Parlare di WikiLeaks, il sito da cui Julian Assange e altri hacker divulgano “segreti” che sarebbero dovuti restare tali fino all’apertura degli archivi da parte degli storici, in nome di una glasnost connaturata a Internet e alle nuove tecnologie della comunicazione in presa diretta, richiederebbe una seria riflessione, quasi un seminario: ripensare ad esempio nozioni come “fatto”, “notizia”, “segreto”, “pubblico”, “democrazia” ecc., e i dispositivi che la scrittura (fin da Platone, che ne avversava l’intrinseca e pericolosa “pubblicità”) ha storicamente dispiegato in un senso o nell’altro. Affrontare quindi il concetto cruciale di “archivio”, e di “testimoni” (da decenni in conflitto di competenza con gli storici) e infine di “sincerità” - parola che significa in origine “senza cera”, senza cioè il sigillo con cui, al servizio dei Principi, i “segretari” secretavano, appunto, le missive. Invece, dal coro di banalità di politici e commentatori, non si sottrae neppure la psicanalista Elizabeth Roudinesco, che sul giornale Libération titola (2/12) “La dittatura della trasparenza” un pezzo contro WikiLeaks criticato anche dai suoi propri lettori: “Come e chi decide quello che può e non può essere divulgato?” “Solo quando viene ‘dal basso’ la trasparenza è deplorevole?”. Rimproverano di prendere a bersaglio chi constata che il re è nudo, e non piuttosto il potere; evocano lo spettro del “negazionismo”, e in generale preferiscono l’eccesso di trasparenza al suo contrario. “Che vergogna – scrive uno - gli Stati non hanno più la loro incestuosa intimità!”
In una storia dell’idea di trasparenza è poi facile scoprire che il fondatore del suo mito moderno, anzi contemporaneo, è il perseguitato Jean-Jacques Rousseau (rimando al magistrale studio di Jean Starobinski, La trasparenza e l’ostacolo). Il velo delle apparenze, degli artifici, dei simulacri (come non rimpiangere un commento di Jean Baudrillard a WikiLeaks?), ispirava all’autore del Contratto sociale (ma anche delle Confessioni) l’utopia di un regno felice della sin-cerità, uno stato d’infanzia in cui gli Dei leggessero nel cuore degli umani. Ed ecco: più di due secoli dopo Kant e l’Illuminismo (“uscire dallo stato di minorità”), il dibattito su Assange non ricorda in effetti quello degli adulti indecisi se nascondere o svelare ai bambini le verità scabrose?
(versione di poco più lunga della rubrica "acchiappafantasmi" su l'Unità di domenica 5 dicembre 2010)
2 commenti:
caro beppe
come al solito hai occhi buoni
appunto quello che io chiamo "filosofia"
ciao
piumalarga
Caro Beppe,
penso che uno dei problemi della società telematica odierna sia il fatto che si è sempre più spinti a sapere tutto su tutti in ogni momento. Detto questo, però, credo che le rivelazioni di Wikileaks non vadano censurate, anche se, diciamo la verità, non si è scoperto nulla di particolarmente nuovo...
Mi viene da fare un collegamento: chissà quale forza di diffusione di idee avrebbe avuto John Lennon se avesse potuto vedere l'epoca telematica!
Gabriele
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