4/11/2009

Moti (rubrica acchiappafantasmi)

Ascolto una canzone corale tradizionale che mi commuove, J’Abruzzo di Carlo Perrone: “So’ sajitu aju Gran Sassu / so’ remastu ammutulitu / me parea che passu, passu / se sajesse a j’infinitu...” E’ una delle tante testimonianze, insieme agli appelli, arrivate via Internet dagli amici abruzzesi. E’ naturale che mi evochi il poeta dell’Infinito e del “sedendo e mirando”, il marchigiano Giacomo Leopardi. Ma ci sono altre ragioni.
L’ultima volta parlavo qui del fantasma dell’immunità assoluta, quella dalla morte, riattualizzato dal nostro primo ministro a riprova di quanto arcaica sia la vanità odierna del potere. Subito dopo uno di quei moti della Terra capaci di sbriciolare, oltre le case, “il secol superbo e sciocco”, ha istillato forse anche al “corpo del capo” un po’ di pietas e di umiltà (humus, terra). Oltre ai moti della terra (della Terra), ai moti della società (quando il sopruso e l’ingiustizia sono intollerabili), ci sono i naturali moti dell’animo e del cuore. A ciascuno i propri moti (o emozioni). Difficile non leggere, nel primo pensiero del primo ministro - le new town – l’istinto della speculazione edilizia. Ma passi: prendiamo per buona la sua commozione ai funerali. La Ginestra, si sa, parla della presunzione umana, della vanità dell’egoismo, di quella che un secolo dopo si sarebbe chiamata alienazione. Basta un niente, scriveva Leopardi contemplando il Vesuvio e Pompei, per far sparire i sogni di grandezza e di elezione. Nella tragedia dell’Abruzzo, assieme al dolore, abbiamo visto una non esibità solidarietà dal basso, una bontà comunitaria e condivisa, quella “social catena” di cui ancora parlava La Ginestra con accenti che anticipano di vent’anni la dirompente prosa del Manifesto del Partito comunista (1848) di Marx. Rileggete quella poesia: c’è tutto, anche il programma etico e politico di un partito.

(in uscita su l'Unità, domenica 12 aprile 2009)

3 commenti:

manginobrioches ha detto...

Sì, nella poesia c'è sempre il germe d'ogni speranza futura. I poeti sanno tutto: è quella forma di conoscenza che chiamiamo "comprensione", che deriva dalla capiente radice del "capire", del "contenere": fare posto in sé agli altri è la forma più pura di conoscenza, o d'amore.
Buona Pasqua a te, Beppe, e alle tue parole di poeta.

Anonimo ha detto...

grazie anna. e tanti auguri anche a te. beppe

giacomo conserva ha detto...

A proposito di nuove città

Uno costruisce, uno distrugge. Wechseln und werden, diceva Hoelderlin- trasformarsi, diventare. O Shakespeare: we must accept their coming hence as well as their going hither: dobbiamo accettare che vengano e vadano. Molta tristezza a volte, a volte molto orrrore. Mi è venuta in mente una poesia:




Il nuovo Stato

Sono passati solo sei anni- e come una meraviglia
è sorto dalle rovine un nuovo Stato,
uno Stato di pace, uno Stato in armi,
da uno solo voluto e da uno solo costruito,
una cittadella di forza, nel centro del mondo
collocato su un buon terreno,
dalla fiducia e dal coraggio di un popolo,
da pura volontà e puro sangue,
su una fede che fa miracoli!
Chi ha occhi aperti
e non è traditore o stupido
vede quello che è avvenuto e come tutto si è risolto
in bene grazie a colui che ci ha mandato Dio:
tutte le ruote in movimento, i pistoni in azione,
gioiosi al lavoro vecchi e giovani.
Il pane ben guadagnato
rende luminosi gli occhi, rossa la schiena,
e nessuno più soffre la miseria in Germania!
E la discordia civile, l’antica peste,
è finita per sempre!

il Führer posa lo sguardo…

Will Vesper- Per il 50° compleanno del Führer



Nuove città, nuovi stati. E nuovi sogni (i Talking Heads: we live in a city of dreams...)