2/23/2009

Un articolo di Bernard Henri Lévy: "Battisti, il Brasile e l'Italia: principi"

Questo articolo del celebre intellettuale francese, uscito su Le Point il 19febbraio scorso, ripreso da l'Unità del 24 febbraio (per gentile concessione dell'Autore), mi sembra un buon contributo a una riflessione pacata su alcuni aspetti giuridico-politici degli anni '70):

Battisti, il Brasile e l'Italia: principi

Occorre ripeterlo ancora una volta?
La persona di Cesare Battisti non è qui in questione. Ignoro se abbia commesso o no i crimini che gli sono imputati, e che lui nega strenuamente dall’inizio. E odio in generale tutto quel terrorismo di cui egli si fece propagandista e per il quale non trovo, né mai troverò, circostanze attenuanti.
Detto questo, vedo le reazioni della stampa da quando il ministro brasiliano della Giustizia, Tarso Genro, ha deciso di accordargli l’asilo politico nel suo Paese.
Osservo, in Italia, uno strano clima d’isteria all’idea di veder fuggire un uomo che abbracciò, come migliaia di altri, la tesi imbecille della «lotta armata», ma di cui si sta facendo - sic – il peggior criminale degli anni di piombo, l’incarnazione del loro orrore, la personificazione del male, il diavolo.
E credo che occorra riaffermare ancora una volta – a qualunque costo, e anche se la faccenda sembra marginale o secondaria rispetto alla crisi sociale, alla povertà in aumento o all’esplosione di proteste in Guadalupe - un certo numero di principi.

1 L’Italia è, senza possibile dubbio, une grande democrazia. Ma anche alle più incontestabili democrazie accade di nascondere punti d’imperfezione e zone d’ombra. Gli Stati Uniti e la pena di morte… La tortura, in Francia, all’epoca della guerra d’Algeria... L’Inghilterra minata, per decenni, da una guerra civile irlandese che sembrava non potesse risolversi se non nel sangue e nelle leggi d’eccezione... Ebbene, proprio allo stesso modo l’Italia, nell’urgenza della lotta antiterrorista degli anni 1970, si è dotata di un arsenale legislativo in cui figurava, in particolare, una legge sui pentiti capace di far acquistare a un uomo tutta o parte della sua impunità caricandone il peso su qualcun altro. E’ quanto è accaduto a Cesare Battisti. E’ sulla parola di pentiti (tra cui il capo del suo gruppo, il torbido Pietro Mutti) che è stato condannato vent’anni fa al carcere a vita. E a distanza, ora che si è usciti dallo stato d’emergenza ed è giunto il momento di lenire le ferite, vi è qui qualcosa di inaccettabile.

2 Tra i punti critici della democrazia italiana c’è un’altra stranezza, quella legge sulla contumacia che fa che un imputato, condannato in sua assenza e poi catturato dalla giustizia, vedrà applicarsi meccanicamente la pena pronunciata allora senza avere la possibilità, come in Francia o in Brasile, di essere giudicato di nuovo. Fu Battisti, durante quel processo in contumacia, rappresentato da un avvocato che avesse egli stesso, dal suo esilio messicano, doverosamente incaricato a tale scopo? No, dice giustamente Fred Vargas, che con l’ausilio di perizie grafologiche ha mostrato ai Brasiliani che sussiste più di un dubbio sull’autenticità di quel mandato. E, soprattutto, la difesa di un avvocato non potrà mai sostituire completamente la comparizione davanti a un giudice - faccia a faccia, parola contro parola - di un uomo su cui pesano presunzioni di crimini così terribili. Qualsiasi cosa abbia fatto o potuto fare, trent’anni fa, il futuro autore di «Cargo sentimentale», aveva anche lui diritto, almeno una volta, di incontrare i propri giudici. Ed è perché quel diritto non gli era stato offerto, e che il codice penale italiano stabilisce che egli sarebbe andato, in caso di estradizione, direttamente alla casella “prigione a vita”, che sarebbe stato giusto accordargli - anche se il termine sembra improprio, anche se può apparire scioccante - lo statuto di «rifugiato politico».

