3/03/2013

Basta con la politica degli slogan e degli insulti

[Pubblico anche qui questo breve post apparso nel mio sporadicamente praticato blog de l'Unità il 1 marzo, acchiappafantasmi ]. Confesso che non mi ci voleva questa ulteriore distrazione dalla mia anima e da quello che sto facendo data dalla nuova - mi sbaglierò? lo spero - emergenza democratica. Comunque sia ecco parte di quello che penso e sento sull'escalation del grillismo] 


   Non so voi, ma io ne ho abbastanza della politica degli insulti e degli slogan. Nel nostro ormai cronico dissolversi quotidiano della memoria abbiamo forse dimenticato la sofferenza e le ferite invisibili (le cui cicatrici sono in realtà vistose) date dalla neo-lingua degna di Orwell del regime politico-pubblicitario di Berlusconi, fondatore di un partito-azienda che battezzò con uno slogan da stadio. Ad esso, e al comando manageriale, si affiancarono infatti altri due “giochi linguistici”, l’insulto permanente (come: “chi vota a sinistra è un coglione”), e lo slogan pubblicitario, suadente, irreale, ipnotico, negatore dell’evidenza (“se le Fiat non vendono, chiamatele Ferrari”; “partito dell’amore”, “popolo della libertà”), e che ancora funziona (vedi la lettera sul rimborso dell’Imu). Nanni Moretti ricordava di recente anche quei ministri come Bossi che per vent’anni hanno invocato l’uso dei fucili e alzato il dito medio – “un gesto che io continuo a considerare di una violenza inaudita e del tutto inaccettabile, e che invece l’Italia ha inspiegabilmente sopportato”, ha detto il regista. Concordo.
Mi piacerebbe che il Presidente della Repubblica – che considero il mio Presidente da sempre, non da tre giorni – dopo aver reagito contro il segretario dell’Spd tedesco che ha definito (peraltro ineccepibilmente) clowns gli italiani Berlusconi e Grillo, protestasse con analoga fermezza contro le parole offensive degli stessi. Quelle di Berlusconi sui giudici-cancro, per esempio: insulto insopportabile, sovversivo e non nuovo, ma appena riattualizzato; e quelle di Grillo, leader (non eletto) o portavoce di un movimento politico, insultanti (“morto che parla”) contro il capo eletto di un partito e di una coalizione, Bersani, che ragionevolmente ha posto un problema che ci riguarda tutti: la formazione di un governo.          Insultare (e delegittimare) un leader che invita un altro leader a discutere la vera politica, far funzionare gli ingranaggi che collegano potere legislativo e potere esecutivo, Parlamento e Governo, e quindi la “fiducia” che ne è olio e motore, è oggi insopportabile. Così come sentir chiamare “volgari adescatori” i rappresentanti della coalizione di centrosinistra che vorrebbero confrontarsi su un governo possibile – come gran parte di noi elettori di sinistra auspica, come auspicano Dario Fo (che Grillo annovera tra gli amici) e molti elettori del Movimento 5 Stelle. Invece di una risposta argomentata Grillo avrebbe detto o scritto “hanno la faccia come il culo”. Non fa nemmeno ridere (ma questo già da tempo). Ma almeno su un’altra cosa Bersani ha ragione: il luogo della discussione è e sarà il Parlamento, non un blog (o un salotto tv). Questo – il rispetto per le istituzioni della Repubblica – il mio e nostro Presidente potrebbe e dovrebbe ricordarlo.
Quanto a Grillo, forse sta proprio facendo il clown, ma è un gioco pericoloso per la democrazia. Abbiamo osservato in tanti il linguaggio e lo stile retorico di questo ex comico nel corso della campagna elettorale (cominciata per lui chissà quando), che personalmente mi ha suscitato repulsione a prescindere dai suoi enunciati (pur essendo molte delle cose che diceva, pardon urlava, condivisibili e condivise dai noi elettori di sinistra), per via della sua enunciazione sempre ossessivamente monologica; e perché, appunto, li copriva irrimediabilmente con la sua voce. Ho provato anche repulsione e stordimento per il disprezzo e la delegittimazione che le sue parole spargevano (spargono) su pressoché tutti, avversari veri o immaginari, colpevoli soltanto di esserci(come se invece lui, Grillo, fosse in un’altra dimensione e parlasse da un altro pianeta) – tutti, comunque sia, destinati a diventare personaggi e bersagli del suo psicodramma politico. L’ipnotica fascinazione che produce, e che ricorda tempi passati e bui, sembra a volte il frutto di un esperimento politico di laboratorio sulla psicopatologia delle masse… Mi fermo, la campagna elettorale è finita, anche se i dittatori e gli aspiranti tali auspicano una campagna elettorale permanente, utile a prolungare l’autarchia del monologo e dell’insulto, e a imputare sempre agli altri lo sfascio e le macerie di un Paese: Berlusconi era ed è uno di quelli. Ma anche un Vaffa-Day permanente ne sarebbe una versione triviale, parente del fascista “me ne frego”.
Volevo qui soltanto parlare di linguaggio, chiedere al Presidente Napolitano di aiutarci a esigere rispetto per le istituzioni repubblicane a partire dal linguaggio. Basta con gli insulti, anche noi che non abbiamo fatto tabula rasa della memoria e della Storia siamo un popolo.