Tra i neologismi più recenti, “femminicidio”
unisce all’indubbia sgradevolezza una precisione semantica tanto imbarazzante
quanto efficace, che rende sospetto ogni tentativo di evitarla: non c’è un
altro modo per dire l’atto di distruzione compiuto da uomini e soltanto da
uomini per uccidere o ferire le donne in quanto donne e in quanto femmine, uccidere o ferire
l’altro, la giustamente irriducibile alterità della donna che il maschio dell’uomo non
riesce a metabolizzare e a trasformare (in crescita, in ascolto, in erotismo,
in conoscenza, in contemplazione, etc).
Femminicidio è una parola scomoda, come
l’iperrealtà dell’atto che evoca, anzi descrive. Non stupisce quindi che
periodicamente qualcuno (un uomo) la critichi più o meno capziosamente. In
genere si tratta di intellettuali che, così come certi politici coi loro atti
producono per reazione di disgusto l’antipolitica, colle loro giostre di parole
producono per reazione l’anticultura. Entrambi, politici e intellettuali, sono
accomunati dal tentativo di schivare o rimuovere la realtà per paura. Il
compianto filosofo Aldo Gargani li chiamava intellettuali terrorizzati, che parlano
per tacere, occultando in codici culturali già dati la verità emozionale e
prelinguistica del reale.
Temo sia il caso di Guido Ceronetti, di cui
la Repubblica di oggi (27.12) ha pubblicato un dotto articolo
sull’abolizione della parola femminicidio. Non dice nulla sulla realtà che la
parola descrive, propone solo di “eliminare l’orripilante femminicidio, che le
abbassa [le donne] a tutto ciò che, in natura, è di genere femminile, dunque
zoologico, col destino comune di figliare e allattare”. A queste parole già
imbarazzanti, con l’uso disinvolto e liquidatorio di concetti come “natura” o
“genere”, segue una precisazione, che è poi il movente dichiarato dell’articolo:
“Ma, per noi, se non siamo bruti, donna significa molto di più”. A noi che
creati non fummo per viver come bruti, come direbbe Dante-Ulisse, ovvero per
usare parole come “femminicidio” (sul cui significato, ripeto, Ceronetti non si
sofferma mai nella sua freddezza lessicografica), ma per nobilitare ed elevare
ciò che è femmina, così prossima all’animale (“zoologico”), conviene appunto dire
donna, dal latino domina (Ceronetti non
dice che è il femminile di dominus,
cioè la moglie intoccabile e desessualizzata del signore); o ancora meglio
l’etimo greca giné-gynekòs, da cui
vengono parole come gineceo o ginecologia. Ecco, invece che femminicidio,
chiamiamolo ginecidio, annuncia
Ceronetti, prima di perdersi definitivamente in un narcisismo monologante intessuto
di citazioni da Schopenauer a Nikola Tesla. Massì, non diciamo neanche più
“maschilismo”, è troppo volgare, meglio “virilità”; o, con etimo greca,
“antropofilia” (filantropia essendo già occupato).
Difficile abolire una parola senza annullare
la realtà che ci mostra. Come ha detto qualcuno, la realtà è quella cosa che
anche quando non ci credi più rimane lo stesso. Ma nella vertiginosa smania
citatoria di Ceronetti manca evidentemente anche Emmanauel Levinas, che sull’alterità, la priorità dell’altro
in quanto altro - di cui la differenza sessuale e la relazione erotica sono magnifiche occasioni di esperienza - ha
fondato l’intera etica. Tutto il contrario del fare dell’altro l’oggetto e il
bersaglio del nostro sguardo o del nostro discorso nobilitante ed elevato,
modalità (come la metafora dello specchio) già usate nel tempo dal maschio
bianco per assoggettare e annullare l’altro, eliminarne la persona o l’identità
(la donna, l’ebreo...), magari assimilandola alla propria.
