10/06/2008

"A me mi ha salvato Mussolini" (una sosta a Torbellamonaca, banlieue italiana)

L'altro giorno la Repubblica (edizione di Roma) mi ha chiesto di andare a Torbellamonica e guardarmi in giro. E' una vera banlieue, la più simile a quelle, per capirci, che si vedono nel film La haine (L'odio) di M. Kassowitz. Quello che ho visto e sentito, molto scremato, è uscito il giorno dopo (venerdì scorso) sul giornale. E' questo:
Vite senza futuro al Dream's bar
Dice uno, sui vent’anni, tuta Adidas come le scarpe nere, basette lunghe e capelli corti: “A me mi ha salvato Mussolini. Se non mi drogo, e non mi faccio neanche le canne, è perché ho un credo che mi dà dei valori, un ordine. Ho fatto solo le medie, sono uno che lavora. Ora non ce l’ho, lo sto cercando. Andarmene non ci penso neanche. Appena mi allontano mi viene l’ansia. Tutto il mondo viene a vivere a Roma, perché dovrei andarmene io? Il centro è bello, è un po’ che non ci vado, qualche mese. Non c’è lavoro, ma c’è anche gente che non vuole lavorare, e invece di mille euro al mese preferisce guadagnarne duemila al giorno spacciando. Io no. Quelli come me non si drogano”. E’ simpatico, è molto gentile, e in modo non formale. Eppure: “Quando ho saputo che hanno picchiato uno straniero ho provato un sentimento d’orgoglio. Forse non ha fatto niente, mi dispiace per lui, però c’ha un significato. Ce l’ho con quelli che vengono qui a fare i crimini: ne abbiamo fin troppi di criminali”.
Il suo amico, rasato, felpa nera con la scritta Superstar, ha lo sguardo acuto e riflessivo, e dosa le parole. “Quando cercavamo lavoro in città, se dicevamo che eravamo di Torbellamonaca non ce lo davano più. E poi non è che abbiamo proprio la faccia da bravi ragazzi. Sì, qui c’è molta violenza, criminalità a ogni livello. Perché? Per fame. Ma c’è anche gente che non ha lo stimolo di lavorare”. Lui ce l’ha, lo stimolo. Ha studiato come perito industriale, senza finire. “Ho lavorato con mio padre, ora faccio il magazziniere. La maggior parte degli altri ragazzi qui vive alla giornata. Senza futuro. Ma anche quelli che fanno soldi sporchi sono angustiati, per la scontentezza se li bruciano in una giornata”.
Siamo seduti a un tavolino del Dream’s Bar, la mia amica regista Angela Landini e io. Sono loro ad essersi avvicinati a noi. Il “bar del sogno” è in uno dei corridoi sotterranei della struttura di cemento armato nota come il Centro Commerciale Le Torri di Torbellamonaca. “E’ l’unico luogo di incontro”, ci confermano, insieme al parcheggio. In un’area aperta e immensa, vuota, spopolata e senza forma, costeggiata di parallelepipedi grigiastri (“le Torri”) dove la gente abita, la socializzazione avviene qui, nascosta, sotto il livello della strada. La claustrofilia è forse un riflesso del deserto intorno, come per ripararsi dall’horror vacui di questa periferia nata nel 1982. E’ sul camminamento tra lo stradone e questa struttura in cemento – via Duilio Cambellotti – che a una fermata d’autobus è stato picchiato senza motivo un ignaro cinese da un gruppo di adolescenti. Ma non riesco più a pensare a questo orrendo fatto di cronaca. E’ un’altra violenza che mi coinvolge, quella delle forme architettoniche: un festival degli spigoli, delle forme squadrate, della disarmonia, dell’aggressività geometrica. L’unica cosa rotonda sono certi graffiti sui muri grigi. Al centro del parcheggio del supermercato Sma, c’è un monumento che ne sintetizza l’insensatezza: una specie di altissima siringa spaziale, composta di lastre taglienti di acciaio. Anche la chiesa dall’altra parte della strada ha qualcosa di terribile, con quelle specie di scalini marroni che svettano spigolosi verso il cielo, per terminare in un’inutile doppia punta.
La conversazione coi ragazzi viene interrotta da una coppia di giornalisti. Anche io e Angela siamo stati presi all’inizio per indigeni. Alcuni operatori televisivi hanno messo in posa un cinese alla fermata del bus. I giovani sono inseguiti come in uno zoo safari. Resta in sospeso coi ragazzi la visita alla strada peggiore, dicono, Via dell’Archeologia, dove la polizia per fare un arresto manda dieci pattuglie. Quello che ama Mussolini aggiunge: “Se volessero davvero risolvere i problemi, ci riuscirebbero, visto che hanno catturato Provenzano. Ma non gliene frega niente”. Ci siamo andati da soli: un labirinto di contenitori cubici biancastri, finestre piccole, un simulacro di campagna intorno.
La struttura del centro commerciale, con due o tre bar, due pizzerie al taglio, un’edicola e varie scalinate per risalire ai parcheggi, continua in realtà fino al Teatro Torbellamonaca. Ma quando finiscono i negozi – per lo più di abiti sportivi e di scarpe (con le Nike in vetrina), ma anche di abiti da sposa, un Solarium, negozio Vodafone di fianco al posto di polizia – diventa una specie di balena morta e alla deriva. Mancano anche quelle tettoie di plastica su cui è rimbalzata una pioggia improvvisa (il suo rumore era l’unica natura). Scritte sui muri, e cancelli di ferro di là dai quali c’è l’Asl. Sembra una prigione dismessa. Nel piano di sotto, saracinesche chiuse di fronte a un campo abbandonato in cui passeggia un cane (abbandonato?). Vi sono un centro diabetico e locali di assistenti sociali. Ma come si può accogliere qualcuno in una tale ostilità architettonica? E’ un luogo, dice Angela, fatto per non essere guardato. E’ la definizione del brutto, penso: ciò che viene sottratto allo sguardo.
Il Teatro Torbellamonaca, fino a poco tempo fa diretto da Michele Placido, è all’estremo della struttura di cemento. Leggo, sulle sue vetrate: “T’invita. T’emoziona. T’appassiona. T’appartiene”. Nessuno dei giovani di qui ci va mai, dicevano i due amici. Accanto al teatro, un trave di cemento annerito e consumato, dall’aspetto pericolante, sembra più antico del Colosseo. Sembra morto. Sullo sfondo, le “Torri” bianche.