3 Non si affronta un problema così enorme come quello degli anni di piombo italiani fabbricando un mostro, incollandogli sulla schiena la totalità dei crimini della sua organizzazione, cucendogli addosso, sulla pelle, l’intero ammasso dei peccati di un’epoca di cui fu solo una pallida comparsa, producendo insomma un capro espiatorio la cui esecuzione giudiziaria darebbe il sentimento di essersi sdebitati e assolti, con poca spesa, dal lavoro di rimemorazione e di lutto. Tuttavia è ciò che ha fatto Silvio Berlusconi facendo uscire dal cappello, cinque anni fa, quel nome di Battisti che tutti o quasi avevano dimenticato. E’ ciò che fa quella parte dell’opinione pubblica italiana che preferisce cancellare, accusando il solo Battisti, la terrificante complessità di un’epoca storica in cui si affrontarono i terrorismi di estrema sinistra, i terrorismi di estrema destra, e gli intrighi mafiosi di uno Stato che strumentalizzava gli uni e gli altri (si veda il film Il Divo, che Paolo Sorrentino ha appena consacrato all’inossidabile Presidente del Consiglio di quelli e degli anni successivi, Giulio Andreotti). Tutto questo non fa bene né all’Italia di oggi né alla lotta contro il terrorismo di domani, né, infine, alle vittime che non hanno niente da guadagnare, niente, a veder gettare in pasto, a saldo di ogni conto, dei colpevoli incerti.

Non so se sia questo a essersi detto, e in questi termini, il ministro della Giustizia del Presidente Lula. Ma credo che la sua decisione sia stata saggia. Credo che sia irragionevole scatenarsi contro un Brasile trasformato (e con quale disprezzo!) in una repubblica delle banane più nota «per le sue ballerine che per i suoi giuristi». Perché la verità di ciò che non sarebbe mai dovuto diventare «l’affare Battisti» è questa: poco importano, in questo ambito, le persone; poco importa che abbiano un bell’aspetto, buona stampa, buona reputazione, e che ispirino o no simpatia; i princìpi sono i princìpi solo se non ammettono eccezioni.
Bernard Henri Lévy
(traduzione di Beppe Sebaste)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

io odio quest'Italia che si eccita per il caso Battisti, che sta in galera in Brasile e non vede il marcio che ha in casa propria, compresi i criminali che ordirono nere trame e fecero esplodere civili inermi in nome di una strategia fascista di potere.

Non sopporto nemmeno i giornali tranne il Manifesto. Italia, paese di m. te li meriti proprio gente come berlusconi il plurinquisito affarista corrotto e dell'utri ei vari fascisti che ti deturpano l'anima e il paesaggio e violana la tua Costituzione repubblicana, nata dalla RESISTENZA.

Pietro Perrino ha detto...

Ho letto l'articolo di Bernard Henri Lèvy sul Blog di Beppe Sebaste e l’unico commento di un Anonimo. Premetto che sono giunto all’articolo si Bernard su Cesare Battisti dopo aver letto il testo di Antonio Tabucchi pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 16 gennaio 2011. Sono completamente d’accordo con Tabucchi su tutta la linea e quindi disapprovo nella maniera più categorica la superficialità di Bernard. Un vero intellettuale non può lasciarsi andare ad affermazioni assolutorie nei confronti di chi ha commesso stragi come quelle di Cesare Battisti. Un vero intellettuale se non ha tempo per documentarsi prima di scrivere un articolo dovrebbe restare in silenzio, perché sa che ogni sua parola o idea avrà delle ripercussioni profonde nella società. L’articolo di un intellettuale diventa una linea guida per molta gente non sufficientemente preparata, la quale a seconda della propria storia può sviluppare atteggiamenti e comportamenti di sostegno ad una società di per se già malata. Un vero intellettuale quando scrive deve sempre dire la verità, non la sua, ma quella che emerge dai fatti (dopo numerose verifiche), e pensare a l’effetto che le sue idee, nero su bianco, possono avere sulla evoluzione di una società. Insomma, il livello di attenzione e di responsabilità di un vero intellettuale,nel dire, fare e scrivere, deve essere di gran lunga superiore a quello di un comune mortale che legge i suoi scritti. Se a tutto ciò aggiungiamo anche il fatto che sappiamo perché la Francia non restituì all’Italia Battisti, io da comune lettore non posso non fare cattivi pensieri sulla coscienza e morale di alcuni intellettuali. Circa il commento dell'Anonimo, dico brevemente che non è che siccome abbiamo in Italia un plurinquisito a piede libero dobbiamo lasciar perdere le stragi di Battisti. Quando si interviene su un argomento così importante, come quello di Battisti, bisogna controllare se il cervello è a posto, altrimenti si rischia di non dare un contributo reale alla sostanza degli eventi.