In un suo “pensiero” Giacomo Leopardi
ironizza, molto cortesemente, sulla “bella e amabile illusione” delle
ricorrenze, secondo cui “i dì anniversari di un avvenimento, che per verità non
ha a fare con essi più che con qualunque altro dì dell’anno, paiono avere con
quello un’attinenza particolare, e che quasi un’ombra del passato risorga e
ritorni sempre in quei giorni, e ci sia davanti”. Non ci imbarazza quindi
celebrare forse per ultimi il cinquantesimo anniversario della casa editrice
Adelphi, dedicandole un ammirata testimonianza di lettori e i nostri auguri. D’altronde,
le parole leopardiane citate sopra a memoria le ritrovo al paragrafo XIII dei Pensieri di Leopardi editi nella Piccola
Biblioteca Adelphi, con una tipica copertina rosa corallo o rosa pesca, non saprei
decidere.
Ecco, già nei colori delle iconoclaste
copertine Adelphi riconosciamo una nota inconfondibile dei nostri scaffali,
libri che perfino i più esigenti e problematici ordinatori di biblioteche, di
solito più competenti e saggi dei critici di prpfessione (l’arte di disporre i
libri non ha soluzioni definitive, solo la pazienza di sistemazioni provvisorie
e approssimative) cedono a volte alla tentazione di sistemare i libri Adelphi
senz’altro metodo che la comune appartenenza, come i venditori di mobili e i
non lettori che sistemano i libri secondo il colore delle copertine. Ma anche
questa soluzione, un tempo irrisa dai colti, viene dialetticamente redenta
nell’idea adelphiana del catalogo editoriale come forma, libro dei libri, di
libri che stiano bene insieme tra loro anche nelle diversità, secondo la teoria
del buon vicino evocata spesso da Roberto Calasso.
Tornando ai colori delle copertine Adelphi, è
importante notare che non si tratta mai di colori assoluti, o saturi, e che siano
invece tutti interpretabili, “pastello”, colori al limite marginali,
minoritari, identità non rigide ma flessibili - ceruleo, lilla, violaceo, lavanda, sabbia,
malva, verde pastello, salmone chiaro, etc. Non sono un esperto, ma nella gamma
dei colori adelphiani trovo la promessa mantenuta di quella libertà e rottura
degli steccati ideologici che ispirò il fondatore Luciano Foà (consigliato da
Roberto Bazlen), in polemica con una certa “monotonia editoriale di sinistra”.
Quando, per capirci, il non fare esternazioni manifestamente di sinistra e il pensare
pensieri inattuali equivaleva a essere considerati di destra. Il colore, si sa,
connette con tutti gli altri sensi, connette sfera cognitiva e sfera emotiva,
promuovendo quella generale interconnessione di tutto con tutto che è la
letteratura, oltre che il metodo di Gregory Bateson, una delle grandi menti del
XX secolo a cui tutti dovrebbero guardare (soprattutto i politici), il cui Verso un’ecologia della mente Adelphi pubblicò
già nel 1977.
Di questa connessione universale che
coincide con la letteratura la rete, nel senso del web, è invece spesso
un’ambigua e ostile parodia. Roberto Calasso ha scritto un articolo appassionato
sul New York Times in polemica
risposta a Kevin Kelly di Wired,
che preconizzava con malcelata soddisfazione la sparizione del libro di carta a
favore dell’e-book, e proprio a partire dalla sparizione delle copertine. Le
copertine sono la pelle del libro, ha detto Calasso, e quindi la prima cosa ad
essere scorticata da nemici e detrattori. Il testo è raccolto nel bel libro
recente di Calasso, L’impronta
dell’editore (Adelphi). L’odio verso l’oggetto libro che viene da un certo
mondo del web è in fondo “una profonda e giustificata avversione, perché il
libro corrisponde a una modalità della conoscenza incompatibile con quello
propugnato dalla rete, che è la conoscenza come protesi, l’occupazione della
mente con uno sciame di bit digitali, esattamente l’opposto di ciò che è la
conoscenza in senso metamorfico, che trasforma cioè il soggetto che conosce”.
