5/14/2007

Lunedì al sole (a Parma)

Recupero, dall'Unità del 26/1/2004 (era il periodo dello scandalo Parmalat), un corsivo di quella mia rubrica, I lunedì al sole, dal titolo "Parma dietro le quinte". Il fatto che a Parma si svolga una campagna elettorale non è ovviamente esente dalle ragioni di questo post.

I parmigiani, anche quelli d’adozione, quelli che ci si abituano, amano molto parlare di Parma. E’ il tratto principale della koiné parmigiana, cui non sfugge nessuna parola pubblica: un sentimento di appartenenza a qualcosa di già valorizzato, la condivisione di un codice e di un valore ostentato con presunzione e presupposizione. Gli aggettivi su Parma si sprecano, ma nonostante il dispendio di parole per dire la soddisfazione - estetica, politica (la forma “ducale”), gastronomica e godereccia in genere - è come se sempre in qualche modo il linguaggio si desse di gomito, alludesse a qualcosa che non si può dire fino in fondo, ma ben lo conosce chi lo vive. Circolo chiuso (cioè vizioso) di un modo di essere così soddisfatto di sé che ogni volta che cerca di guardare se stesso ne esce confermato e rafforzato; sazietà, narcisismo, ma senza quella passione che prima o poi destabilizzerebbe la propria identità. C’è qualcosa di unico in questo sentimento dei parmigiani, nel loro compiaciuto tematizzare se stessi, il proprio teatro interiore (perché la città diventa un Ego avvolgente come un alveo); qualcosa infine di caricaturale, che oltrepassa ogni analoga esperienza di sé e del proprio abitare. Parma come mònade: mi viene da dirlo così quel sentimento, “monadologia trascendentale”, con tutto ciò che di mono-logico e mono-tono è iscritto in questo concetto. E che è propriamente inconciliabile con chi, pur parmigiano come il sottoscritto, ha sempre cercato di incarnare in una nomadologia ugualmente trascendentale il proprio affermato sradicamento residenziale, come un’evasione continua non del proprio essere, per essere da qualche parte, ma dall’essere stesso, dall’omogeneità, dal valore, da ogni stasi compiaciuta di sé. Oggi Parma si lamenta che il proprio nome abdichi alla sua koiné e plusvalore, inaugurando tutt’altro lessico nel mondo globalizzato: quella della truffa e del disvalore. Ma tutto il boom della borsa negli ultimi anni, e in generale la corsa alla ricchezza, anche prima del crac Parmalat ricordava quel cinico gioco di società in auge nel ‘700. Si chiamava largesse (magnanimità), la facevano i ricchi e i nobili nei loro banchetti, lanciando pan di spezie ai poveri per il gusto di vederli azzuffarsi tra loro per spartirsi le briciole. Grazie a Internet e alle banche, una moltitudine interclassista di persone si è disputata in questi anni, come pesciolini alla superficie dell’acqua, le briciole di guadagni miliardari, sentendosi astuti geni della finanza. Salvo i crolli, lo scoppio delle bolle. Tanzi, come tanti, finanziava volentieri i restauri del Duomo e di altri monumenti. Ha fatto senz’altro del bene, a Parma. Ma nella finanza, in borsa soprattutto, non conta il valore reale (di una società), quanto la sua potenzialità, o l’impatto che ha sull’immaginario collettivo, il suo fantasma. Virtuale e valore sono sinonimi (lo sono sempre stati). Sono fantasmi. Come ciò che fa di Parma une “petite capitale”. Come il “liscio, dolce e color malva” che Proust associava a Parma. Come la celebre Certosa, che in realtà è a Modena.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

E' un ritratto molto azzeccato di Parma e di questa epoca generale da cui non siamo ancora per niente usciti... Gianni

Anonimo ha detto...

good start

Anonimo ha detto...

necessita di verificare:)