(versione corretta del pezzo apparso domenica 6 agosto su Repubblica-Roma, per la serie "Vacanze d'autore")
Anche se è grande e popolata come una
città, mi piace che Ostia sia solo un distretto di Roma col mare. Quella di
Lido centro sembra una vera stazione, anche se ci arriva solo il trenino che
parte dalla Piramide, e da lì è bello camminare in via della Pineta o nella
strettissima via dei Fabbri Navali, nucleo originario di Ostia che ricorda
l’atmosfera di Monteverdevecchio o del Gianicolo. In via degli Acilii c’era
un’osteria in un giardino, sotto una tettoia di vigna, “da Oscar”, oggi solo
rivendita di vino per gli intimi. Sembra di stare in un altro mondo. Suppongo
però che devo parlare di spiagge.
Le più eleganti sono quelle di levante (le
più “esclusive” sono ancora più giù, verso Castelfusano, dove le cabine si
tramandano in famiglia), ma io vado a ponente, nella cosiddetta “Ostia destra”
– a destra del pontile. E’ più povera, il lungomare si restringe e le case sono
condomini in puro stile geometrile anni ’60 e ’70, salvo le ex colonie fasciste
in cui il sindaco Alemanno vorrebbe fare un casinò, e che per ora ospitano,
perfetta nèmesi, una varietà di minoranze e di disagiati: la moschea, la mensa
della Caritas, vari alloggi abitati da colorati extracomunitari, e la
bellissima biblioteca Elsa Morante, rifugio di quegli speciali disadattati che
siamo noi lettori di libri. Il tratto di lungomare chiamato Duca degli Abruzzi,
poco più avanti, fino a qualche anno fa era addirittura malfamato, ma ha il
privilegio di offrire il sollievo della vista di mare e spiagge libere a chi
cammina - sul lungomare appunto, non “lungomuro” come quasi ovunque a Ostia.
Alla fine del lungomare di ponente c’è il nuovo porto turistico, e in estate il
sole tramonta così esattamente alla fine della strada da farle meritare
l’appellativo di Sunset boulevard...
Dopo il porto turistico c’è l’Idroscalo.
Era una sorta di favela sulla foce del Tevere, cosi chiamata per gli
idrovolanti che nel ventennio fascista partivano da qui (Fiumicino sarebbe nata
più tardi). Ci si arriva lasciandosi alle spalle i palazzoni edificati per i
senza casa dal sindaco Petroselli negli anni ’80, si costeggiano i cantieri
navali coi lussuosi yachts, e l’oasi della Lipu con il monumento a Pier Paolo
Pasolini (nel luogo preciso in cui fu ammazzato), dove volteggiano a volte
fenicotteri bianchi e rosa. Sulla destra, in una polverosa distesa,
l’ottagonale torre di avvistamento progettata da Michelangelo, detta anche
“Torre di San Michele”, abbandonata da anni a non essere vista né ad avvistare
più nulla. Finché la strada finisce, tra il mare e il nulla, un nulla non privo
di dolcezza dai colori pastello, e una spiaggetta rocciosa dove giocano e
nuotano soprattutto bambini. La finestrella di una casetta con le foto dei
gelati attaccate al muro rivela l’esistenza di un bar che sembra sopravissuto
agli anni ’60. Era, e in parte è ancora, un mondo di estremamente poveri e
precari, in case e baracche di materiali di risulta, ma con statuine di Padre
Pio, vasi di fiori, decorazioni sulle porte. Sembra uscito dal remake di un
film di Pier Paolo Pasolini diretto da David Lynch, se penso agli uomini e
donne coperti di tatuaggi che vidi anni fa in festose serate estive alla luce
rubata dai pali elettrici, animate dal karaoke, da balli e dall’elezione di
Miss Idroscalo. E soprattutto alla devozione quasi pagana, forse per questo
ancora più religiosa, della festa dell’Assunta il 15 agosto, detta anche Festa
del Mare: quando il barcone con la statua lignea della Madonna, i lunghi
capelli sciolti come nella canzone di De André, prende il largo, e i poveri
festeggiano a fianco delle autorità in una solennità iperreale e sballata, come
i fuochi d’artificio fuori sincrono. Catarsi di una comunità disaggregata degna
di essere raccontata in un film, oggi dispersa dalle ruspe e dai progetti
immobiliari.
Ho un amico poeta che abita a Ostia destra,
con una terrazza sul lungomare e la spiaggia. Vado spesso da lui a pranzo o a
cena (è un ottimo cuoco), poi finisce che resto lì per una breve vacanza.
Eccomi dunque qui a guardare il mare e la spiaggia dall’alto nell’ora che
preferisco, quella in cui si svuota, gli stabilimenti chiudono come gli
ombrelloni e tutto acquista luce e spazio abitabile, una petroliera rossa
all’orizzonte, e sarebbe bello scendere a nuotare. Ma ecco che alle 19,15 circa
gli stessi stabilimenti balneari si cambiano d’abito per la loro second life,
annunciata da prove di colonne sonore,
all’inizio appena accennate, poi continue, dilatate in una poltiglia sonora ad
altissimo volume. Quando il sole è ormai atterrato da un pezzo all’Idroscalo, e
un argento uniforme confonde cielo e mare, a un certo punto un pianoforte
classico rivaleggia con l’immancabile Folle
idea di Patty Pravo, e tra i due motivi
prevale il basso della voce di Louis Armstrong in What a wonderful world: è il segnale. La concorrenza dei bar della spiaggia
non risparmia niente e nessuno: percussioni africane versus tromba romantica, Besame mucho contro
rock italiano anni ’60, disco music e perfino una soprano dal vivo tra i tavoli
di un ristorante. Un brusio-remix che arriva come aromi di cucina portati dal
vento in cui si mischiano tra loro pietanze diverse. In cielo resta un vago
alone rosa, il resto è buio, il porto turistico con le sue torrette sembra il
profilo di un’Istanbul in miniatura, e il popolo dell’happy hour comincia a
fluire e invadere le spiagge come zombi teneri e sonnacchiosi. E’ la
globalizzazione della sbronza, nel babelico jukebox della notte rutilante. C’è
la spiaggia-balera e il piano-bar, il pub e la discoteca e così via, a ognuno
la sua musica. A giudicare dal flusso di corpi che dal lungomare entrano negli
stabilimenti, la spiaggia è più gremita che di giorno.
Poi
bisognerebbe descrivere l’incanto del mattino presto, il chiarore terso e
pulito del mare. Le spiagge vuote e struccate, senza il belletto notturno,
percorse dai trattori che le spianano come tosaerba, sorprendono per la loro
freschezza nella luce silenziosa del giorno. Certo, di giorno ci si chiede
perché quel bar con le capanne sulla sabbia debba chiamarsi Polynesian
Cocktailbar, e cos’abbiano di polinesiano i condomini di fronte. Ma questa, del
divario tra le parole e le cose, è un’altra e vecchissima storia.
4 commenti:
Caro beppe questo tuo pezzo (come tanti altri) e' poesia. Grazie
grazie, davvero. ma ti conosco? (beppe)
Molto interessante questo articolo.Ostia è un bellissimo posto ,sono stata anche io di quella parte,e vale la pena dedicarle un post.Teresa J.
Complimenti per la descrizione,
anche se negli ultimi tempi le
cronache di Ostia lasciano un po'
di stucco.
Ciao,
massimo t.
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