Si noti l’uso giustificatorio della parola “patria” nelle frasi di Ignazio La Russa. Come se chi combatte per la “patria” sia comunque legittimato, compreso, perdonato (come i mercenari italiani in Irak?). Il Presidente Napolitano ha ricordato che solo chi combatté contro la Repubblica Sociale di Salò e contro i nazisti furono eroi della patria: l’Italia nata dalla Resistenza. Eppure, ci sono certe parole che è meglio tralasciare –per esempio Patria - malgrado l’insistenza con cui il segretario del Pd fece usò in campagna elettorale dell’inno italiano, che sostituì ogni altra appartenenza ideale. Nell’era della globalizzazione, le idee politiche sono sovra-nazionali o non sono.
Per questo vorrei ricordare le parole di un diplomatico italiano con lunga esperienza all’Onu, specialista di «diplomazia preventiva» e di soluzione dei conflitti. Si chiama Roberto Toscano, e oltre che essere il nostro attuale ambasciatore a Teheran è autore di vari libri di etica e politica internazionale. La sua analisi della violenza di gruppo, fino alla legittimazione della guerra negli Stati che si esonerano dal giudizio etico e politico, mostra il legame con la logica narcisista e infausta dell’identità, come nello slogan patriottico americano My country, right or wrong (il mio Paese, giusto o sbagliato). Per misurarne gli effetti devastanti, scriveva Toscano, basta applicare la stessa pretesa di non applicabilità del giudizio ad altri codici e contesti: Il Mein Kampf di Hitler potrebbe avere come sottotitolo «la mia razza, a torto o a ragione»; la mafia da potrebbe fregiarsi dell’iscrizione «la mia famiglia, a torto o a ragione», e il comunismo totalitario di Stalin potrebbe sottoscrivere il proclama «il mio partito, a torto o a ragione». Il giudizio politico, come il giudizio morale, occorre rivolgerlo anche alla propria parte, o patria.
Come già per una certa politica securitaria (ricordate le espulsioni dei Rumeni lo scorso novembre?) prolungata dalla destra italiana con ossessiva demagogia, xenofoba e razziale, certi temi, certe forme, certe intemperanze, bisogna lasciarle alla destra e non legittimarle. Mai. E’ una politica culturale e civile, prioritaria rispetto a ogni “riformismo”. Forse potrebbe essere proprio questo evidente neo-neofascismo della destra italiana - ormai composta di un unico partito, ironicamente definito “della liberta” – a far sì che il centrosinistra possa segnalarsi per una diversa visione del mondo, dei valori, della democrazia. Per un’opposizione, non per una concorrenza.
(uscito su l'Unità, oggi 11 sett., col titolo "Le insostenibili parole della destra")
8 commenti:
Caro Sebaste, son brutti tempi. A me, credendomi d'accordo, vengono a dire delle cose che mi fanno venire i brividi: e mica da oggi, da sempre. Qui in Lombardia, nord di Milano, intendo: la differenza rispetto a trent'anni fa è che adesso sono al governo.
Brutti tempi, e penso che il prossimo capitolo sarà il referendum per la separazione del Nord dal resto dell'Italia: è già tutto pronto, polizia locale, sanità locale, scuola, tutto.
Grazie comunque per quello che continui a scrivere!
Giuliano
(ne approfitto per chiedere scusa di aver "piratato" tempo fa un articolo su Bertolucci: ma citando bene la fonte, e solo per ammirazione, su http://abbracciepopcorn.blogspot.com/ )
pas de mal... come dice godard, il n'y a pas des droits d'auteurs, il n'y a que des devoirs d'auteur...
grazie del tuo messaggio. in qsti brutti tempi fa piacere... beppe
La ringrazio per Blog intiresny
La ringrazio per intiresnuyu iformatsiyu
Perche non:)
leggere l'intero blog, pretty good
good start
good start
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