E’ buffo, finora abbiamo parlato solo o
quasi di copertine. La casa editrice
Adelphi nacque nel 1962 per iniziativa, come abbiamo detto, di Luciano Foa
(uscito dall’Einaudi col pretesto di un litigio sulla pubblicazione delle opere
integrali di Nietzsche a cura di Giorgio Colli) e Bobi Bazlen, ma i primi
quattro libri uscirono l’anno dopo, cinquant’anni fa: il Robinson Crusoe di Daniel
Defoe, le opere teatrali di Georg Büchner, il primo volume di tutte le Novelle di Gottfried Keller, Fede e bellezza di Niccolò Tommaseo: si
noti, fin dall’inizio dunque, l’insieme di libertà, imprendibilità e qualità
inattuali delle scelte che caratterizzeranno il catalogo editoriale Adelphi. Roberto
Calasso vi collaborò dal 1967, per diventarne poi direttore editoriale e autore
della casa. Dagli anni ’70 il marchio Adelphi era ormai noto: Hermann Hesse e
Joseph Roth (in nessuna stanza di studente mancavano Siddharta e La leggenda del
santo bevitore), letteratura
mitteleuropea (Il manoscritto trovato a
Saragozza di Jan Potocki uscì nel 1965) e Indiani d’America (Alce Nero parla di John G. Neihardt,
1968), Robert Walser e Antonin Artaud, Il
libro dell’Es di Georg Groddeck (1966) e Lezioni e conversazioni di Ludwig Wittgenstein (1967), i Quaderni
di Valery e La sapienza greca di Giorgio Colli, Elias Canetti e Lo Zen e
l’arte della manutenzione della motocicletta di Pirsig (1981) e così via,
fino alle opere di Nabokov e a quelle di
Simenon, i romanzi (postumi) di
Guido Morselli e quelli di Giorgio Manganelli, e dal 1981, con Perturbamento, le opere del grande
Thomas Bernhard, che ai miei occhi, o meglio alle mie orecchie, incarna al meglio
lo spirito Adelphi: una scrittura complessa e irriducibile, irriverente e a suo
modo consacrata, capace di rifondare in modo assolutamente non-ideologico il concetto
stesso di avanguardia, con una totale dedizione alla sintassi e alla verità –
scomodissima, appunto - della letteratura. Senza trascurare la mitologia classica e la spiritualità orientale, soprattutto
quella indiana (in coincidenza con l’interesse personale dello scrittore
Calasso). Ognuno può sfogliare la propria memoria del tempo scorrendo le pagine
di Adelphiana, un volume-catalogo
pubblicato in occasione del cinquantenario.
Se
i libri Einaudi li riconoscevi dall’odore, ed era un’aroma eccitante di impegno
e di costruzione di sé, attualizzata dalla politica, tutt’uno col sentimento di
appartenenza al fronte frastagliato dei ribelli, i libri Adelphi erano
un’esperienza diversa e complementare, innanzitutto tattile e visiva (la pelle
delle copertine, ancora una volta), poi un invito destrutturante al sogno e
all’immaginazione, come la siepe dell’Infinito; un altro indirizzo dell’intelligenza,
non superiore ma più esoterico. Ma non sentivamo all’epoca nessun conflitto (parlo
degli anni Settanta e Ottanta).
Un ricordo intimo: ore trascorse in luoghi
diversi, col mio amico Giorgio Messori, a leggerci e rileggerci a voce alta i
nostri adelphini preferiti, che tenevamo sempre nella tasca del giaccone, I temi di
Fritz Kocher di Walser e soprattutto L’imitatore
di voci di Bernhard, ,e non riuscire a smettere di ridere. Il libro più commovente
della collana? Uomini tedeschi di
Walter Benjamin, monumento stoico all’antiretorica, all'inerme luminosa verità, ancora una
volta, della letteratura.
(articolo pubblicato su l'Unità di domenica 24/11/2013)
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