6/26/2012

"Le passeggiate del sognatore solitario", ovvero le "Rêveries", di Jean-Jacques Rousseau. Brani dalla mia Introduzione

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 Le passeggiate del sognatore solitario, iniziate nell’autunno 1776, subito dopo la redazione dei Dialoghi (Dialogues ou Rousseau juge de Jean.Jacques) - la seconda passaggiata è redatta alla fine dell’anno, dopo l’incidente di Ménilmontant de 24 ottobre 1776 - , riprese nel 1777 (dalla terza alla settima), e poi nel 1778 (dalla fine dell’inverno al 2 maggio, “jour de Pâques fleuries”), è forse il manifesto di ciò che viene chiamato pre-romanticismo. Che cosa vuol dire? Nel suo senso profondo, come il romanticismo, si tratta della precoce scoperta di una dimensione della sensibilità e dell’intelletto - una nuova soggettività - inseparabile da una consapevolezza critica delle strutture sociali della nostra civiltà, e del conseguente rimpicciolirsi del concetto di realtà, che in compenso si veste di una solida armatura. In Rousseau la fondazione della soggettività si accompagna, è noto, alla passione della politica e all’invenzione della democrazia, quella “sovranità popolare” spesso abusata e manipolata dai posteri. In questo senso appartengono al romanticismo gli scritti di Rousseau come quelli di Marx (accomunati da una denuncia, pur se su piani diversi, dell’alienazione), la Ginestra di Leopardi e l’Albatros di Baudelaire, la veggenza di Rimbaud e i mondi possibili di Philip K. Dick (e la sua interrogazione sulla realtà della realtà), il Disagio della civiltà di Freud e Eros e civiltà di Marcuse, Allen Ginsberg, gli hippie e il recente movimento di protesta Occupy WS. La dimensione inaugurata dal romanticismo, a differenza di altri ismi, non ci abbandonerà più. Quello di Rousseau, scaturito nel pieno del secolo dell’Illuminismo, è la scoperta che, una volta lasciata la propria casa, è molto difficile ritornarvi, e l’alternativa è tra la deriva nomade (come la Wanderung dei romantici tedeschi) e la costruzione di una nuova , spesso utopica dimora.
   Le Passeggiate è un’opera in cui la natura è onnipresente, ma il cui centro è quello che l’autore chiama “il sentimento dell’esistenza”, ciò che lo rende il primo testo consapevolmente ecologico (nel senso anche di un’ecologia della mente) della letteratura moderna in Europa. E’ l’opera in cui con più fascino si dispiega l’incomparabile musicalità della lingua di Rousseau, e dove per la prima volta si fa uso della parola “romantico” (e a volte dell’adiacente “romanzesco”) in riferimento a un paesaggio, o meglio, a un modo di vedere il mondo esterno e dirsi consapevoli di essere nel mondo, e che tutto è connesso con tutto. E’ anche un documento straordinario della patologia psichica di un individuo che cerca e trova compensazione e sollievo alla propria sofferenza nell’attività di sognare a occhi aperti, nell’ozio e nella contemplazione (che significa: fare il proprio tempio), nel libero divagare con la mente – tutte azioni racchiuse nella parola rêverie, “trasognamento”; che trova compensazione e sollievo nel registrare, in una scrittura altrettanto libera, l’ebbrezza e l’incanto di questo abbandono. E’ la testimonianza poetico-psichica di un’operazione alchemica riuscita, una trasmutazione della sofferenza in musica attraverso una serie di altre trasformazioni esemplari: della passione in pazienza, del disagio in armonia, della lotta in resa, dell’esilio in estasi, dell’odio in conciliazione, della solitudine in grazia e autosufficienza. E dove immanente e trascendente, vita e sogno, come in ogni vera esperienza estatica (ed estetica) coincidono.
   E’ infine il primo testo non di finzione in cui l’autore, esiliato e auto-esiliatosi dal mondo, ormai fuori dal sistema di circolazione e valorizzazione degli oggetti letterari (dall’establishement, si diceva nel Novecento) e dall’orizzonte di un pubblico, è davvero convinto di rivolgersi solo a se stesso (pur non scrivendo un diario),  senz’altri testimoni (tranne Dio e il vago fantasma dei posteri), ciò che accomuna le Rêveries alla forma della preghiera. 
   