Ecco come il
fastidioso “femminicidio” fa emergere motivazioni arcaiche (non disgiunte da un
ancestrale senso di colpo) a un gesto antico che dura anche oggi, l’umano
maschile infierire sull’inerme – il profugo, il debole, il disabile, il senza
casa, il bruto, l’animale. Meglio se femmina.
(articolo in uscita su l'Unità di sabato 28 dicembre 2013)
9 commenti:
penso si possa guardare all'altro anche con desiderio senza avvilirlo o renderlo oggetto,
Nè penso che infierire sugli inermi sia una esclusiva dell'umano maschile ma per il resto cedo che l'articolo di Ceronetti sia essenzialmente un cumulo di fesserie perchè si concentra su cose totalmente ininfluenti e non vede il fenomeno nella sua terribile crudezza
Per me comunque non si tratta di assimilare, si tratta di dire che uomini e donne sono moralmente e intellettualmente pari nel bene e nel male
caro beppe, sottoscrivo la tua esatta riflessione.
chi compie questi atti è un uomo che non sa o non vuole gestire le proprie frustrazioni ma la responsabilità è sua.
Tanti e tante sono gelosi/e ma non uccidono nè soffocano la libertà del partner.La gelosia non va negata ma se c'è va gestita e tenuta a bada perchè il vero amore si fonda sulla fiducia reciproca oltre che sulla passione (che è pure importante).
Questo ha senso scrivere sul tema..altro che ceronetti
uccidere una persona per motivi di gelosia ossessiva (una gelosia che travalica il normale e che tu non sai o non vuoi tenere a bada) o soltanto perchè lei non ti vuole più è un atto che dimostra l'incapacità di amare davvero di chi lo compie a prescindere da quello che l'assassino crede
è la dimostrazione della disperata urgenza di educazione, di una cultura e di una polituca dell'educazione...
ciao valeria, grazie della tua visita...
i bambini vanno educati. Adolescenti e ancora di più adulti sono responsabili dei loro atti nel bene e nel male
Gentile beppe, come sei severo con Ceronetti! A ragione per l'articolo in questione, per il quale sottoscrivo pienamente quel che tu scrivi...ma magari ci fosse stata più gente che in questi decenni avesse anche solo sfogliato certi suoi articoli o libri. E sempre stato un gran maestro nell'insegnare a essere critici e leggere le cose da piu punti di vista...e poi la sua fisarmonica vagante con il teatrino degli invisibili, una delle piu belle lezioni di magia e libertà! Ancora in corso per altro...Il punto su cui mi viene da riflettere è più che altro la vecchiaia degli intellettuali di oggi, di certi intellettuali, in cui vedo che purtroppo anche lui sta cadendo nella categoria: perchè vi arrivano da sconfitti, portandosi dietro quell'acidità del loro sapere che rigettano a noi con un senso di autorità sapenziale che non vuole piu consegnarsi come atto d'amore, ma quasi come sfogo che intende comunque imporre la loro visione? E mi domando, senza alcuna certezza del giusto: e se fosse questo ancora un atteggiamento maschile, una postura maschile del pensiero su cui riflettere? Un saluto e buon anno nuovo a tutti. emanuele
quello che dici, emanuele (ricambio gli auguri!), è molto simile a ciò che mi ha motivato a scrivere questo intervento che risulta più duro del previsto. Di come il fastidio per una parola come femminicidio è sintomo, della rimozione della realtà da parte degli intellettuali, peggio se avvelenati dalla solitudine inevitabile in questo mondo, questo qui, dove anche invecchiare, è vero, non è in effetti una pratica felice, e rende tutti così vistosamente inutili....
Penso tuttavia che si possa dare le dimissioni ed uscire, meglio tardi che mai, da quella "schiera" che kafka chiamava "degli uccisori", e che noi chiamiamo con parola asettica intellettuali, o peggio opinionisti e commentatori. E mentre lo dico provo anch'io, come sempre, vergogna, per avere detto qualcosa che si pretende ragionevole invece di tacere.
(Sì, il teatrino di ceronetti era ed è una cosa bella, diversa).
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