Memoria, Storia e Letteratura
Siamo entrati da tempo nell’Era del testimone, come titolava Annette Wievorka un suo libro sugli effetti della Shoah sulla Storia. L’epoca cioè in cui l’avvento dei “sopravvissuti” (cioè testimoni), della memoria viva e della storia orale, e il dilatarsi della nozione di “archivio”, hanno introdotto una storia al presente e del presente. Spesso la memoria si pone anzi in conflitto con la storia, nell’ambizione di sostituirla con una versione meno arida e più soggettiva dei fatti. E sui rischi di una “ossessione commemorativa”, di un’estetizzazione e una reificazione del passato sul modello consumistico, ci avverte lo storico Enzo Traverso nell’introduzione al suo bel saggio che agli usi della memoria è dedicato: Il passato: istruzioni per l’uso. Storia, memoria, politica.
E’ un libro ricco e denso, anche di riferimenti bibliografici. Il confronto tra storia e memoria, col peso e il valore che rispettivamente assumono la soggettività empatica dell’una, e l’oggettività distaccata e livellatrice della seconda, permette all’autore agili zoomate teoriche sui concetti di esperienza, empatia, identità, revisione e revisionismo della storia. Vi sono inoltre pagine attualissime sulla differenza tra storico, testimone, giudice e scrittore. Il confronto che Traverso compie tra il mestiere dello storico e quello dello scrittore, che negli ultimi anni si sono a volte scambiati i ruoli fino a confondersi, illumina poi da storico questioni importanti per chi si occupa di letteratura e di forme narrative.
E’ un fatto che da anni la letteratura trovi i suoi effetti più romanzeschi proprio lasciando da parte i modi e le strutture narrative della fiction, a favore di una sorta di “documentario”. Non solo cioè con un “effetto di realtà”, ma con l’uso, non illustrativo ma strutturale, di documenti veri e propri: lettere, fotografie, ritagli di giornali, ecc., inseriti nel tessuto della narrazione. Trame che si confondono con la nozione stessa di archivio e/o di inchiesta, storie costruite stilisticamente col montaggio di documenti. Aveva cominciato, se non sbaglio, il grande narratore tedesco (ma residente in Inghilterra) W. G. Sebald, di cui non a caso Traverso cita la Storia naturale della distruzione (Adelphi). Sebald, che tra i suoi imitatori annovera l’Umberto Eco di La misteriosa fiamma della regina Loana (che pure ha a che fare con la memoria), ha insegnato che la soggettività non solo non si perde né si nega nel perseguire un romanzo che assume i tratti dell’indagine più oggettiva e referenziale, ma si potenzia fino all’ossessione. E la più grande oggettività, il reale più estremo e vincolante, non impedisce il completo dispiegarsi della libertà espressiva dell’autore. E’ il caso, analogamente, di quei libri che nascono reportages ma sfociano nel romanzo, come il bellissimo e tremendo Ossa nel deserto di Sergio Gonzalez Rodriguez (Adelphi), dedicato ai massacri irrisolti di donne a Ciudad Juarez, alla frontiera tra Usa e Messico (tema ripreso da altri libri recenti, alcuni dei quali tradotti in italiano, di Charles Bowden, Rohry Benitez e Victor Ronquillo). Ed è soprattutto il caso del “gonzo journalism” di Hunter Thompson (di cui la casa editrice Shake ristampa uno dei suoi racconti-reportage, Hell’s Angels), cioè una contaminazione tra cronaca e narrativa rigorosamente in prima persona, il cui motore è dato dalla consapevolezza che la vita è ciò che ti succede mentre stai facendo qualcosa d’altro.
Non sono tanto le storie straordinarie a nutrire questo genere - come nell’appassionante album di famiglia di Antonio Moresco, Zio Demostene. Vita di randagi (Effigie, 2005) - ma vicende private e ordinarie. L’approdo letterario dei racconti orali di Ascanio Celestini (l’ultimo, Pecora nera, dà voce all’universo dei malati di mente) è sulla scia delle testimonianze che hanno rinnovato la Storia, e di cui Alessandro Portelli in Italia è stato pioniere e maestro (si veda il suo ultimo libro, Città di parole. Storia orale di una periferia romana, Donzelli). Sono libri che raccontano delle vite e, nel farlo, usano anche i mezzi espressivi e il punto di vista, o addirittura i documenti, di chi quella vita ha vissuto, memoria compresa. A monte di tutto questo vi è una scoperta estetica che l’arte contemporanea ha per prima fatto propria: la qualità elegiaca e universale di frammenti e oggetti della vita ordinaria degli individui, o i loro volti anonimi, come quelli sgranati e ingranditi che popolano come fantasmi le esposizioni di Christian Boltanski, ma sono poi gli stessi che i giornali di provincia pubblicano nella pagina dei morti. Se nell’arte opera da tempo una nozione attiva di “archivio”, che ne ha deterritorializzato e riterritorializzato gli orizzonti, la letteratura è appena agli inizi. Eccone alcuni esempi recentissimi.