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 La mia responsabilità si segnala già dal titolo, che anagrammando l’ordine di quello originale, Les rêveries du promeneur solitaire, evita di incorrere nella falsa, oltre che fastidiosamente cacofonica, traduzione abituale (“Le fantasticherie del passeggiatore solitario”), di fronte alla quale provo da sempre un moto di rigetto. Sono molto contento di non adoperare mai né la parola “fantasticheria” né tantomeno “passeggiatore”. Il titolo adottato rispecchia d’altronde le scansioni del testo in capitoli, che Rousseau chiama “Passeggiate”, e come si vedrà tutto nella sua concezione porta a un’identificazione tra il camminare e il sognare (e un certo modo di scrivere) nella comune sintesi di vagare, divagare, vagabondare con la mente e col corpo (coi piedi). Quanto alla bellissima parola rêverie, sogno prolungato e spesso diurno, essa non designa in nessun caso uno sforzo cosciente, non ha la frivolezza di una “fantasticheria” - che presuppone già un giudizio, e un’idea di “realtà” da cui il fantasticare è supposto allontanarsi - e precede in ogni caso ogni eventuale codificazione letteraria in generi. Ho adottato la parola italiana trasognamento, che dice e mantiene esattamente l’idea di un sogno prolungato e in stato di veglia. Come ci ricorda Tommaseo nel suo Dizionario, “trasognare” significa “andar vagando nella mente, come fa colui che sogna” (ed è usato in questo senso ad esempio dal Boccaccio nel Ninfale Fiesolano). Occorre poi ricordare che all’epoca di Rousseau non c’era tanta distinzione tra la meditazione, la contemplazione e il sogno a occhi aperti.
   In un dotto excursus etimologico, Marcel Raymond, uno degli interpreti più appassionati di Rousseau, ha ricordato che il verbo rever – da cui il sostantivo rêverie – verrebbe probabilmente dal latino reexvagare, spiegando così come il primo significato di questa parola fosse quello di vagabondare, errare, vagare in giro. (I dizionari confermano: per il Petit Robert rêver, dal gallo-romano esver (da esvo, latino, exvagus) significa prima di tutto “vagabondare”, almeno dal XIII secolo. E’ solo molto più tardi (ne testimonia per primo il Dictionnaire di Furetière) che il verbo rêver acquista il senso di “delirare”, fare sogni e pensieri stravaganti. L’eccezionalità del testo di Rousseau consiste anche in questo, nel realizzare il programma di scrivere senza programma, passeggiare e sognare, divagare e testimoniare per iscritto tutto quanto viene alla mente, errore e erranza, mettendo l’accento sul corso del pensiero invece che sull’ ordine del pensiero, privilegiando il corso, il fluire del tempo, invece che l’ordine del tempo. Questo elogio pratico del divagare lo ritroveremo ad esempio nella Passeggiata di un altro svizzero, Robert Walzer; dove, forse con più pace e conciliazione, l’autore ci insegna analogamente ad allargare i confini di ciò che è considerato raccontabile e degno di nota, narrando eventi minimi come alzare il cappello per salutare un passante, guardare un raggio di sole nell’aria, assaporare un profumo. Scrivere come passare, come passeggiare, nella libera svagata andatura di chi sa che non c’è nessun posto in cui si deve andare o far finta di andare, nessun porto cui approdare, tranne forse la morte (e Rousseau morì praticamente con questi fogli in mano).
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3 commenti:

Rossland ha detto...

Bellissimo...

amina narimi ha detto...

sì,bellissimo,da sperara non finisse così in fretta
mi sono creduta su di un treno a sfogliare colori dai finestrini...troppo veloce
rileggerò

Anonimo ha detto...

Grazie! Conunque sono solo frammenti dell'Introduzione più lunga che c'è nel libro... (beppe s.)