9 commenti:

Anonimo ha detto...

Quanti luoghi come questi in Italia? Quali gli architetti e ingegneri che hanno progettato simili scempi? e quali politici hanno permesso ciò? Manderei loro a viverci, in quei posti. Anzi, uno scambio di abitazioni proporrei...

Anonimo ha detto...

già... sono d'accordo

Anonimo ha detto...

"...La ricchezza non è la massa di cose di cui disponiamo, la ricchezza è il modo in cui viviamo il tempo, è il rapporto di solidarietà che sappiamo avere tra di noi. Come i gigli nei campi o gli uccelli nel cielo anche noi umani possiamo vivere di poco, di molto poco.
Dovremo imparare a vivere del poco indispensabile, perchè altrimenti finiremo tutti malissimo. Non sarà facile impararlo e ancora più difficile sarà insegnarlo a tutti gli occidentali. Ma impareranno, con le buone o con le cattive.
Noi vediamo oggi, grazie alla catastrofe, che il capitalismo non è eterno, non è naturale, che l'economia della crescita non è la migliore organizzazione della vita sociale.Quel che dobbiamo fare è comunicarlo. Senza ansia, senza arroganza, senza rabbia.
Molte cose scompariranno nei prossimi mesi, molti moriranno di fame e molti di violenza e di guerra. E' bene saperlo, è bene prepararsi. E' bene preparare quelli che ci stanno intorno. Ma nulla di ciò che sta sulla terra è eterno, neppure le nostre vite, i nostri giornali , i nostri partiti.
La sola cosa che non si deve estinguere è la capacità di capire. Comprendere, comprendere, e trasformare.

( Bifo, " Liberazione", mercoledi 8 ottobre 2008)

Ciao!
Kauffman

Anonimo ha detto...

ottimo. grazie. beppe

giorgia ha detto...

diciamo che sei venuto a tbm solo perchè ti serviva descrivere lo squallore di un quartiere popolare piuttosto che la bellezza di un quartiere semplice, questo si nota anche da come descrivi la chiesa del quartiere che tra l'altro è la cattedrale S. Maria Madre del Redentore realizzata da Pierluigi Spadolini.. ma ripeto a te non serviva descrivere le bellezze di tbm.. da abitante di tbm boccio quindi la tua recensione su un quartiere sicuramente difficile ma altrettanto affascinante!!

Anonimo ha detto...

no giorgia, non sono una persona prevenuta. a parte che affascinante è una cosa e brutto (o bello) è un'altra, a me ha colpito la bruttezza, l'aggressività delle forme, d cui gl abitanti, ovviam ene, non c'entran una mazza, ne sono le vittime (se abitassi lì, mi sentirei ncazzato per quelle forme, se non mi sono anestetizzato, se preferisci "abituato"). quella chiesa può chiamarsi in qualunque modo, resta che è brutta, bruttissima, e, ripeto, aggressiva. le responsabilità sono di progettisti e di amministrtatori. poi può esserci anche un prete formidabile e un'aggregazione fantastica. io so che cosa sia la fame di bellezza, e quanto il bello o il brutto influiscano sulle felicità o infelicità delle persone. a TBM ho descritto quello che ho visto e sentito, con la mia soggettività. non mi serviva nulla. punto. beppe

Anonimo ha detto...

Forse a Giorgia sfugge che tentare di vedere come stanno le cose, dentro e fuori di noi, significa ridefinirsi come persona pensante e come classe sociale, scoprendo magari che il nemico da combattere sta da un'altra parte e non in chi cerca di svelare menzogne. Ciao Giorgia.
Kauffman

Anonimo ha detto...

Perche non:)

Anonimo ha detto...

imparato molto