Il 17 maggio del 2003, in piazzale Baracca, Milano, due giovani rapinarono un bar tabacchi. Stavano uscendo coi mille euro rubati alla cassa quando il tabaccaio prese la pistola che teneva nello sgabuzzino e sparò loro alla schiena, inseguendoli per strada. Un colpo uccise Alfredo Merlino di 20 anni, un altro ferì il complice, oggi 24enne. In giugno dello stesso anno, di passaggio a Milano, incontrai dopo tanto tempo l’amica poetessa Livia Chandra Candiani (Bevendo il tè con i morti è il suo ultimo libro). Parlammo tra l’altro di finestre - di quello che si vede fuori, del mondo; di quelle viste da fuori, dal mondo – e fu così che mi raccontò un’esperienza che l’aveva molto turbata. Il 17 maggio, richiamata da urla o forse solo per istinto, va alla finestra. Un uomo correva trafelato e ferito. Si guardano, entrambi trasaliscono. Lui gronda sangue e paura, lei gli dice férmati. Lui trova requie sotto la sua finestra e s’appoggia a un albero. Continuano a guardarsi. Lei gli offre aiuto, lui resta, e in quella calma, gli occhi incollati ai suoi, si lascia morire. Più tardi lei avrebbe saputo: vent’anni, tentata rapina. Le urla erano quelle degli inseguitori di piazzale Baracca. Omissioni di soccorso probabili, ma subì minacce nel quartiere soltanto a nominarle. Scrisse allora una poesia per metabolizzare l’esperienza. E testimoniare. Quella sera di giugno me ne fece dono: “Fidanzata con il respiro / scorro nelle strade, / la tua macchia di sangue / l’ha lavata la pioggia / i cani della mia rabbia / non avrebbero lasciato avvicinare / i lavatori di cattivi soggetti, / [...] Cosa accusa / il corpo che resta a terra, / della terra... La notizia è che la corte d’Assise ha condannato il tabaccaio per omicidio colposo: un anno e otto mesi. La poesia, che è un altro tipo di notizia che non si esaurisce una volta letta, parla di pietas, riparo e sguardo, fino all’ultimo respiro - “senza trionfo nell’aria poliziesca, / sotto l’albero cui ti sei appoggiato / per un ultimo atto verticale”.
(uscito oggi su l'Unità, rubrica domenicale "acchiappafantasmi")
2 commenti:
Non so...ho letto della sentenza e dello scandalo che ha provocato nello stomaco turbolento dei perbenisti...il giovane ucciso per loro non è vittima...il tabaccaio che ha sparato per loro non è carnefice. Tutto viene semplificato in un rapido processo di causa ed effetto...se poi ci scappa il morto pianto o rabbia dipendono solo da che parte stava della barricata prima di finire esanime a terra.
In pochi hanno l'animo di fermarsi e pensare che non esistono carnefici ma solo vittime di un sistema di una società carnefice dei valore più alto : LA VITA.
Grazie Beppe per la poesia che ci hai fatto leggere...veramente toccante.
HASTA SIEMPRE
PABLO
Il Terrore, non dimentichiamolo, è reciproco...C'è chi compie e chi subisce. L'Orrore è negli occhi di chi vive un gesto, sia di chi lo compie che di chi lo subisce. Re Cecconi, era un ragazzotto spavaldo, forse simile a Cassano, ebbe la sventura di mettersi a giocare a fare il rapinatore, come nei film polizieschi di quegli anni settanta, ma con la persona sbagliata. Il gioielliere che lo accolse aveva subìto già diverse rapine, di quelle vere. Accecato dalla paura, non riconobbe lo scherzo, sentì solo: "Fermi tuttutti è una Rapina!"...Non ci pensò due volte ad estrarre un arma è chiudere l'esistenza di quel grande campione.
Mio zio era tifoso della Lazio, anch'egli gioielliere vittima di rapine, fu tra i primi a firmare per la liberazione del collega...
Morale? Se ci fosse una morale è sempre la stessa: dovremmo rispettare le nostre libertà, sempre diverse, in mondi diversi, le nostre azioni hanno effetto su noi stessi prima di tutto...speriamo che abbiano un buon effetto anche sugli altri...
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