12/10/2011

Ritorno all'evidenza. "A piedi nudi sulla terra" di Folco Terzani

“Un passo verso il meno è un passo verso il meglio”, scriveva, mentre lo scopriva, il grande scrittore-viaggiatore Nicolas Bouvier. Se il viaggio è una forma di ascesi spirituale, di spogliamento di sé, tanto più lo è (stato) quello verso l’India - meta tra gli anni ’60 e ‘70 del variopinto mosaico del movimento hippie. Molti si persero, in ogni senso. Molti, nella sperimentale evasione dal mondo inautentico dell’obbligo e delle merci (estasi, dice l’etimologia) naufragarono sulle rive infernali dell’eroina. Ma vale per quelle generazioni di drogati la dedica di Philip K. Dick: erano come bambini che giocavano per strada e a cui nessuno insegnò che vi passavano i camion. Fu un’epoca e un movimento in cui il ritorno all'evidenza - che è il modo occidentale di designare l'illuminazione, misto di nudità, autenticità, libertà – segnò un punto di ascesi spirituale spesso inattesa; una religione della religiosità, distacco e rinuncia. In India si chiamano sadhu quei ricercatori spirituali che “rinunciano”, e a cui non manca nulla; che viaggiano a piedi nudi e dormono in grotte naturali, vivono di offerte (non denaro), passano il loro tempo nella devozione del Divino a cui dedicano riti e gesti precisi, come ravvivare il fuoco; che fanno il loro “tempio” nella jungla, che è il vero senso della parola “contemplare”; che conoscono tutto del mondo che li circonda, la natura. All’opposto di noi che, con le nostre presunte conoscenze, non saremmo in grado di sopravvivere una settimana in un mondo in cui si dovesse contare sulle proprie concrete competenze.

   Folco Terzani, quarantenne inquieto e cosmopolita, figlio del giornalista Terzano, nello scrivere A piedi nudi sulla terra, una storia documentaria che si legge d’un fiato come un romanzo, è partito da questa evidenza negativa: “uso il computer ogni giorno ma non ho la più pallida idea di come funzioni, l’aeroplano non so come faccia a volare, l’iPod a ricordarsi tutta quella musica o l’economia a fluttuare. Sono circondato di meccanismi che non capisco. Fra i sadhu invece ho riscoperto la bellezza degli elementi – l’acqua, la terra, il fuoco, l’aria. Mi sono sentito felice camminando sulla terra, facendo il bagno nei fiumi freddi del’Himalaya, stando accucciato davanti alle fiamme di un fuoco, respirando spazio”.
   Il libro racconta con onestà la storia di Baba Cesare, un sadhu italiano con un passato di hippie e di tossico, e che per questo riesce “a fare da ponte fra me e quel modo di vivere che d’istinto mi attraeva, ma mi sembrava irraggiungibilmente lontano”, scrive Folco. “E’ un percorso visto dal di dentro, con gli occhi di qualcuno che ci si è messo in gioco non per una settimana, un mese o un anno, ma per una vita”. L’erranza è un’ascesa, un cammino di santità, ovvero semplicità, quell’evidenza che è parola chiave e ricorrente: tornare all’evidenza, arrendersi all’evidenza. A pensarci, un programma politico e di esistenza oggi drammaticamente attuale. “L’uomo ha perso più conoscenza negli ultimi cento anni di quanta ne ha acquistata”, dice Baba Cesare. “Io cercavo gli insegnamenti dell’evidenza, e l’evidenza erano i guru: come si muovevano, come parlavano, come comunicavano”. Il punto è che, dice, quando li vedi in India hai un’evidenza di religione, come da noi coi nostri preti non abbiamo più.

   E’ la storia di un discepolo che diventa maestro, dove casualità e ricerca, come sempre, si mescolano. “Immaginati un sentiero senza ‘dove’, che uno vede strada facendo”, dice il sadhu della propria vita. “Da tutto quello che è successo ho tratto insegnamento. Tutto, sia il positivo e il negativo, è stata una scuola. Sono tutte evidenze che dio ti porta nella vita giusto per farti arrivare a un certo tipo di idea”. Quanto all’idea di Dio, “è una pazzia, un sogno, una visione. (...) E’ un’energia ad alto livello, senza forma e senza nome. E noi ci siamo dentro. Cioè, non puoi leggere una spiegazione di dio in un libro, capito? Ci devi arrivare per stadi, prendendo coscienza di quello che sei. Cosa siamo? Noi siamo terra, il fermento della crosta terrestre. Ci dobbiamo identificare col pianeta, non con noi stessi, perché questo identificarci con noi stessi è illusorio”.

(una versione di questa recensione, con qualche taglio, su l'Unità di domenica 11 dicembre 2011)

4 commenti:

Anonimo ha detto...

viene una gran voglia di mollare tutto. Da Parigi, freddo freddo Mm

Beppe Sebaste ha detto...

capisco...

Anonimo ha detto...

Baba Cesare non è una brava persona. ....alla fine ha infinokkiato anche il Folco....
....delusiun!!!!

Beppe Sebaste ha detto...

baba cesare, chiunque sia, è un pretesto, almeno per me. spero anche per lui...