2/21/2010

Un'opera contemporanea. Boltanski e il plurale di nessuno


Rivedo, a 48 ore dalla chiusura, la mostra monumentale di Christian Boltanski al Grand-Palais di Parigi, il giorno prima di una tavola rotonda in cui con altri scrittori europei, scelti da Boltanski, sono stato chiamato a testimoniare delle parentele tra la letteratura e l’arte sotto il profilo della memoria, dell’intreccio tra vita e finzione. Sotto l’ampia navata che fa trasparire una bianca, fredda luce invernale, nell’immenso spazio scandito da battiti di cuore amplificati, il visitatore percorre campi di abiti colorati adagiati per terra, ordinati come filari, inerti come corpi senza vita. E’ un cimitero, in effetti, lo stesso ordine razionale e geometrico delle tombe. All’orizzonte una montagna di altri abiti, conica come il colle della salvezza nel canto I° dell’Inferno di Dante, è morsa ritmicamente da un robot-scavatrice arancione che cala dall’alto, preleva mucchi casuali di abiti, risale, li fa ricadere sulla montagna. Meccanicamente, come i battiti impersonali del cuore, cuori di persone, di tutti e di nessuno. L’esposizione si chiama Personnes, plurale di “persona”, ma soprattutto in francese plurale di “nessuno”. (Per non dire l’etimologia della parola, cioè “maschera”, identità provvisoria e cangiante, precaria, senza appartenenza). La luce è perfetta: una luce senza luce, anonima come il dio-gru che preleva alla cieca, come a dire che nascere è uguale a morire. Ma poiché da questo spazio prima o poi usciamo (le mostre finiscono come i romanzi e i film) e ci si trova a guardare il cielo fuori dal cinema, o la propria stanza quando si è finito il libro, anche i pensieri riprendono a marciare. Perché questa è un’opera perfettamente contemporanea? E perché, quando guardo il cielo, vedo il pulviscolo di oggetti esplosi al rallentatore con la musica dei Pink Floyd (Zabriskie Point, Michelangelo Antonioni), che non finiscono di volteggiare e di cadere?

(rubrica "acchiappafantasmi", su l'Unità del 21 febbraio 2010)

4 commenti:

sergio garufi ha detto...

mi sarebbe piaciuto vedere la mostra di boltanski e assistere a quella tavola rotonda.

Anonimo ha detto...

Anche a me, Sergio :)
Ne sarei stata davvero felice.
Un abbraccio, Beppe e buon rientro

Emanuele ha detto...

Ciao Beppe, come gli altri mi sarebbe piaciuto riuscire a vedere questa mostra di Boltanski, è un artista straordinario proprio per la sua contemporaneità di temi e modi di affrontarli: la memoria, le tracce, i vestiti o ciò che rimane, quel "creare storia coi rifiuti stessi della storia", come la chiama Benjamin in una nota dei suo Passages. Se hai tempo, mi piacerebbe sapere qualcosa in più della tavola rotonda a cui hai partecipato, incentrata sul tema della memoria. Ne sono uscite immagini e spunti interessanti?
Circa la sensazione intensa che hai voluto condividere alla tua uscita dalla mostra,associata al lavoro di Boltanski, mi riporta a quel meraviglioso libro del filosofo e critico d'arte
Georges Didi-Huberman, Ninfa Moderna. Saggio sul panneggio caduto; dove Ninfa designa, secondo l'immagine così folgorante che ne ha dato Aby Warburg, "l'eroina impersonale del Nachieben, la sopravvivenza di quelle paradossali cose del tempo, appena esistenti, tuttavia indistruttibili, che vengono a noi da lontano e sono incapaci di morire del tutto". Georges Didi-Huberman la sintetizza così : "..la caduta, la fuga o il declino non generano pura assenza: l'assenza è sempre impura. Impura, cioè ricca, delle sue presenze psichiche e delle sue tracce materiali, dei suoi fantasmi e delle sue vestigia che, un giorno o l'altro, ci appariranno sotto qualche forma di panneggio, di spiegazzamento, di piega..".
Un saluto
Emanuele

Anonimo ha detto...

amo molto Didi-Huberman, e ti/vi prometto di rispondere, solo che in questi giorni ci sono pochissimo con la testa, e soprattutto col tempo. scusate. a presto, beppe