5/21/2012

Un reportage da Vigevano per Lucio Mastronardi (e per Riccardo De Gennaro)


 (uscito su Venerdì di Repubblica del 18 maggio '12)

  “Fare soldi, per fare soldi, per fare soldi: se esistono altre  prospettive, chiedo scusa, non le ho viste. Di abitanti cinquantasettemila, di operai venticinquemila, di milionari a  battaglioni affiancati, di librerie neanche una”.
   Così iniziava un mitico pungente reportage da Vigevano che Giorgio Bocca firmò su Il Giorno, 14 gennaio 1962. Vi descrive la nascita del self made man italiano, i laboriosi industriali fai da te, i primi evasori fiscali. Descrive cioè il particolare miracolo dentro al miracolo economico italiano della produzione di scarpe di Vigevano. Ma a richiamarne l’attenzione fu l’uscita di un piccolo grande libro, Il maestro di Vigevano del trentenne Lucio Mastronardi, coscienza libera e inquieta della città. Il successo del romanzo (primo di una trilogia che comprende Il calzolaio di Vigevano e Il meridionale di Vigevano) fu alimentato dal film di Elio Petri con Alberto Sordi.
   Ora, se parliamo di Vigevano, di Mastronardi e del reportage di Bocca a cinquant’anni dalla loro pubblicazione, e dall’esplosione dei fuochi d’artificio del neocapitalismo italiano, è grazie all’uscita di una bellissima “vita di Lucio Mastronardi”. Titolo: La rivolta impossibile. Si legge come un romanzo, e l’ha scritta dopo un annoso lavoro il giornalista e scrittore Riccardo De Gennaro. Le cose arrivano quando devono arrivare, e la sincronia è perfetta: come già per la denuncia del consumismo di Pasolini, forse solo oggi capiamo integralmente la verità attuale della descrizione del mondo capovolto che Mastronardi ci ha dato, il fallimento umano del capitalismo, la vita alienata e il mito del denaro, e l’impossibile uscita dalla caverna. De Gennaro non racconta solo la storia di un magnifico perdente (Mastronardi si suicidò gettandosi nel Ticino nel 1979), ma una provincia universale che ci riguarda tutti.
   Stralunato maestro elementare, Mastronardi raccontò l’atroce e grottesco costo umano della corsa all’arricchirsi dei suoi concittadini, uomini e donne, e la conseguente messa al bando di ogni valore che non fosse il profitto o la “fabbrichetta”, e il disprezzo verso ogni altra attività, come l’educazione, la scuola o la cultura. “L’unico posto a Vigevano dove non si fabbricano scarpe è il carcere, lì si fabbricano penne a sfera”, disse (avendo conosciuto sia il carcere che il manicomio) a un critico letterario. Pubblicò nei prestigiosi “Coralli” di Einaudi grazie all’interessamento di Elio Vittorini prima, di Italo Calvino poi. Nel generale impazzimento il diverso divenne lui, e la sua marginalità, la sua umanissima rivolta – simile a quella che a Milano visse l’altro grande scrittore provinciale, Luciano Bianciardi, che di Mastronardi fu intimo amico – virò in quella follia poetica e walseriana che è il modo di dire la verità, sguardo e stile visionari, da “provincia matta”, che lega Pietro Ghizzardi a Gianni Celati, passando per Cesare Zavattini.
   Cinquant’anni dopo eccomi dunque a Vigevano per un molteplice omaggio, e la prima cosa che faccio per strada è guardare i piedi della gente. Lo disse Mastronardi a Sordi: a Vigevano alla fermata dell’autobus ognuno guarda i piedi dell’altro e lo giudica dalla pelle delle scarpe. Gli abitanti hanno superato i 60.000 grazie agli extracomunitari, ma gli operai sono vistosamente calati. Al mattino i treni da Vigevano si riempiono di pendolari, terziario e precariato diretto a Milano o dintorni. La città di Mastronardi era amministrata dalla sinistra, Pci compreso, fino agli anni ‘90. Ora è governata dalla Lega. E’ buffo, e in qualche modo mastronardiano: estrapolando frasi sulla città dai libri del suo figlio ribelle, di recente il Comune ha creato un percorso letterario visivo e sonoro, quasi una guida turistica. Ovviamente non manca la bellissima Piazza Ducale coi colonnati e i caffè, e la splendida facciata barocca del Duomo che, come una quinta teatrale, la chiude da un lato. Vi accedo dall’antico portone visconteo, dopo via Cairoli e via XX settembre, dove c’è il palazzo liberty, già albergo Canon d’Oro, in cui nacque Eleonora Duse, e dove la libreria “Nutrilamente” è sparita un anno fa, insieme alle uniche quattro panchine del centro.
