Sabato, a Parma, nel cortile coi tigli della Corale Verdi, ci sarà un dialogo aperto, corale appunto, su "arte, estetica e cittadinanza a Parma", dove parteciperò insieme ad artisti (per esempio Alberto Reggianini) e architetti (per esempio Vittorio Savi, che insegna all'università di Firenze) per una politica della bellezza e, in sintesi, contro la concezione dell'arte come "arredo urbano". Ebbene sì, è un episodio di questa mia campagna elettorale a Parma, per buttare qualche seme di linguaggi diversi. Anche per questo spero vivamente che sabato partecipi anche un artista che stimo forse sopra ogni altro, Claudio Parmiggiani. Non è una politicizzazione dell'arte, è cittadinanza, espressione, prolungamento di uno sguardo. A questo proposito mi viene in mente, e vorrei offrirne qui uno stralcio, la lotta che registi, attori e altri che lavorano nel cinema stanno conducendo per una diversa politica del cinema (e della programmazione televisiva) in Italia. IE' stata promossa dal collettivo "centoautori", che ha anche un blog che raccoglie molte voci interessanti, ed è animato soprattutto da Giuseppe Piccioni (libreria del cinema di via dei Fienaroli, Trastevere). Dall'intervento dell'amico (parmigiano anche lui) Bernardo Bertolucci, in forma di lettera al ministro dei Beni culturali, durante l'assemblea al teatro Ambra Jovinelli il 7 maggio, copio qui uno stralcio che mi sembra molto bello. Riprende il tema di quegli anni Settanta (anni di carne e non di piombo, scrissi) che mi sta a cuore, e il tema dello sguardo sul mondo, che è sempre una reciprocità:
“C’è stato un momento, verso la metà degli anni Settanta, che vorrei ricordare a tutti e anche a lei che lo ha vissuto, in cui sembrava essersi trovata una gioia, una sintesi tra la cultura di questo paese e la sua gente. Le parole, i libri, i film venivano percepiti in maniera che chiamerei sensuale. In quel clima di straordinaria tensione creativa e morale e politica abbiamo visto qualcosa di irresistibile: gli occhi della gente reinventavano quello che ricevevano, elaborandolo, allungandogli la vita, rilanciando.
"Non vivo nel miele della nostalgia o nell’illusione che quello stato di grazia collettivo possa ripetersi ma sono certo che ricordarlo costituisca un diritto per chi come me ci ha vissuto dentro come un topo nel formaggio. Perdonatemi l’autocitazione, ma un esempio è Novecento, riuscito o meno non conta, un film completamente partorito da quel clima e premiato dal grande impatto che ebbe sulla gente. Le chiedo: crede che un film come quello sarebbe possibile oggi, nella sua libertà, nella sua utopia produttiva, nella sua megalomania, nell’estremismo delle sue contraddizioni? Io so che per anni ho tentato di chiuderlo con un terzo atto che arrivava ai giorni nostri ma ho dovuto rinunciare per onestà: il clima culturale era sfumato. . Mi torna in mente anche Salò, l’ultimo Pasolini, girato negli stessi mesi e a poche decine di chilometri, film atroce e sublime. Sarebbe possibile oggi Salò?”
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