10/27/2013

Sunday morning

Domenica 4 agosto 2002 inauguravo la mia rubrica dal titolo "sunday morning" su l'Unità diretta da Furio Colombo (sulla prima delle pagine della cultura "Orizzonti" dirette da Stefania Scateni). Altre mie rubriche seguirono ("I lunedì al sole", "Acchiappafantasmi"), ma non importa. Questa era intimamente dedicata a Lou Reed, scomparso oggi (e mi sembra già incredibile) in un altro sunday morning. L'ho amato molto. Gli devo suggestioni e sensazioni insostituibili, commozioni, anche. Provo un'immensa gratitudine. Se dovessi scegliere una e una sola canzone, allora sceglierei  l'epica e insieme l'elegia di Pale blue eyes: "Sometimes I feel so happy / sometimes I feel so sad..." Oggi, è chiaro, prevale la tristezza.
Quello che segue, scritto in altri tempi, solo apparentemente recenti e dei quali provo già nostalgia (non mi sentivo così costantemente a disagio come mi sento adesso), è quanto appariva domenica 4 agosto 2002 su l'Unità, la mia prima rubrica.

   Sono tante le domeniche delle canzoni e dei film. A volte terribili, come un’aspettativa di dolcezza in cui irrompe il tragico (Bloody Sunday, o Vivement dimanche). Più spesso sono noiose: il pacchetto delle paste, e a casa il brodo e il lesso con tutta la famiglia. La domenica assomiglia allora a un giorno feriale di Marino Moretti («È mercoledì. / Piove. / Sono a Cesena...»), quando il poeta crepuscolare si trovava al matrimonio della sorella; o al «gelato al limon» dello stralunato turista al mare di Paolo Conte. Ma c’è la stupenda canzone dei Velvet Undeground a ispirarci, Sunday morning, con quella specie di carillon elettrico insieme malinconico e gioioso, come la voce di Nico o di Lou Reed, intensa e asciutta come occhi lavati dal pianto, o dal vento. La domenica può voler dire allora svegliarsi col sole già alto senza nessun senso di colpa, guardare la primavera negli occhi dell’amante. Essere beatamente spaesati e sospesi, mangiare fuori orario e fuori pasto, passeggiare nel parco o per le strade vuote, essere fuori luogo. Leggere i giornali al bar con la giusta distanza. Provare la sottile sinestesia dell’andare al cinema di pomeriggio, e uscire col sole addosso da quel sogno nella sala oscura.
   Domenica mattina può essere l’inizio di una giornata perfetta, quando senza ironia il paesaggio urbano si rivela elegiaco come gli oggetti ordinari della pop art, e i nostri gesti sono perfetti in virtù della loro semplicità, come un’andatura sciolta e elastica, come accontentarsi, essere in ciò che si fa. È quello che racconta un’altra canzone di Lou Reed, A perfect day: «Proprio una giornata perfetta / Sorseggiare sangria nel parco / E più tardi quando fa buio tornarsene a casa / Proprio una giornata perfetta / Dar da mangiare alle bestie dello zoo / Poi un film, e infine a casa».
   
Non sempre in «sunday morning» parleremo di una giornata perfetta: non sono tempi allegri per questo Paese. Coraggio: se tutto può essere sinonimo d’amore, come rivela il bellissimo libro di Sklovskij (Zoo o lettere non d’amore), tutto è anche sinonimo di politica, cioè di attenzione alla vita. Ho letto che lo scrittore di fantascienza William Gibson pensava come sua epigrafe ideale un verso di Sunday morning: «attento ai mondi dietro di te». È quello che cercheremo di fare in questa rubrica: guardare con attenzione a quello che accade, che è nascosto a volte dalla sua stessa evidenza, o da quello che i giornali dicono che accade. Raccontare storie, news che restino tali anche dopo averle lette. Ogni domenica mattina.

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