   Ricordo le tante descrizioni della Piazza di Mastronardi, inadatte allo sguardo turistico: il fare la vasca degli arricchiti ingioiellati, il loro tempo vuoto e vano la sera “stravaccati sulle poltroncine”, l’operaio seduto con l’industriale, entrambi soddisfatti, “come se la ricchezza e la potenza dell’industriale si riflettessero su di lui”. Seduto qui, Mastronardi ripeteva ai giornalisti che lo intervistavano: “Sì, questa è una bella piazza, ma i vigevanesi la torre del Bramante neanche la guardano, pensano solo alle scarpe. Chi non fa scarpe è considerato un inetto, un uomo superfluo, che non è utile alla famiglia né alla città”.
   Sotto la guida colta e gentile di Mario Cantella, giornalista e uomo di lettere, vedo che il bar Sociale di Mastronardi è stato sostituito dalla Pizzeria Re di Napoli: i meridionali di Vigevano si sono presi una rivincita, mentre i cinesi volevano comprarsi (il proprietario non ha ceduto) lo storico bar Commercio. C’è il bar Bramante, ma più frequentato mi sembra il bar Colombo: molte signore benestanti ai tavolini. In piedi (il caffè al tavolo costa pur sempre 2 euro) i pensionati parlano di calcio e di politica. Sul lato opposto c’è il bar Haiti, dove si respira ancora a tratti un’umanità mastronardiana (qualche saputo chiacchierone locale, eco del giornalista Pallavicini, il paroliere di Mille bolle blu, parodiato nel Maestro di Vigevano). Ma la sera, dopo l’aperitivo, sono gli extracomunitari ad abitare i tavolini della piazza, mentre le donne col velo e la carrozzina passeggiano coi figli. Il sabato e la domenica sono i giorni dei turisti e dei milanesi.
   In piazza c’è una Feltrinelli, ma al posto della libreria Mondadori c’è ora un negozio di scarpe Geox, che beffardamente si producono in Veneto. Dal lato opposto al Duomo c’è la statua di San Giovanni Nepomuceno, dove un tempo ci si sedeva sugli scalini: un’ordinanza del vicesindaco lo ha severamente proibito. Salgo per via del Popolo, che porta alla chiesa quattrocentesca di San Pietro Martire. I negozi eleganti della prima metà della strada cedono il posto a laboratori di cinesi che lavorano senza orari e a negozi di kebab (un altro ha aperto proprio di fronte al Municipio governato dalla Lega). A proposito di cinesi: appartengono a loro molte fabbriche di componenti di calzature (tomaifici, suolifici, giunterie), anche se non ancora calzaturifici, come è successo a Prato con la manifattura. Ma l’intrattenimento culturale è quasi intenso nel Castello Sforzesco: incontri su “la città ideale” di Leonardo (uno dei numi culturali di Vigevano, che vi soggiornò), su una rivista di storia, e una mostra sullo stato indiano del Chhattisgarh. Leggo infine di una mostra d’arte contemporanea in un ex calzaturificio: le fabbriche di Vigevano sono ormai storia, anzi, archeologia industriale.

Su argomenti connessi puoi vedere anche: http://www.beppesebaste.com/articoli/luciano_bianciardi.html

2 commenti:

gianna modena ha detto...

Grazie Beppe (sottovalutato autore di "Panchine"!), bellissimo commento. Sono stata alla presentazione del libro a Roma giovedì, ed è stato molto interessante ascoltare Magrelli, Fofi e la lucida Maria Jatosti che parlavano di Mastronardi intrecciato con Bianciardi, ciascuno a suo modo. Ho comperato la trilogia di Einaudi e riscoprirò Mastronardi dopo 30 anni dalla prima volta che l'ho letto. Complimenti per il blog, l'ho scoperto casualmente e ti seguirò spesso.
Gianna

Anonimo ha detto...

piacere di trovarti e di averti qui come ospite, cara Gianna.
A presto, beppe s.