ho avuto in sala e che mi ha rovinato la serata. Un film distribuito nelle sale, a causa delle elezioni negli States o per questioni di geopolitica che francamente non mi interessava sapere a pagamento. E al pubblico ignaro? E a quello incosciente?
Ringraziandoti per lo spazio concessomi, credo che lo stile non si possa analizzare senza l’autore, il suo vivere, che in questo film era assolutamente rimosso.
Tutte le scoperte della psicologia ce lo confermano: i tuoi consigli sono ottimi anche per questo.

Anonimo ha detto...

Scusa per la lunghezza: il commento è di Davide Tedeschini,
un saluto

Anonimo ha detto...

non ho visto il film di cui parli, e questo proprio perché, ti confesso, avevo sospettato di poter provare un disagio come quello che descrivi (ma anche perché c'è di meglio da vedere, dal Petroliere al film dei fratelli Coen da romanzo di Mc Carthy, dove stile e contenuto coincidono). grazie, un caro saluto, beppe

Anonimo ha detto...

Ciao Beppe, le tue parole mi hanno fatto ricordare un libro bellissimo che molti pensano sia solo una favola per bambini: La storia infinita di Michael Ende.
Mi spaventa l'idea che nessuno riesca a sconfiggere il "Nulla" e, soprattutto, che nessuno si accorga che sta invadendoci.
Dopo questa mini riflessione amara, baci dalla tua sempre più pessimista Ilaria.

P.S.
Forse ci vuole un orzo e una seduta di riflessione

Anonimo ha detto...

Ciao Beppe, le tue parole mi hanno fatto ricordare un libro bellissimo che molti pensano sia solo una favola per bambini: La storia infinita di Michael Ende.
Mi spaventa l'idea che nessuno riesca a sconfiggere il "Nulla" e, soprattutto, che nessuno si accorga che sta invadendoci.
Dopo questa mini riflessione amara, baci dalla tua sempre più pessimista Ilaria.

P.S.
Forse ci vuole un orzo e una seduta di riflessione

Anonimo ha detto...

leggere l'intero blog, pretty good

Anonimo ha detto...

necessita di verificare:)