Quando Blaise Pascal scriveva che i problemi dell’umanità vengono dall’incapacità dell’uomo di stare solo in una stanza, naturalmente intendeva senza l’Ipod, solo col suono del proprio respiro, il battito del cuore, il proprio esserci. Come gli spettatori costernati della Scala di Milano durante il celebre, silenzioso concerto di John Cage. Per noi fruitori di giornali e di media il silenzio è strano, fa paura come il vuoto, che infatti arredatori, urbanisti e geometri comunali non cessano di riempire con qualcosa. Una volta, a una trasmissione radiofonica in cui mi si chiese di parlare di un mio soggiorno nel deserto, restai in silenzio per suggerirne l’esperienza. Per poco non suonò l’allarme.
In un racconto di Heinrich Boll, La raccolta di silenzio del dottor Murke, il personaggio, che lavora in una radio, registra scampoli di silenzio e li monta su un nastro per ascoltarli a casa, di nascosto, come musica. “State zitti, cinque minuti”, dice la bellissima poesia in romagnolo di Raffaello Baldini. Che scopre un silenzio nel silenzio, oltre al dualismo col rumore.
Dal silenzio nasce la poesia, che ad esso anela di tornare. Dai “sovrumani silenzi” e “profondissima quiete” di Giacomo Leopardi al silenzio della cucina ne La neve di Vladimir Holan, dove “bevi del vino” e “guardi dalla finestra l’intima eternità”: “Anche se sulla terra non vi fosse il silenzio, / questo nevicare lo ha già sognato. Sei solo. / Quanto meno gesti. Nulla da mettere in mostra”.
Tornando al deserto, per gli eremiti che vi dimoravano il silenzio era una cosa mistica, ma chiunque può farne l’esperienza. Bruno Hussar (padre Bruno), fondatore della comunità Salaam/Shalom, tra Gerusalemme e la Giordania, costruì nel 1983 un’ecumenica “casa del silenzio” a forma di mezza sfera, convinto che il silenzio sia alla portata di tutti, anche agli atei. Insegnò che l’ebraico ha due parole per dire il silenzio: sheket, o assenza di rumore, e dumìa, il silenzio profondo, come appare nella Bibbia (Libro dei Re, 19, 12) a designare “una brezza leggera, la voce di un sottile silenzio”, e nel Salmo 65, “lode a Dio”. Chi è stato in un deserto sa cosa significhi, ma forse è l’idea di Dio a essere metafora del silenzio, non viceversa.
“Tanto rumore per nulla”, come la commedia di Shakespeare? Il vero deserto è la solitudine affollata e strepitante in cui nessuno ascolta nessuno, il mondo come una televisione che non viene mai spenta. Italo Calvino, nel romanzo Palomar, propone questa etica: “In un’epoca e in un paese in cui tutti si fanno in quattro per proclamare opinioni o giudizi, il signor Palomar ha preso l’abitudine di mordersi la lingua tre volte prima di fare qualsiasi affermazione. Se al terzo morso di lingua è ancora convinto della cosa che stava per dire, la dice; se no sta zitto. Di fatto, passa settimane e mesi interi in silenzio”.
(articolo uscito su l'Unità di oggi, con bellissime illustrazioni e altri allegati, dall spartito di Cage al primo piano di Buster Keaton, dalla canzone di Mina a quella di Simon e Garfunkel, ecc. ecc.)
11 commenti:
Caro Beppe,
"Salone delle teste" così avrei voluto intitolare la lettura muta dei poeti italiani che preferisco, ora invece mi offri l'occasione di un titolo molto, ma molto più bello "Il silenzio è alla portata di tutti", in mente avevo questa non-lettura dove i poeti annunciano solo la loro presenza e non dicono, ché si è detto fin troppo. Tutto bianco su bianco. Anche l'inchiostro sulla carta. Bianco. In verità questo non-evento voleva essere anche un omaggio a Franco Rotelli (lo psichiatra che lavorò con Basaglia a Trieste) a una conferenza di psichiatria (aiuto!) una volta si limitò a battere le nocche sul leggio per dieci minuti senza pronunciare una sola parola. Come dire: hic Rodus hic salta.
bellissimo questo ricordo ri rotelli, la conferenza silenziosa. bellisimo. grazie. beppe
che esperienza ascoltare il silenzio di cage. io stesso una volta fui spettatore di una performance in cui l'intervistato, un giovane artista spagnolo, disse due o tre frasi senza ben precisare di cosa effettivamente stava parlando , poi restò in silenzio a fissarci.
dopo poco, si sentivano brusii imbarazzati, alcuni accennaro un piccolo appluso pensando che il discorso fosse terminato tacendo subito dopo per la vergogna, pensando invece di aver interrotto una sua pausa contemplativa, altri tossirono.
poco dopo l'artista disse "avete appena assistito ad una performance di jhon cage..."
e li le risate di chi conosceva cage e lo sgomento di chi non ne aveva mai sentito parlare!
il silenzio è disarmante per chi ha paura di ascoltarlo, no?...
cosa mi dice di demetrio stratos, colui che "cantava" gli spartiti di cage ;)
adriano petrucci
il silenzio mi ha sempre affascinato, faccio poca conversazione di cose inutili. Ma è soprattutto quando sono al mare che non capisco come mai gli altri non sono interessati a sentire la sua voce. Poi mi dico che reagisconono maleducatamente alla paura di non esserci. Ci sono se fanno mostra rumorosa di quel sè che deve imporsi, e in maniera direttamente proporzionale il rumore cresce con la disattenzione. E poi è il narcisismo dilagante che fa credere a tutti di essere così interessanti e unici che gli altri anelano di starli a sentire???
A volte mi pesa indicibilmente, l'assenza di silenzio continua che viviamo. La musica di sottofondo che dovunque sembra irrinunciabile: come vivere dentro un enorme centro commerciale perenne, senza uscita, dove nemmeno la musica è musica, ma radiazione di fondo. Pur di garantire che non succeda mai, mai, di restare davvero soli.
...posso ricordare la Montessori che ha 'inventato' il 'gioco del silenzio'?
Grazie, Beppe, e buona estate...
Felicia
grazie, cara felicia. non lo sapevo, se no lo avrei scritto... beppe
Molto bello.
Per esperienza personale, posso però aggiungere che saper stare da soli può essere causa di mille problemi - ma hai già spiegato bene con l'esempio della radio...
A proposito, a leggerti si direbbe che conosci bene i "documentari radiofonici" di Glenn Gould.
PS: nel racconto di Böll, il dottor Murke conserva con cura in una scatoletta i ritagli di silenzio presi dai discorsi alla radio dei politici e dei predicatori, che si tagliavano dai nastri per rendere più spedito il discorso (oggi con il computer non si può più fare).
grazie, giulano, della precisazione e del rimando a Gould... (beppe)
Esiste un bel film (bellissimo ma molto impegnativo, lo segnalo solo per chi è davvero interessato):
il titolo esatto è
"32 piccoli film su Glenn Gould"
del canadese Francis Girard, 1997.
Vi si parla molto del Canada, del silenzio, dell'ascolto.
PS: grazie a te, Beppe! almeno uno o due che fanno i giornalisti in Italia esistono ancora (ma forse oggi sarebbe meglio cambiare nome alla tua professione: visto chi viene fatto passare per giornalista o addirittura Grande Giornalista, meglio darsi alla fuga)
beh, grazie, ma io non sono giornalista, comunque..
Posta un commento