3/23/2011
Creature: per Marion Greenstone
Domani 24 marzo a Venezia, a Palazzo Zenobio (Collegio Armeno) si inaugura la mostra antologica di Marion Greenstone (1925-2005). Durerà fino al 18 maggio.
Ho scoperto da poco la sua opera, grazie alla sorella Cora e all'amico Marco Agostinelli, autore di un film documentario su di lei. Ne sono stato affascinato e coinvolto. Alla sua opera ho dedicato alcune frasi e riflessioni, di cui offro qui un sunto in forma di breve articolo che dovrebbe uscire (salvo imprevisti), su l'Unità del 24 marzo (mentre scrivo un imprevisto c'è già stato che può scardinare la programmazione delle pagine di un giornale: la morte di Liz Taylor). Comunque sia ecco il mio breve testo.
Creature, colori, bellezza. Per Marion Greenstone
Tutti, quando incontriamo per la prima volta le opere di Marion Greenstone, restiamo esterrefatti. I comodi riferimenti che di solito aiutano e indirizzano la nostra percezione ed esperienza estetica nei riguardi di un pittore (cioè la condizionano parandone l’impatto) vengono a franare. Non è né questo né quello, pare che diciamo, non rientra neppure nella categoria degli artisti senza categoria - pensiamo - ancora incerti se si tratti di una qualità. E ci sfugge il fatto clamoroso, l’unico che abbia importanza, che stiamo facendo una nuova esperienza. Scopriamo non solo che i quadri di Marion Greenstone sono pieni di bellezza, ma che sono anche un evento - estetico, cioè sensoriale e cognitivo - di cui non immaginavamo la possibilità. Pop, espressionismo astratto, neocubismo, astrattismo, informale – etichette che servono per rassicurare i critici e i compilatori, non lo sguardo e i gesti di chi fa opere – e lei, Marion Greenstone, scavalcava e debordava ogni classificazione: “Il mio scopo è creare bellezza”, ha scritto di sé. Anche Marion insisteva spesso sulla parola “esperienza”, sua e di chi le guarda. “Esperienza” significa che l’avventura di ogni sua singola opera, qualunque cosa possa raffigurare o far pensare, è sempre un evento, e prima di tutto lo era per lei. Per questo occorre approfittare dell’occasione veneziana, la prima e vera antologica di Marion Greenstone, nella splendida cornice di Palazzo Zenobio, a cura di Marco Agostinelli, che alla Greenstone ha dedicato un documentario.
Nata nel 1925 e vissuta la maggior parte del tempo a Brooklyn (New York), pur avendo moltissimo viaggiato e abitato anche a Roma negli anni ’50, Marion fu allieva di Norman Lewis e di Vaclav Vytlacil (maestro anche di Twombly, Rauschenberg, Rosenquist e Louise Bourgeois), e per anni docente di pittura e disegno al Pratt Institute. Il fatto che abbia condiviso il periodo pop evitando ogni compromissione e deriva verso la pubblicità, è l’ulteriore e notevole paradosso di una donna che si consacrò alla pittura senz’altra fede o ambizione che il dipingere, in un mondo di uomini con molte ambizioni e pochissima fede.
I suoi collages, l’uso di diverse carte, il debordare limiti e misure, lavorando per accostamenti e giustapposizioni, insomma il collage come metodo fino a un’invenzione originalissima di polittici che è quasi un’arte dell’affresco, si fonde con una pittura che sembra mostrarci reperti salvati di qualcosa di più grande, zoomate di paesaggi creaturali, da Genesi, genesi del mondo e della forma, genesi della pittura - poiché è proprio di ogni vero pittore reinventare il dipingere. Marion Greenstone osservava la natura per trarne meraviglia e conoscenza: la sua contemplazione amorosa di foglie, fiori e frutta, ma anche cieli, terre, arcipelaghi, formazioni geologiche, oltre a una grande bellezza ci regala una lezione magistrale che ricorda in questo Bruno Munari: trovare negli oggetti dell’arte la naturalezza delle cose prodotte dalla natura stessa; imitarne non le forme finite ma i sistemi costruttivi, la struttura che le determina. Il collage come metodo è allora strumento di un’ecologia mente prima che della materia. Istantanee della vita, della sorgente della vita, i quadri di Marion Greenstone allargano la nostra coscienza e ci fanno diventare migliori. E volentieri nuotiamo e ci immergiamo nel gorgo di forme e colori, oceano di petali, corolle, o semplici, creaturali cose. Cosa chiedere di più a un pittore?
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2 commenti:
caro beppe
l'immagine che hai scelto mi fa pensare a quell'acquasantiera che descrive bernardo bertolucci nel suo libro "la mia magnifica ossessione" dove racconta il suo sopralluogo per "il tè nel deserto". Entrato in una cappella,tirata su dai missionari in pieno deserto, scopre che nell'acquasantiera c'è della sabbia. Bellissima immagine di integrazione religiosa.
L'arte supera le barriere ed è capace di ac-cogliere, ha diversi livelli di comprensione anche quello di chi (l'altra parte di noi)che guardando la stessa immagine potrebbe pensare ad un piatto con un passato di zucca.
a presto
sergio
heheh... a parte che adoro il passato di zucca, è vero, e l'immagine dell'acquasantiera colma di abbia infinitamente bella, e infinitamente religiosa (oh, che espressione ridontante! sapendo poi che sabbia sinonimo di infinito, àpeiron...)
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