Sebbene abiti in città, mi sveglio al mattino avvolto dal suono delle cicale. E’ un paesaggio sonoro apparentemente immobile, come un mare o una campagna: nel coro uniforme spicca ogni tanto qualche assolo, come un ricamo in un tappeto, per improvvisamente smettere. Le cicale sono per me un mistero familiare. Difficile non amarne la poesia, “inutile” per antonomasia.
Poi, per associazione di idee, penso a uno dei più bei testi della letteratura italiana, ma anche della filosofia: la favola dei suoni di Galileo Galilei, portata a esempio nel suo trattato sul metodo (Il Saggiatore, 1618) dell’infinità della conoscenza. In breve, narra di un ragazzo cresciuto in disparte che conosce e ama solo il canto degli uccelli, e un giorno scopre il “suono delicato” e vario prodotto dal soffiare dentro un legno forato. Avuto lo zufolo, parte per il mondo con l’idea che, se ha scoperto quel suono, forse ce ne sono altri. Lo stupore barocco diventa in lui il metodo (induttivo) della nuova scienza. E lungo la sua peregrinazione incontra un violino, un grillo, una cicala...
E’ una storia sul valore della meraviglia, sul coraggio di uscire dalle proprie certezze, mettersi in viaggio; sull’apertura all’alterità, sull’infinità dell’altro - contro la conferma di sé che è sempre una sconfitta, oltre che triste chiusura. Vale per tutto, anche in amore. Ecco, ho distolto lo sguardo dal nostro premier puttaniere, ma resta la Tv, resta l’ossessione dell’apparire che ha ormai avvolto ogni divenire, nell’“egolandia” che è oggi il nostro Paese, patria di ego senza io, fortezza dove i carcerieri sono in realtà i carcerati. Non so quanti di voi ascoltino le cicale, protagoniste con le formiche di una favola classica con mille variazioni, da Jean-Luc Godard a Toni Morrison. Apologo della poesia e dell’ozio - e ora, spero, anche della ricerca, dell’apertura, del divenire altro.
[rubrica (acchiappafantasmi)in uscita domani, domenica 26 luglio, su l'Unità]
10 commenti:
Posto qui alcuni appunti sul suono del bosco e delle cicale intorno alla mia casa su una collina nel Monferrato.
Vedere il bosco non è guardarlo non è viverci.
Provando a viverlo si anima, si disvela; anche gli animali che lo abitano non fuggono più, non si acchetano quando passo maldestra rompendo sotto i piedi i rami secchi.
Il bosco striscia e si arrampica incessantemente.
Di giorno è avvolto in una nube invisibile di insetti, densa di un ronzio che non cede, come di vespe e api, sul quale si leva il frinire delle cicale. Vite piccine, fitte, fragili che moltiplicate a milioni diventano forti come alti cirri nel cielo...
Ada
acc., mi fai acorgere che non ho usato una solta volta la parola giusta: frinire... (beppe)
caro beppe
ti faccio notare (ma sono convinto che tu lo sai già) che
nella parola frinire c'è segnato il destino delle cicale
la morte per consunzione il loro "finire"
ciao
piumalarga
osservazione sinistra, sergio. mi tocco le palle, caso mai fosse scattata in me un'identificazione? o le ammiro filosoficamente per il loro esercizio di consapevolezza dell'impermanenza?...
vabbene beppe, allora te ne faccio una destra di osservazione, nel senso che mi autocito, ricordandoti che in quarta di copertina di DATE c'è un testo, titolato Cicalagioia, che dice così:
il sette sette del duemilasette/
laccai con la lingua una cicala di rosso/
lei mi disse proprio oggi sette teste testé/
così con quelli che venivano dalle nuvole/
mostrai anch'io le mie ali/
calcai il colore e le chiesi calcia/
e lei in calce mentre lo fece cantò
è stato un gioco anagrammando la parola cicala da cui uscirono laccai calcai e calcia
dedicato a una frine, naturalmente
ciao
sergio
grazie. un sorriso...
beppe
l'animale epistolare è dio,ma,proprio come dio,non esiste
proprio adesso stavo rileggendo kafka e derrida - e che non c'è niente fuori dal testo. ciò che non esiste, appunto, insiste e sussiste...
chi è lei, k. gelieri?
(b.s.)
Esiste una versione per bambini della favola"Lo zufolo e la cicala"?
Se sì, attendo indicazioni!
Ringrazio anticipatamente(^_^)!!
Elisabetta
La ringrazio per Blog intiresny
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