1/26/2012

C'era una volta la memoria

da: http://www.beppesebaste.com/articoli/memoria.html


   C’era una volta la memoria. Non c’era bisogno di impararla a scuola, si trasmetteva quasi da sé, da bocca a orecchio, come le storie. I racconti di chi ci ha preceduto in questo mondo erano più ricchi e avventurosi del Signore degli Anelli, forse perché erano veri, narrati da testimoni reali. “Testimone” viene dal latino, vuol dire “superstite”, sopravvissuto. L’atto del testimoniare si chiamava “superstizione”, a significare il “dono della presenza”, o del presente, che la testimonianza conferisce quando si affida al racconto e alla memoria: poter parlare, come se si fosse stati testimoni oculari, di eventi anche remoti nel tempo e nello spazio. E’ la magia del narrare. Il suo potere è nel trasmettere e ricordare.

   Il Giorno della Memoria è l’anniversario di quando si aprirono i cancelli di Auschwitz svelandone l’orrore: un’“epifania negativa”, si disse. I testimoni – i sopravvissuti – raccontarono i dettagli della Shoah, i campi di sterminio lucidamente e scientificamente programmati che contraddistinsero la parabola del Nazismo in Europa, apice della performatività occidentale. A partire da quell’“evento senza testimoni” - la formula paradossale è della studiosa Shoshana Felmann, per tagliar corto con certo revisionismo storico (o peggio negazionismo) che pretenderebbe testimoni vivi a suffragio dell’esistenza delle camere a gas - il concetto di testimonianza ha arricchito e drammatizzato la nostra idea di arte, di cinema e di letteratura. Giunte a noi miracolosamente dalle macerie, a volte letteralmente in bottiglie aperte dopo anni, fino al bellissimo film Shoah di Claude Lanzmann (nove ore senza un istante di noia), le testimonianze e le memorie dei superstiti hanno prodotto una rivoluzione nel concetto di Storia, d’ora in poi “storia del presente”. “Scrivevano tutti, dagli storici di professione ai bambini” - lasciò scritto lo storico ebreo Emmanuel Ringleblum dalle rovine del ghetto di Varsavia. Scrivevano per lasciare traccia degli eventi che già sfidavano, prima di Auschwitz, ogni immaginazione. Quando un certo Filip Muller, membro dei famigerati Sonderkommando dei campi di sterminio (ebrei addetti ad accompagnare altri ebrei nelle camere a gas, spogliarne i cadaveri, togliere i denti d’oro, incenerirli), si gettò disperatamente sotto le docce per morire insieme a un gruppo di donne, fu da loro rigettato fuori, perché potesse vivere e testimoniare. Nel film Shoah Lanzmann intervista alcuni di questi testimoni “integrali” (la formula è di Primo Levi): il fatto è che dopo aver visto quel film, come dopo aver letto la letteratura dei sopravvissuti, siamo diventati noi i testimoni.

   Una volta dunque c’era la memoria, le città e le piazze pullulavano di memoria viva, passata e futura. Uomini anziani col cappello e i giornali sotto il braccio assicuravano una presenza protettiva, e poco importa che, spesso, ci sentissimo in conflitto con loro, gli adulti: li ringraziavamo di esserci, di tramandarci le loro storie e valori. Operai, avvocati, insegnanti di latino che avevano in passato rischiato la vita tramutandosi in uomini e donne d’azione per combattere i nazifascisti. Il loro umanesimo non aveva disdegnato sporcarsi le mani e prendere posizione. La scuola si trasferiva nei cinema per assistere a film sul passato recente, dal delitto Matteotti alla Resistenza armata sui monti, ma anche sugli anarchici Sacco e Vanzetti condannati a morte innocenti negli Usa, o al golpe in Cile del generale Pinochet. Vivevamo “valori condivisi” come l’antifascismo e la pace, e la cosa stupefacente è che erano condivisi davvero. Perché tutto questo ci suona lontano? Dove sono gli anziani che gremivano la Piazza? Altre atrocità, genocidi, offese alla dignità fisica e morale dell’uomo non hanno mancato di prodursi in ogni parte del pianeta, e “salvare in memoria”, oggi, significa dimenticare, cliccare un tasto e non pensarci più. Qualcosa poi ha frantumato, insieme alla politica, il “vivere insieme”, creando tante sparse solitudini (prima di tutte quella degli anziani). Galleggiamo in un eterno presente, poiché senza la memoria non c’è nemmeno futuro. Come ha scritto lo storico Georges Bensoussan (L’eredità di Auschwitz. Come ricordare?), “noi esistiamo unicamente nel tempo, solo il tempo ci permette di collocarci in rapporto a ciò che precede e a ciò che segue, ai nostri ascendenti e discendenti. Un’esistenza chiusa nella sola dimensione personale non riesce a elaborarsi”. Le responsabilità, culturali e politiche, sono di tutti: cosa pensare del sondaggio nelle scuole italiane che rivela, tra l’altro, che circa un ragazzo su cinque ritiene, sia pure con diversi gradi di convinzione, che «quanto si dice sulla Shoah sia frutto di un'esagerazione», e che «tutti gli ebrei dovrebbero tornarsene in Israele»? Tornare, si badi, non “andare”. Oltre a rivelare un’ignoranza profonda della storia degli Ebrei, riporta in mente le scritte sui muri raccontate da Amos Oz in Storia d’amore e di tenebre: se nell’Europa degli anni ‘30 si leggeva scritto sui muri “Fuori gli Ebrei dall’Europa”, in questi anni si legge “Fuori gli Ebrei da Israele”. Che l’antisionismo sia il nuovo volto di un antisemitismo è ormai un fatto.
   Se è vero che oggi il surrogato della memoria avviene intorno a quel surrogato del fuoco dei bivacchi e delle stalle, perfino della famiglia, che è la televisione, occorre capire come questo processo di demolizione della memoria costituto dalle Tv sia un dato politico e antropologico epocale. Forse, addirittura, il moltiplicarsi dei supporti tecnologici della memoria impoverisce l’esistenza, a scapito del ricordare e tramandare, il testimoniare in prima persona. Eppure è accaduto di recente, al processo per il massacro nazista di Marzabotto, ottocento tra uomini, donne e bambini trucidati cinquant’anni fai dai nazisti. Dopo che i documenti nascosti nell’“armadio della vergogna” sono venuti alla luce, al tribunale militare di La Spezia hanno sfilato gli ultimi testimoni in carne ed ossa, a raccontare, non solo per dar “prova” giuridica, l’imperscrittibilità di quei crimini. Ma negli stessi giorni un altro processo ha assolto i militari che hanno insabbiato (o ignorato) cosa accadeva nel cielo di Ustica nel 1980: il loro reato non esiste più, e anche di questo colpo di spugna si era persa la memoria. E dai sotterranei del tribunale di Catanzaro giunge l’allarme sul rischio di estinzione (in polvere) dei documenti processuali della strage fascista di Piazza Fontana, Milano 1969. Diventeremo tutti dei sans papier, privi di identità e memoria, perfino di quella cartacea? Siamo testimoni e attori del nostro tempo, siamo quindi responsabili dei ricordi che abbiamo ereditato, i cui archivi rischiamo di dissipare. Memoria è atto della mente (come suggerisce la parola di-menticare), ma anche del cuore, come è iscritto nella parola ri-cordare. Coraggio, ricordiamoci di ricordare.

(uscito su Venerdì di Repubblica il 26 gennaio 2007)

[Sullo stesso argomenti vedi anche:
http://www.beppesebaste.com/incontri/cl_lanzmann.html ]

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