A gentile richiesta, propongo qui alcuni stralci dell’intervista di Marco Belpoliti a Gianni Celati (forse il più grande narratore italiano, in tutti i casi il più etico e appartato), uscita su la Stampa circa un mese fa:
“La narrativa d’oggi è ormai un’appendice dell’informazione. E’ difficile trovare un romanzo d’oggi che non si appelli all’attualità. Ecco l’autore basco che scrive il romanzo sul terrorista dell’Eta o l’autore italiano che scrive il romanzo su certi tipi di mafia o di camorra. Sono libri che il lettore legge come se fossero commenti a una realtà di fatto. Qui però la ‘realtà’ indica solo modi di vedere giornalistici – i modi dell’attualità -, il tutto categorizzato secondo il criterio del ‘nuovo’. Il nuovo è un dogma ma anche una continua intimidazione, perché tutti dobbiamo avere paura di essere visti come dei sorpassati dal nuovo. A questo proposito c’è qualcosa di illuminante nel Don Chisciotte, dove si affaccia per la prima volta la questione della ‘realtà’, posta in un contrasto con l’immaginazione e le tendenze fantasticanti. E si affaccia anche l’idea che il nuovo sia qualcosa che spazza via le inutili anticaglie: i romanzi cavallereschi. Ma, posto questo schema, dove Don Chisciotte ha sempre torto, in quanto invasato dalle fantasie cavalleresche, poi succede che sono proprio le sue tendenze fantasticanti ad arricchire di senso il mondo. Sono le sue fantasie e riflessioni a farci intravedere l’aperto mondo sotto l’aperto cielo come la nostra vera casa”.
11 commenti:
Senza appesantire il post, vorrei solo aggiungere che in Italia ci sono molti romanzieri anche bravi, ma pochissimi narratori. Vorrei sottolineare questa famosa differenza tra le due cose (già ben evidenziata, è un classico, da Benjamin).
Sono nel mezzo.
Nel mezzo delle due riflessioni che vengono fuori:
1) non ci sono abbastanza narratori;
2) i libri attuali sono un’appendice all’informazione.
Sul primo punto sorvolo ché, in rete, si finisce sempre col deviare verso la noiosa questione su chi possa o meno definirsi scrittore. Polemiche sterili, il più delle volte.
Sul secondo punto, penso sia – tutto sommato – la naturale evoluzione di un giornalismo che difetta di informazione. E quella (l’informazione) si intrufola in una sorta di via di mezzo che sta fra la voglia di dire e il bisogno che si pensi che sia abbia qualcosa da dire. E la mafia, in questo, è ottima musa.
Ho letto, sul tuo sito, la citazione da “L’autista di Lady Diana”.
Ecco – è un O.T. s’intenda, ma spero di essere scusata – io credo che siamo come ci vediamo noi ma anche come ci vedono gli altri. Forse quella cosa così difficile, che c’insegnavano a scuola quando era troppo presto per capire: Conosci te stesso, sarebbe un po’ più chiara.
Per il resto, viviamo – spesso – di proiezioni: quello che vogliamo essere per l’amico/a, per gli amici, per le donne, per gli uomini, per “l’uomo”, per “la donna”, per il capo, per il vicino… Siamo moltitudini di proiezioni. Mai, sicuramente difficilmente noi stessi. Contenti? Non so. Non credo.
ciao assu. a me quello che colpisce, quello che temo diciamo, è quel rimando di gianni celati alla coazione del "nuovo", e allo scrivere per commentare una realtà "di fatto" (la sua definizione di attualità). è la libertà che si stringe, o che scompare. scrivere è libertà, se no non è niente. don chisciotte è un uomo libero, che si è ammalato (in apparenza almeno) interpretando un libro come se esso fosse il mondo (l'orlando furioso e simili), ma poi interpreta il mndo come se fosse un libro, o tanti libri. la sua follia, per chi ha un po' attraversato certe pratiche anni settanta (e non necessariamente a quell'epoca) è tanto, tanto liberatoria e destrutturante...
ah, per il tuo secondo commento (grazie): pirandello ha scritto molte cose a riguardo, forse lo dovremmo rileggere...
Sì, comprendo e condivido il tuo timore.