Due vite vengono riesumate dallo scrittore indiano Vikram Seth nel suo nuovo romanzo (Due vite, Longanesi), quelle dello zio Shanti e della moglie Henny Caro. Lui indiano, lei ebrea tedesca, entrambi emigrati a Londra. Dapprima le lettere trovate dal nipote compongono il ritratto dello zio, la sua giovinezza a Berlino dove conosce la famiglia Caro, la partecipazione alla seconda guerra mondiale come medico dentista, la perdita di un braccio – e già questo è un romanzo, una parabola di destino. Ma vi si narra anche l’arrivo a Londra, dove lo zio Shanti incontrerà di nuovo Henny, anch’essa esule (ebrea). E a questo punto è la storia di Henny a prendere il sopravvento, dopo la scoperta da parte dell’autore di un baule di documenti, lettere e fotografie, che rivelano a poco a poco il passato di quella zia rimasta sempre un po’ ai limiti del grande cerchio della famiglia Seth. E’ così che, da adulto, Vikram Seth “scopre” l’Olocausto, e il libro, attraverso la riesumazione di un archivio di famiglia trovato in soffitta, si affaccia sugli orrori del Novecento europeo, scopre la Storia attraverso la microstoria, fino all’ossessione, la visita al museo dell’Olocausto e i pellegrinaggi a Berlino e in Israele, che è come dire alla fonte monumentalizzata della memoria contemporanea.
La soffitta è anche all’origine di quel piccolo capolavoro cinematografico, e del libro che ora lo accompagna, che la milanese Alina Marazzi ci consegna in Un’ora sola ti vorrei. E’ la storia della madre, morta suicida quando l’autrice era bambina, narrata esclusivamente attraverso fotografie, lettere, reperti medici, diari, filmini di famiglia, in un archivio femminile che attraversa le generazioni e in cui ogni donna può ritrovare qualcosa della propria identità e genealogia: “Il fatto che ci fosse in solaio un baule con dentro tutto quello che rimaneva di mia madre era al tempo stesso magico e macabro” – scrive Alina Marazzi. E ancora: “le immagini di Un’ora sola ti vorrei sono private non solo nel senso che appartengono a una famiglia, ma perché riguardano la quotidianità: immagini apparentemente insignificanti che ritraggono momenti di vita di una ragazza e di una madre”, immagini che “mostrano i gesti di sempre, ripetuti da ogni donna di ogni epoca e generazione”.
Ma il genere letterario che il saggio di Traverso aiuta a identificare non è il mero ritratto di famiglia, non è il romanzo genealogico, che in fondo è sempre esistito (e tra i più recenti cito Mille anni che sto qui di Mariolina Venezia, edito da Einaudi), né tantomeno un ritorno del positivismo o del verismo. Il romanzo (se di romanzo ancora si tratta) cui qui si allude, comporta un uso non decorativo della memoria, e un uso non intimistico del proprio privato. La spietatezza dello storico e l’empatia del testimone sembrano guidare un’ossessione intensamente documentaria che tratta la realtà come un fantasma, mostrando la scaturigine e la formazione del proprio dire presente. Che è autobiografico, certo. Ma in fondo la Vita nuova di Dante (che in prosa raccontava come e dove erano nate le sue poesie) non è anch’esso un documentario, oltre a un canzoniere, una memoria e un monumento all’ossessione?
I libri di cui si parla:
Enzo Traverso, Il passato: istruzioni per l’uso. Storia, memoria, politica, ombre corte, 2006, p. 143, euro 12,50
Vikram Seth, Due vite, Longanesi, 2006 (trad. di Stefano Beretta), p. 529, euro 18,60
Alina Marazzi, Un’ora sola ti vorrei (libro + dvd), Rizzoli 2006, euro 19,50
Ascanio Celestini, La pecora nera, Einaudi 2006, p. 97, euro 11,50
Alessandro Portelli, con B. Bonomo, A. Sotgia, U. Vaccaro, Città di parole. Storia orale di une periferia romana, Donzelli 2006, p. 245, euro 21,90
9 commenti:
Bene! Tanti auguri per il blog di Beppe. Tra l'altro non conosco il libro di Traverso: tu ne metti bene in evidenza l'interesse. Cercherò di leggerlo. Un saluto da Giulio Ferroni
In bocca al lupo!!
Accidenti ma io mi sento in imbarazzo a lasciare la mia firma sul tuo blog!!!!!!!!!!
Per esserne degno dovrei aver scritto almeno una breve storia dell'arte o un trattatello di linguistica, che ne so: frammenti di storia locale!
Il Blog fatto da TE: direi che è un'ottima maniera per leggere dei testi irreperibili e per lasciare dei commenti...inappropriati come il mio! Ma col tempo migliorerò! (anche se mi sono accorto che col passare del tempo faccio sempre in tempo a peggiorare)...l'unica cosa che migliora è la bibliografia che metto in fondo alla tesi che devi leggere!!!! AH! AH! AH!
C'hai presente quei blog, dove tutti dicono quello che vogliono...
un salutone da davide
grazie di cuore: a giulio, a parolamia, e naturalmente a davide (non ostentare timidezze).
Caro Beppe, che bello trovarti qui. E leggerti e seguire i tuoi pensieri. E far compagnia e incontrarsi piu’ spesso. Ciao Rossella
Pezzo interessantissimo, e una bella scoperta il tuo blog, Beppe.
Un blog decisamente "contenutistico", come cerco di fare io e come si sta discutendo nel mio ultimo post, a cui t'invito.
a rileggerci presto.
non entro nel merito. volevo solo dirti che, per me, questo è il blog graficamente più elegante che abbia incontrato in rete.
ciao
marco salvador
Ciao BEppe,
e un in bocca al lupo per la tua attività on line
lello voce
good start
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