4/25/2010

"Il cacciatore di leoni"


[Eugène Pertuiset, il personaggio ritratto da Manet nel famoso quadro "Le chasseur de lions"]

Un critico francese l’ha sintetizzato così: “è la storia di un idiota” (nel senso di Flaubert, non di Dostoevskij): un Tartarin di Tarascona enfatico, tronfio, sentimentale, corpulento e sciocco, lontanamente simile nel volto a Dumas padre. Si chiama Eugène Pertuiset, e appare nella prima pagina del romanzo come soggetto ritratto nel quadro Le chasseur de lions, dipinto da Edouard Manet nel 1881. Il narratore, che supponiamo chiamarsi Olivier Rolin come l’autore del romanzo, lo vede al Museo di San Paolo in Brasile, si invaghisce dell’improbabilità e incongruenza di questo personaggio e ne percorre le gesta. Bizzarra sintesi di Bouvard e Pécuchet in una sola persona (anche i riferimenti ai fumetti di Tin Tin di Hergé non mancano nel libro), vediamo il goffo Pertuiset cacciatore di leoni in Algeria, trafficante d’armi in Perù, cercatore di tesori nella Terra del Fuoco e, cosa più sorprendente di tutte, amico del raffinato pittore Edoaurd Manet, che l’accompagnò ironicamente anche nell’inutile attesa di essere ricevuto da Napoleone III° alle Tuileries, per donargli la pelle di un leone come scendiletto. Vediamo quindi Manet, osservatore della Storia e delle storie umane sotto il Terzo Impero e gli inizi della Prima Repubblica in Francia, durante la Comune di Parigi e il suo doloroso assedio da parte dell’esercito prussiano.
Come un personaggio-narratore di Allan Poe o di Henry James, di cui condivide il penchant visionario, il narratore Olivier Rolin entra nel quadro come si entra nella cifra di un tappeto o nei suoi arabeschi, e vi viaggia dentro attraversando mondi, ma senza dimenticare la propria soggettività. Mondi reali, storici, vissuti; mondi possibili, veri perché immaginati. Con frequenti incursioni nel proprio, di mondo, perché è sempre corretto dire dove nasce e cosa ha attraversato il proprio sguardo di narratore e avventuriero. Olivier Rolin, l’autore di Méroé e di Port-Soudan, ora anche di Bakou, derniers jours (tutti editi da Seuil, di cui è consulente) è infatti noto anche come viaggiatore e osservatore del mondo, reporter che all’occorrenza si mette a nudo come l’Olympia di Manet. Qui, sotto gli occhi del lettore, scorre un universo incantato in cui la Storia e le sue microstorie rimbalzano tra loro più romanzesche di una finzione. Una lezione utile per i narratori nostrani “di genere”.
Sfilano i rivoluzionari di Lima e quelli della Comune di Parigi (e quelli del ’68 francese, di cui Rolin fu protagonista); sfilano i pittori e le modelle, gli scrittori e i mercanti d’armi (Rimbaud fu entrambe le cose), Victor Hugo e Baudelaire, Regnault, il pittore di Salomé amico di Mallarmé, Berthe Morisot, la modella preferita di Manet. Sfilano mongolfiere e patrioti, soldati prussiani e ribelli peruviani, fucilazioni in entrambi i mondi, Manet che prosegue Goya nella rappresentazione della morte e delle umane miserie, come nella cartolina postale della fotografia (una delle prime della Storia), che ritrae in Perù un plotone di 15 uomini che giustizia tre persone, e dove il mercante Pertuiset scrive retoricamente sul retro a Manet: “Caro Maestro, le Sue opere sono più vere della realtà”. Manet, infine, luogotenente nell’artiglieria della Guardia nazionale, unico pittore impressionista rimasto in una Parigi come “un campo trincerato” dove si mangiano i gatti. Manet di cui ci resta impressa la descrizione nella pausa di silenzio della pittura mentre ritrae Berthe Morisot, pallida e magra, le labbra rosse, febbrile e sensuale, cappello in testa e mantello di pelliccia. Manet che dipinge il riposo, Le repos, e il narratore, cioè Olivier Rolin, così conclude la scena: “Intorno a questa ragazza e al suo pittore, intorno ai loro sguardi che si incrociano, c’è la città assediata, l’inverno, la guerra. Dopo cosa accadde? Non si sa. Il romanzo non lo sa, non può tutto”.

[uscito su la Stampa del 23-04-2010]

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