È come se il nuovo dovesse spazzare via il vecchio piuttosto che fondersi con esso per costituirne l’evoluzione. Scrissi, tempo fa, una cosa a proposito dei ricordi, del bisogno di sentirsi vivi nell’attuale. Se usciamo dal contesto riflessivo e parliamo di libri, purtroppo, si deve abbandonare ogni forma di sacralità di pensiero ed essere più pragmatici: sono pochi i nuovi scrittori in grado di inerpicarsi fra le complicate vie della narrazione. Quella che tu definisci “libertà” (scrivere è libertà, convengo) è lo spartiacque fra il libro-taccuino che ci vuole tutti potenziali scrittori di libri-scoop e il libro-narrante. Che sarebbe la vera novità.
D’altro canto, non vi è neppure sperimentazione di stili e di tono. Più spesso si tende a confondere la sperimentazione che, a mio avviso è l’esercizio costante che uno scrittore dovrebbe fare, con il trasferimento nella lingua scritta di quella parlata. Talvolta ho l’impressione che si confezionino atteggiamenti da scrittore, come gli abiti della domenica. Che è un po’ come ordinare a Don Chisciotte: “O bello! Vivi nel mondo e non contro il mondo.”
Ho letto, abbastanza di recente, L’acchito. Un libro che è narrazione. Sulle prime ho pensato: è un libro che ha un gusto di antico. Eppure la sua forza sta proprio nel non avere una dimensione temporale. Certo, arrangi dentro di te un calcolo di tempo storico, poi però lo dimentichi. Non è importante. Ecco, io credo che stia proprio nel “non tempo”, o meglio nella capacità di "andare oltre" il tempo, la grandezza di una narrazione. Questo è raggiungibile solo toccando le corde emotive e creative del lettore. Ma bisognerebbe ricordare, a molti scrittori, che è proprio per lui (per il lettore) che scrivono. Ho letto anche Gomorra, e, per quanto mi piaccia lo stile di Saviano e mi sia trovata più volte a difenderlo e a sostenerne il coraggio al di là dello show mediatico, non posso considerarlo un romanzo. In questo io ritrovo il tono un po’ amaro di Gianni Celati, in parte ritornando al mio primo commento: Gomorra risponde alla necessità di raccontare, di dire, di urlare fatti che il lettore dovrebbe apprendere da ben altri canali, che siano quelli della Giustizia o quelli dei massmedia. Per deformazione professionale ho definito il target di questa nuova scrittura chiamandolo: il lettore/cittadino. Il passaggio è mutuato direttamente dalla tendenza a definire il consumatore/cittadino.
grazie delle tue riflessioni. non credo comunque che celati si riferisse a un libro in particolare (e ho molto rispetto per i libri di scrittori-lettori-cittadini, come li chiami bene tu, quello di saviano in testa). ma tutta la retorica sull'attualità, sul noir ecc., significa seguire vettori preordinati per l'immaginario, cioè impedirsi di immaginare: narrazioni o vite possibili, o vite comcomitanti - è uguale. buona domenica.
Se è per quello, io sono certa che Celati non si riferisse a un libro in particolare. Ma temi e tempi rendono la riflessione abbastanza aritmetica.
In ogni caso, sento forte l’esigenza di andare oltre il general-generico.
Cioè, appurato che la tendenza è quella che conduce a una scrittura che, come dici, “segue vettori preordinati per l’immaginario” e che “impedisce di immaginare narrazioni e/o vite possibili-concomitanti”, sarebbe interessante capire quali sono gli autori che non seguono questi schemi. Autori contemporanei, naturalmente. E italiani, e magari emergenti.
:)assu
Volevo solo segnalare una bella riflessione di Christian Raimo su nazioneindiana, dal titolo Il cibo. Parla di letteratura e di realtà, di come non farsi fagocitare e di come salvaguardare una soggettività resistente (sto riassumendo male).
Il "solo" é marca di un cattiva coscienza del Padre spermatico: il blogghista. é questo, immaginare ? Metterre le loro cose al loro posto ? ripiazzare i pioli della scala evolutiva al loro posto ? L'inconscio, con le sue leggi elementari di fagocitazione dell'altro, e del se, con la sua volontà di potenza, cioé di morte, quale piolo occupa ? é possibile all'uomo immaginare qualcosa che non sia dell'ordine della sopraffazzione o della rinuncia ? Oggi non ho preso il thé, é per questo che sono cosi acido. Poco fa ero in una sala con una bambina a cui ho insegnato a leggere l'italiano. La sua bocca ha compitato: "L'ateo é un uomo senza te". Parlava a me ? O a chi avrebbe lasciato il suo posto perche io sia qui a pregarlo di scendere dalla scala: Dio ?
Mah. Chissà. Sono un anonimo laico che vive nell'incertezza. Interessante il pezzo segnalato di Raimo, in effetti...
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